RADICALI ROMA

A PROPOSITO DI CONTI

Corriere della Sera ed. Roma pag.1. di Bernardo Pizzetti

 

Sabato scorso, attraverso le colonne del Corriere, ho sollevato due questioni: la preoccupazione del debito pubblico a Roma e quella delle morosità degli affitti negli immobili comunali. L’assessore Causi ha risposto Domenica con un lungo ed articolato intervento in cui sostiene in sintesi che il livello del debito di per sé non è rilevante ma che va analizzato in rapporto al Pil e, poiché questo rapporto si è mantenuto costante negli anni, la preoccupazione che ho avanzato (cioè il suo progressivo aumento dai 6 miliardi di euro del 2002, ai 6.5 di oggi, ai 7.5 previsti per il 2011) non è posta nei termini corretti. L’assessore Causi è persona professionalmente preparata e occorre dargli atto di uno sforzo importante compiuto in questi anni per tentare di mettere ordine nei conti dell’amministrazione. Tuttavia, proprio perché è un interlocutore intellettualmente onesto, devo confessare di aver letto con stupore il suo intervento, stupore che condenso in una domanda: ma cosa c’entra il Pil di Roma? Il Pil misura la ricchezza prodotta che, tuttavia, non è nelle disponibilità dell’ente locale se non in misura irrisoria. E’ come se un cittadino, per pagare il mutuo della propria abitazione, invece della propria dichiarazione dei redditi fornisse alla banca quella del parente facoltoso. Il debito del Comune (come quello di qualsiasi persona) è valutato in base alla capacità dell’ente di ripagare e questa capacità è misurata dall’entrate proprie, non dal Pil. Bene, queste scendono da 3,3 miliardi di euro nel 2004 a 3 miliardi nel 2006 a fronte di un debito che aumenta e che è attualmente pari al doppio delle entrate. Non è un caso se, in base a queste considerazioni, sia stato abbassato il rating del comune. Nessuno invoca la riduzione degli investimenti per far calare il debito, ma è legittimo interrogarsi sulla coerenza delle politiche proposte e sull’efficienza delle spese e delle entrate.

A tal proposito, e qui vengo al secondo punto, noto che nella sua lunga lettera di risposta l’assessore non ha affrontato il tema dei 202 milioni di euro di affitti non pagati che mancano all’appello delle casse comunali. Vorrei provare a riproporre (sommessamente) il quesito: a chi e perché è consentito di non pagare i canoni di affitto negli immobili del Comune di Roma? Visto che il loro recupero vale il 3% del debito di cui discutiamo, forse la questione non è così irrilevante.