RADICALI ROMA

A cinque mesi dal voto. La gente è esasperata. Basta ascoltarla

  Silvio Berlusconi, ieri, a Saint Vincent, dai democristiani di Rotondi, ha detto che il governo ha copiato Stalin. Lo ha fatto per paragonare chi ci governa al peggior esempio possibile. Ma non ce n’era bisogno. Ormai alla maggioranza degli italiani basta e avanza sentire ricordare i nomi di Prodi, Visco e, se continua così, anche di Padoa-Schioppa che sta facendo passi da gigante in questa direzione.

I consensi verso il centrosinistra calano mentre crescono quelli per la Casa delle libertà. Basti un dato per tutti. Lo prendiamo dal sondaggio fatto fare dal Giornale: i cittadini che manifestano una fiducia complessiva verso il governo registrano un terzo striminzito del totale mentre ben il 63 per cento ne ha poca o niente.

Dunque resta da capire come il centrodestra voglia utilizzare questa situazione palesemente e completamente a suo favore. E vorremmo tagliare corto con la tiritera, già iniziata, se si debba scendere in piazza o se si debba dare battaglia in Parlamento. Questione inesistente. Bisogna fare bene e in fretta ambedue le cose e non perdere neanche un minuto in più a discutere invano quale tra due cose obbligatorie vada fatta. Tutte e due e subito. Punto e basta.
In Parlamento si prova a far passare quello che il Paese richiede e a bocciare quello che non vuole. Nelle piazze si dà voce alla gente perché è un suo diritto e perché ne ha una gran voglia: chi ha dubbi vada a parlare di questo governo e della sua Finanziaria per strada o in qualche bar.

Dicevamo del dissenso che cresce nei confronti del governo governato da Diliberto, Epifani, Giordano e Pecoraro Scanio (l’ordine è quello alfabetico, del resto l’unico possibile).
Non è solo quello della gente comune, dei cittadini consumatori (come ama chiamarli il ministro Bersani), ma è quello di varie categorie produttive, dai commercianti agli imprenditori e a qualsiasi persona che abbia un’attività economica che deve difendere dagli assalti di Visco come Darix Togni si difendeva dai leoni al circo. Insomma tutte quelle persone, quelle famiglie e quelle imprese che vorrebbero, semplicemente, essere considerate dallo Stato e da chi le governa come delle risorse e non come dei problemi o, peggio ancora, come della gente della quale diffidare sistematicamente. Perché non pagano certamente le tasse, perché se le pagano ne pagano poche, perché se mettono su un’attività vanno controllate e ricontrollate perché qualcosa di losco sotto ci dovrà pur essere (con tanti auguri – sinceri – a Daniele Capezzone, leader radicale e presidente della Commissione delle Attività Produttive della Camera e alla sua legge che vorrebbe permettere ad un’impresa di nascere in massimo sette giorni).

Del resto tutta questa situazione è stata egregiamente spiegata da Massimo D’Alema a Orvieto, al seminario che avrebbe dovuto far fare un passo avanti al Partito democratico e, anche per l’opera indefessa del ministro degli Esteri, ne ha fatti – invece – molti indietro. D’Alema, del quale sono note a tutti la simpatia e la stima per Prodi, ha detto che non gradisce una politica fatta solo dei cittadini e del leader. Anche perché un bel po’ di cittadini D’Alema ce li ha in dote con i Ds ma Prodi non è il leader. È stato, più semplicemente, l’unica colla possibile di ciò che non si può incollare: quello di cui il Paese ha bisogno e ciò che questo governo dominato dalla sinistra radicale e dal sindacato può offrire. E sono trascorsi solo 5 mesi.