Cara Aung San Suu Kyi, sto seguendo con molta emozione gli sviluppi della situazione nel Suo paese. Anche stamattina, come accade ormai da otto giorni consecutivi, un migliaio di giovani monaci buddisti si sono radunati davanti alla millenaria pagoda di Shwedagon, a Rangoon, per dare vita ad un nuovo corteo contro il regime militare che da ormai 45 anni tiene saldamente il potere in Birmania. Nei giorni scorsi, il corteo è diventato sempre più grande, grazie all’adesione di migliaia di cittadine e cittadini. Oggi si parla di centomila persone, e lamia speranza è che questa volta il corteo possa raggiungere pacificamente 54 University Street, dove Lei si trova agli arresti domiciliari.
Per noi radicali transnazionali, che in nome della nonviolenza gandhiana ci siamo sempre battuti per la promozione dei diritti umani e la democrazia in tutto il mondo, questa lotta nonviolenta è una prova straordinaria di un paese, di un popolo intero che chiede libertà, giustizia, e che combatte senza armi per la propria rinascita. E’ una grande lezione che, su iniziativa dei testimoni più autentici del buddismo nel Suo paese, il popolo birmano sta dando non solo al regime militare, ma al mondo intero. So che la giunta ha minacciato ieri di «prendere misure» contro i manifestanti, oppure di ricorrere, come nel 1988, all’impiego di infiltrati e di agenti provocatori per far scoppiare i disordini e così giustificare una violenta repressione.
Sono convinta che si tratterebbe di un tragico errore di calcolo. Gli occhi del mondo sono puntati su quello che sta accadendo in Birmania. Sia l’Unione europea sia l’Asean hanno chiesto al regime di non ricorrere alla violenza. Ieri, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Presidente Bush ha annunciato un inasprimento delle sanzioni contro i membri della giunta. Sappia che anche il governo italiano ha chiesto alla giunta di aprire un dialogo con i monaci, con i membri della National League of Democracy e con tutta l’opposizione birmana, così come chiede che Le venga immediatamente restituita la libertà.
Cara Aung San Suu Kyi, ho ancora impressi nella memoria, dal nostro incontro di undici anni fa, quando Lei già si trovava agli arresti domiciliari, la Sua forza e il Suo coraggio. Questa forza e questo coraggio sono esattamente ciò di cui ha più bisogno il popolo birmano. Ho fiducia che una buona combinazione prodotta dall’azione nonviolenta interna e dalla pressione esterna delle organizzazioni regionali e multilaterali nonché dei paesi democratici, possa portare presto, finalmente, al ristabilimento della libertà. Lei non è sola. I monaci birmani non sono soli.
Il Suo popolo non è solo. Ha – avete – tutta la vicinanza, il sostegno e la determinazione non solo di noi radicali transnazionali ma di tutta quella comunità internazionale impegnata ogni giorno nella costruzione di un mondo fondato sulla difesa della dignità umana.