RADICALI ROMA

Giovanna d’Arco di Borgovecchio – di Lucio De Angelis

Un noto attore di prosa in una recente intervista ha dichiarato che ‘nonostante la crisi economica, i tagli al F.U.S. e via discorrendo, se c’è uno spettacolo ‘onesto’ con riletture, se necessarie, fatte in modo intelligente la gente, comunque, va a teatro.’
Anche quest’anno, come il precedente, milioni di spettatori vi andranno e nessuno ne parlerà. Il dibattito sul teatro in Italia è ridotto alla miserabile richiesta di trasmettere qualche dramma sulle reti nazionali, come se contasse qualcosa.
Il problema non è ricevere l’elemosina di una seconda o terza serata su RaiTre, ma di ottenere lo spazio di informazione che merita un fenomeno di massa e questa  dovrebbe essere gridata specialmente quando ci si imbatte in uno spettacolo che ti fa godere di tutti gli aspetti di quest’Arte, grazie ad un ottimo testo interpretato da un grandissimo giovane attore.
Al Teatro Tordinona ritorna per una sola settimana, dal 25 febbraio al 1 marzo Giampiero Cicciò in “Giovanna d’Arco di Borgovecchio”, scritto e diretto da Gianni Guardigli, dopo lo strepitoso successo di critica e di pubblico ottenuto nelle precedenti stagioni.
Diplomatosi presso la ‘Bottega Teatrale’ di Vittorio Gassman, Cicciò impersona da par suo un’anziana donna siciliana, offrendo un’ottima prova interpretativa. Bravo, intrigante, raffinato nella sua insidiosa vecchina dalle innumerevoli, stupide verità con un  testo che ruota attorno all’attore, lo circuisce, lo accarezza e lo bacia, perché è lui a dar corpo alle parole, alle immagini e ai sogni.
Lo spettacolo ha debuttato nell’ambito del Festival ‘KALS’ART Palermo 2004’ ottenendo un grande successo di pubblico e di critica. In seguito è andato in scena in alcuni teatri siciliani fra cui il Vittorio Emanuele di Messina.
La pièce é un monologo che ha per protagonista un’anziana donna siciliana, una delle tante signore della piccola borghesia di provincia ossessionate dai messaggi dei mezzi di comunicazione. Vive in solitudine e proietta i suoi desideri, le sue aspirazioni, le sue amarezze sul mondo esterno.
Suo nipote si è trasferito a Roma e sta tentando di intraprendere una carriera artistica. Fa provini. Lei non ha ben chiaro in che cosa consista e continua a fantasticare sui possibili sbocchi professionali che lo aspettano. E i fraintendimenti e gli equivoci si susseguono e si intrecciano creando un tessuto di comicità involontaria e inevitabile. Ma tutto questo agitarsi e in qualche modo ‘girare a vuoto’ nasconde un dramma che la ‘signora’ cela a se stessa.
Questo periodo della sua esistenza che lei, forse volutamente, forse inconsapevolmente, sta trascorrendo in maniera così ‘intensa’ è l’ultimo poiché un referto medico l’ha condannata a pochi mesi di vita.
La Signora ha un ulteriore progetto: purificare la cucina dagli influssi arabi che lei detesta a seguito degli avvenimenti del mondo che le entrano appunto nella cucina di casa attraverso i telegiornali. Come una Parca dei nostri giorni trascorre gran parte del suo tempo a dividere i ‘semi buoni’ da quelli ‘cattivi’ scandendo, con la precisione e la pignoleria degli anziani, i momenti della giornata.
‘Accussì av’a fari cu riciviu u compitu di purificari stu munnu’. (‘E’ così che deve fare chi ha ricevuto il compito di purificare il mondo’). E la colonna sonora onnipresente è il secondo protagonista della pièce, una specie di contrappunto che duetterà con le parole fino a costruire un tessuto unico.
L’ambiente è un interno astratto in cui la Signora trova la disposizione delle sue ‘cose’ con la sicurezza di chi conosce ogni centimetro a memoria, come una cieca. Ma dal fluire del racconto lo spettatore intuirà che il mondo interiore che si è creato la Signora, è soltanto un artificio, un mosaico bizantino di verità create ad arte. Verità che compongono una rassicurante piramide che tiene in piedi tutta la sua esistenza.
Incanta la pièce messa in scena da Gianni Guardigli, assistendo ad una vera e propria perla. Giovane e bravissimo, Giampiero Cicciò è perfetto anche nei movimenti: niente fuori luogo o non armonizzato con tutto il resto.
Il risultato è una lingua che si fa completamente materia(le) di scena, capace di trasmettere, grazie in primo luogo alla prova dell’interprete solista, l’instabilità psichica della vecchia che abita un fatiscente appartamento periferico di Palermo. Uno spettacolo che coinvolge il pubblico con l’ironia delle battute, l’espressività del personaggio e con le sue impennate poetiche