RADICALI ROMA

A lezione di laicità da Oscar Luigi, «broccolo nel campo del Signore»

Dicono che il suo nome venga da «Os» (dio) e «geirr» (lancia) e quel discolo di Stefano Benni glie­lo storpiava in Oscar Maria Goretti.

 

 

 

Eppure era un sacco di tempo che (a parte gli sfoghi di pochi atei, laicisti e miscredenti) non si sentiva una solen­ne rivendicazione della separazione tra Stato e Chiesa co­me quella di Oscar Luigi Scalfaro. Il quale, ospite di «Unomattina», ha scandito: «La laicità dello Stato è un principio che mi è stato insegnato nell’Azione cattolica, non me l’ha insegnato un capo massone. Me lo hanno insegnato i preti, benedetto il cielo. E nessuno ha titolo per metterci la sua impronta sopra. La Chiesa ha il diritto di parlare. Ha il diritto di farsi ascoltare soprattutto dai suo credenti, ma il parlamentare cristiano, se non ha la libertà di decidere, non ha neanche la dignità e non ha neanche l’assunzione di responsabilità. E a questo punto non serve a nessuno, tantomeno alla Chiesa».

 

 

 

Ciò detto, e rilanciato la sera da Gianni Riotta al Tg1 delle 20, è stato totalmente ignorato e rimosso come se avesse parlato di coleotteri a Telepannocchia. Senza lo straccio di un flash delle agenzie di stampa, troppo impe­gnate a raccogliere l’ultima polemica sul fisco o l’ultima confidenza di qualche letterina sulle foto di Corona’s. Senza che neppure i più logorroici professionisti della di­chiarazione, gente capace di dire la sua lo stesso giorno su 17 temi diversi (ce ne sono, ce ne so­no…), sentissero la voglia di aprire bocca. Il fatto è che prese di posizione nette come quelle dell’ex presiden­te della Repubblica, di questi tempi, danno fastidio a chi preferisce starse­ne a cuccia. Non perché approvi certi interventi della Chiesa che un tempo avrebbero fatto gridare all’insoppor­tabile interferenza: questo sì, sareb­be assolutamente legittimo. Ma per calcolo, viltà, interessi di bottega.

 

 

 

Ed ecco che, tra tanti afasici, chi ha conservato la voce? Un uomo che quando fu eletto fece dire a Vittorio Sgarbi che «il Vaticano si riprende il suo palazzo: ritorna un Pa­pa nel palazzo dei papi». Che si vanta d’essere salito a piedi, già anzianotto, al Santuario della Madonna del Divino Amore. Che chiama la Vergine «la Mamma, la Pa­drona, la Splendidissima, la madre del bell’Amore, la Ca­stellana d’Italia, la Corredentrice, l’Ancilla». Che ha fat­to professione d’umiltà dicendo «io sono un broccolo ma è meglio essere un broccolo nel campo del Signore che un fiore piantato fuori dal campo». Che ha scritto saggi inti­tolati Il Pio Transito di Francesco o Il valore del Rosario e tenuto conferenze su Santa Brigida profeta dei tempi nuo­vi.

 

 

 

E che forse proprio per questo, non dovendosi guada­gnare il voto dei parroci con una religiosità ostentata e ipocrita, può permettersi di dire ciò che dovrebbe essere ovvio per tutti. Come quando ribadì tra i timidi silenzi generali davanti a Wojtyla che «la laicità dello Stato è un presupposto che nulla toglie alla fede di chi crede nei valo­ri cristiani. Nella nostra diretta responsabilità sono le scelte politiche, l’amministrare la cosa pubblica, il compi­to di governare e di decidere. La voce della Chiesa è per noi lampada che da luce e forza ma non può togliere né alleggerire il nostro carico». O ricordò che l’Italia è un Paese «dove c’è un popolo che ha questa formidabile tra­dizione millenaria cattolica, un popolo che ha una tradi­zione meno millenaria di radice socialista, un popolo che ha una tradizione laica anche con una ricchezza non pic­cola… Dove ci sono persone che non accettano e non desi­derano avere un credo religioso di alcun genere e hanno diritto al loro spazio e al rispetto che gli compete». Dio lo benedica.