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“Giulia non esce la sera” di Giuseppe Piccioni: il sentimento della crisi. di Gianfranco Cercone

“Giulia non esce la sera” di Giuseppe Piccioni: il sentimento della crisi

 

 

di Gianfranco Cercone

 

 

 

Cos’è che rende bello o brutto un film?

 

Per rispondere in due parole a una domanda che meriterebbe un saggio, direi: che le vicende raccontate prendano vita, oppure no. Che sembrino il risultato di un calcolo degli autori, combinate come un congegno più o meno raffinato; oppure che sembrino svilupparsi di moto proprio, trascinate dalla forza interiore dei personaggi. Soltanto in questo secondo caso, si può provare al cinema il piacere e lo stupore di vedere catturato sullo schermo un brano di vita vivente.

 

E’ un piacere che io ho ritrovato per intero assistendo all’ultimo film di Piccioni, “Giulia non esce la sera”.

 

Un giovane scrittore si innamora di un’insegnante di nuoto; la quale, tutte le sere, è costretta a tornare in carcere, avendo ucciso tempo prima un suo amante, e finendo di scontare la pena.

 

L’amore dello scrittore aiuterà la ragazza a reinserirsi? Sarà il riscatto di una vita devastata dal senso di colpa? Darà nutrimento all’ispirazione languente dello scrittore? Lo aiuterà a ridare un senso alla letteratura, che, corrotta dai riti mondani (i premi, le promozioni…), sembra ormai apparirgli un gioco futile?

 

Oppure i due si lasceranno?

 

Il racconto non segue né il partito preso dell’ottimismo sentimentalistico; né quello del cinismo. Ma si muove tra l’uno e l’altro con l’ambiguità dei fatti reali, che, nel momento in cui accadono, nessuno può prevedere con certezza come andranno a finire.

 

Ma il sentimento della crisi (che comporta, fra l’altro, che tutto è vano, l’arte come l’amore; che nessuno può salvarci e che non possiamo salvare nessuno) attraversa come un filo sottile ma persistente tutto il film; gli dà tensione e unità.

 

E come ogni sentimento reale, è sfumato e variegato.

 

Accennerò soltanto a una sua derivazione, espressa con immagini particolarmente belle. Sono quelle, riprese sott’acqua, nella piscina, nelle quali i corpi dei nuotatori, che sembrano più lievi mentre si agitano in una penombra azzurrina, suggeriscono la ricerca di un conforto dal malessere del mondo diurno.

 

E se è un malessere contagioso (perché riattiva un sentimento latente e, credo, diffuso), prevale, durante la visione del film, il piacere di osservare personaggi, ambienti e situazioni che hanno sempre la misura della verità. Merito anche degli interpreti, tutti bravi: in particolare Valerio Mastandrea e Valeria Golino, nel ruolo dei protagonisti; e Piera Degli Esposti, nel cameo di una editrice.