“Capitale a luci spente” è la città più buia d’Italia
Ogni mille abitanti solo 59 lampioni
Di Paolo G. Brera
RINCASARE dopo l’imbrunire confidando nei lampioni? Meglio tifare nel chiar di luna: se non sono spenti, semplicemente non sono. A vigilare sulla sicurezza di una passeggiata senza più il conforto dei raggi di sole ci sono 59 punti luce ogni mille abitanti, una miseria denunciata ieri dal rapporto dell’Ufficio studi di Mediobanca, realizzato per conto della Fondazione Civicum su dati del 2007.
Roma, sostengono i ricercatori, «è una delle città più buie». Quei 59 punti luce gestiti dall’Acea ogni 1.000 abitanti sono «poco più della metà di Milano e Torino», che sono nella media italiana con 100 punti luce per 1.000 abitanti. E sono addirittura un terzo rispetto a Brescia e Bergamo, che ne hanno 185 gestiti da Asm, mentre nelle città romanole l’illuminazione gestita da Hera ne ofe 173 ogni mille abitanti. Niente paura: quando sarà stata esaudita la promessa fatta ieri dal sindaco Gianni Alemanno nel Comitato provinciale per l’Ordine e la sicurezza, di accendere cioè 5.000 punti luce nel corso del 2009, le nostre passeggiate al chiar di luna saranno rischiarate da tutt’altra luce: i 59 punti luce ogni mille abitanti diventeranno… 61. Basta fare i conti: cinquemila nuovi punti luce per 2,7 milioni di abitanti fanno due miseri lampioncini in più. Ma non è l’unica cattiva notizia per la sicurezza: «A Roma – dice la ricerca di Mediobanca – ci vogliono in media 9,5 giorni per cambiare una lampada spenta, contro gli 1 o 2 giorni delle altre città».
«Nel settore elettrico – continualo studio – la rete di distribuzione romana di Acea rimane la meno continua tra quelle gestite dai comuni». Vuol dire che ogni utente ha subito in media un black-out di 49,1 minuti nel 2007, altra cattiva notizia ma per fortuna in diminuzione: le lampade sono rimaste spente il 20 per cento del tempo in meno rispetto al 2001. Se facciamo il confronto con gli altri, però, la Capitale resta il fanalino di coda, ovviamente spento: Aem Milano ha vuoti di luce per 27,9 minuti, Iride Torino per 24,5, Hera a Bologna e in altri comuni ha una media di 12,8 minuti per utente e Asm Brescia ne ha addirittura 8,7. Confronti ancora una volta durissimi per Roma.
Per i suoi disservizi l’Acea ha pagato dal 2002 al 2007 17,5 milioni di euro di penalità all’Autorità, multe superiori alla somma di tutti gli incentivi incassati dagli altri operatori: 15 milioni di euro. Dev’essere per questo che Acea se n’è guardata bene dal collaborare con i ricercatori dell’Ufficio studi di Mediobanca, che domani a Milano presenteranno ufficialmente l’esito del loro lavoro: un grande studio su costi, qualità ed efficienza delle principali aziende che operano nel settore elettrico, nel trasporto locale pubblico, nell’igiene urbana, nel settore idrico e nei servizi aeroportuali, controllate da sei grandi comuni italiani (Milano, Roma, Torino, Napoli, Brescia e Bologna). Uno studio che ha riguardato 39 imprese controllate, e di tutte e 39 solo tre «non hanno inteso rispondere al questionario». Una, neanche a dirlo, è proprio «l’Acea di Roma», che ottiene risultati deprimenti anche nel settore delle forniture idriche: «Le perdite maggiori di acqua sono di Acquedotto Pugliese (50,3%) e Acea Roma (35,4%), seconda classificata». Ma qui, almeno, la sicurezza non c’entra.
Quelle strade senza illuminazione anche in centro le “vie della paura”
Dal Pincio a Caracalla, alle 18 scatta il coprifuoco
Di Cecilia Gentile
EPPURE siamo a Villa Borghese, il polmone verde del centro storico, tra piazza del Popolo e via Veneto. Ma qui nessuno passeggia. Alle 18 inizia il coprifuoco. È il buio che fa paura, che allontana i romani, che suggerisce di evitare camminate a rischio. Il cantiere del parcheggio del Pincio, bloccato per sempre dal Campidoglio, è ancora qui, e ha tagliato viale delle Magnolie in due stretti corridoi bui. Da una parte l’alta recinzione, che impedisce la fuga, dall’altra le sagome delle magnolie che emergono dalle tenebre. Chi passa qui si sente in trappola. E le macchine che corrono lontane, lungo il Muro Torto, non servono a dare sicurezza: è un’altra città, distante, estranea, se ne va via veloce, indifferente. E dentro la villa non si vedono rassicuranti carabinieri a cavallo, guarda parchi in bicicletta, vigili urbani. Neanche davanti alla Gnam, versante Parioli, zona buia e desolata.
Per una strana maledizione, nella capitale i parchi sono come dottor Jekyll e mister Hyde: di giorno confortanti luoghi di svago e relax, di sera luoghi della paura. Dopo il tramonto, una colossale rimozione collettiva cancella le ville storiche e i giardini dalle zone da frequentare la sera. Non si riesce neanche a pensare che potrebbe essere molto normale andarci a passeggiare.
Tutta colpa dell’insufficiente illuminazione, dell’assenza di presidi. Cronista e fotografo si spostano al Laghetto dell’Eur. Il cartello con la scritta “Passeggiata del Giappone” ricorda che da qui, da viale Tupini, si snoda un piacevole percorso che costeggia il lago. Ma prima di arrivare al quel vialetto illuminato con discrezione bisogna camminare in mezzo a prati risucchiati dall’oscurità. Il parco del laghetto, perciò, rimane solo una macchia scura, che galleggia in mezzo a due templi di luce, il grattacielo luminoso dell’Eni e dall’altra parte quello della Banca Unicredit.
Ecco cosa succede. Ci vogliono i grattacieli illuminati, le luci dei negozi aperti a dare sicurezza, i locali, i ristoranti, le gelaterie. Come la vicina gelateria Giolitti, dietro al laghetto dell’Eur. Lì sì che c’è il pienone. Ma guai ad allontanarsi, i clienti stanno tutti qui, asserragliati come in trincea. Eppure ci sarebbe un intero parco dove passeggiare. Anche la scalinata che da viale America porta alla fermata della metro B “Eur Palasport” fa paura, rischiarata solo a tratti dai lampioni del viale, sprovvista di propria illuminazione. A completare il quadro di desolazione, c’è il cantiere che ha sbancato tutta l’area davanti alla stazione. Chiunque può nascondersi lì in mezzo e venir fuori all’improvviso. Sempre all’Eur, in viale di Val Fiorita, davanti alla stazione metro Magliana, c’è la fermata del 764. I passeggeri in attesa si stringono sotto la pensilina e si guardano bene dal fare due passi nell’immensa e oscura area verde alle loro spalle, dove un tempo giocavano i bambini.
E certo ci vuole anche coraggio a fare footing alle otto della sera invia Valle delle Camene, a Caracalla, dove c’è la chiesetta sconsacrata che fa da scenario ai matrimoni celebrati con rito civile. Uomini e donne corrono in calzoncini sotto i lampioni, ma basta allontanarsi un po’ per trovare le tenebre. Qui non è sufficiente la luce, servono una presenza, un presidio. Per chi corre, per chi passeggia, per chi si vorrebbe sedere sulle panchine ma non si arrischia, per chi va in bicicletta sulla pista ciclabile inaugurata da poco. Qual è la formula magica per restituire questi bellissimi luoghi alla città? Qual è l’incantesimo perché i romani possano tornare a sentirli loro?
A piazza Augusto imperatore, alle spalle del Corso, la strada dello shopping, tocca ai ristoranti presidiare i territorio, isole di sicurezza all’insegna della discontinuità. Il portiere del Pontificio collegio croato di San Giovanni racconta che due anni fa sono stati costretti a far innalzare una cancellata, perché il loro portico era diventato un dormitorio per sbandati, con tanto di wc improvvisati. Anche qui il cantiere che occupa la piazza crea zone d’ombra che inquietano. «Quando i miei figli di 16 e 18 anni tornano tardi la sera, io scendo sempre ad aspettarli», racconta il portiere.