RADICALI ROMA

Agenzia Radicale – Una giornata a Regina Coeli

di Maria Laura Turco

“Soltanto le razze che portano i vestiti capiscono la bellezza di un corpo nudo. Il pudore vale soprattutto per la sensualità, così come l’ostacolo per l’energia. Colui che non ha mai vissuto in costrizione non capisce la libertà”, così a pagina 76 si esprimeva il Bernardo Soares del libro di Fernando Pessoache sto rileggendo. Strana coincidenza con la nostra visita Radicale al carcere di Regina Coeli. Un mondo che spesso ci fa comodo dimenticare, come se coloro che vi abitano non facessero parte della nostra umanità e fosse invece un mondo a parte.

A Regina Coeli vivono attualmente 805 detenuti e 130 agenti di polizia penitenziaria. Non è un carcere che attualmente soffre di sovraffollamento (circa 615 posti nelle 8 sezioni), rispetto alla media italiana, e ciò consente l’attuazione di programmi di recupero e iniziative educative. Le condizioni igieniche, per quello che abbiamo potuto constatare, appaiono accettabili anche se necessiterebbe una generale manutenzione ordinaria volta soprattutto a eliminare infiltrazioni, umidità e muffe dei bagni che causano in tali locali ampi distacchi di intonaco ormai completamente nero.

Le celle visitate, a nostra scelta, si presentano tutte tenute molto pulite e in ordine ed è forse logico che sia così, dato che nell’esiguo spazio di ognuna c’è un letto a castello a tre posti, un armadietto a due ante di 150 centimetri di altezza circa e un altro più basso sempre a due ante, un bagnetto di 2 metri quadrati circa con water, lavandino e doccia, un cucinino di 2 metri quadrati complessivi occupati per lo più da lavabo con piano e credenza a 2 ante sovrastante. Le celle, prive di finestre con luce a bocca di lupo, si affacciano su un ampio corridoio comune.

I detenuti all’interno di ogni sezione sono lasciati liberi per ciascun piano. Essi sono divisi per pericolosità penitenziaria, ovvero per condizioni di salute; i tossicodipendenti sono raccolti in un’unica sezione e sono divisi tra coloro che seguono terapia con metadone e coloro che non la seguono più.

 

Regina Coeli non ha più sezioni di massima sicurezza ed è un carcere di primo ingresso di media sicurezza, dove soggiornano detenuti non definitivi, vale a dire che un terzo di loro è in attesa del primo grado di giudizio, due terzi in attesa dell’appello. Sono pochissimi i detenuti che hanno ottenuto sentenza definitiva. Il carcere è diviso in otto sezioni: una attualmente chiusa, una con i detenuti che lavorano (che quindi sembrerebbero recuperati), un’altra con i detenuti comuni, composta per lo più da “rubagalline”, voglio dire cioè persone che hanno commesso reati di non grave allarme sociale e non presentano pericolosità; una sezione contiene le persone che hanno problemi di droga, in un’altra sono reclusi insieme stupratori, pedofili, persone che hanno commesso reati finanziari e amministratori pubblici. La direttrice ci ha spiegato che gli altri detenuti non accettano queste persone e, in particolare, che chi amministra la cosa pubblica e chi commette reati finanziari (ed è una persona che gode della fiducia degli altri e ha disponibilità di denaro) è tenuto in grande spregio dalla popolazione penitenziaria perché ha commesso reato senza essersi trovato in stato di bisogno.

Nel carcere di Regina Coeli c’è un centro clinico con due sale operatorie, anche se una delle due non è ancora in funzione perché vi sono problemi per un respiratore. Il Centro è attrezzato con fisioterapia, radiologia, gastroscopia e la prima osservazione psichiatrica con 3 posti sostitutivi di OPG. E’ assicurata la degenza post operatoria. Il centro clinico offre servizi solo per interventi programmati, nel senso che, come molti ospedali, non ha servizio di pronto soccorso ma qui pervengono da tutto il circondario del Lazio, e anche da più lontano, coloro che devono effettuare un’operazione e il loro istituto ha programmato l’intervento. Attualmente vi lavorano 5 chirurghi: due dipendenti dell’Istituto penitenziario per la chirurgia generale, 3 esterni specializzati rispettivamente in ortopedia, urologia, otorino; a breve è atteso un chirurgo specializzato in gastroenterologia. Ci viene riferito che con l’unica sala operatoria attualmente a disposizione sono effettuati circa 7 o 8 interventi al giorno. Nel reparto è presente la Asl RMA. La cucina è gestita infatti dalla Asl che riesce ad assicurare menù personalizzati secondo prescrizione medica perché, come detto, nel reparto è prevista la degenza post operatoria. In tutto il reparto clinico attualmente ci sono 50 ricoverati provenienti per lo più da altri istituti penitenziari di tutta Italia, principalmente del Lazio.

Nel carcere di Regina Coeli la biblioteca del Comune di Roma, 3 volte a settimana, passa a prendere prenotazioni per libri che offre in prestito ai detenuti e agli agenti e siamo rimasti colpiti da quanti libri effettivamente ci siano nelle celle: quasi ogni detenuto prende un libro in prestito. La biblioteca è pure molto fornita, un’intera lunga parete, pari a quei corridoi di molti istituti universitari, anzi, ricorda proprio l’istituto di diritto romano della Facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza. Vitale, un agente penitenziario che sovrintende alle attività ricreative, ci ha spiegato che nell’istituto un’associazione gestisce il cineforum con dibattito successivo alla proiezione: degli 800 detenuti, circa 500 partecipano alle attività ricreative. Chi non partecipa è soprattutto a causa del fatto che è straniero e non capisce la lingua. Ci sono anche corsi di musicoterapia, un corso di buddismo e un laboratorio teatrale gestito da una compagnia, che avrà vinto la gara di appalto, composta da 15 attori esterni e 20 detenuti. Ci hanno mostrato un salone di lettura e qui riceve pure l’ufficiale di stato civile, delegato dal sindaco, quando viene per celebrare matrimoni, riconoscimento di figli. Si svolgono circa 200 colloqui al giorno. I colloqui sono consentiti tutte le mattine e anche il venerdì pomeriggio e una domenica al mese. Non abbiamo visto la sala dei colloqui perché il pomeriggio non c’è il responsabile che tiene la grossa chiave.

Dopo la pronuncia di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi, gli ingressi in carcere si sono notevolmente ridotti ed è stato possibile concedere ferie e permessi al personale penitenziario in grande arretrato. Ovviamente la sezione dalla quale sono rimasta più colpita è la terza sezione, probabilmente influenzata dalla collocazione nel sito storico, cioè dove sono stati reclusi i detenuti politici durante il fascismo, nella parte architettonicamente più bella, ma ho anche avvertito qui un’armonia, ho sentito i detenuti interagire come un’unica anima, anima semplice di detenuti comuni che hanno commesso reati a causa delle loro condizioni di povertà. Nelle piccole celle i loro poveri indumenti rendevano bene l’idea. Tenerezza per le loro poche cose tenute con una cura come fossero gioielli preziosi, probabilmente unici ricordi del mondo di fuori, di giorni in cui la vita non si era ancora sospesa.

Qui a Regina Coeli la vita scorre lenta ma scorre, in altri istituti si è proprio fermata ed è praticata la tortura a causa del sovraffollamento e della mancanza di programmi ricreativi. Nella terza sezione ho fatto un incontro con un ragazzo di circa 35 anni che mi ha riferito di un suo progetto in carcere per organizzare una scuola di cucina. Lui è pasticciere e mi ha confermato che il tedio è la peggiore rovina in carcere perché le persone parlano tra loro e cominciano a organizzare “cose” (così si è espresso). “Se invece gli insegni un’attività, qualcosa, quando usciranno avranno speranza di trovare un lavoro”, queste le sue precise parole. Mi ha detto anche: “io lo so che quando esco di qui vado a fare il pasticciere, ma gli altri? Magari uno su dieci si può salvare e non tornerà a commettere reato se trova un lavoro”.

La popolazione carceraria che ho visto aveva per i tre quarti circa 30 o 35 anni. I detenuti comuni, che rappresentano la più alta fetta di persone recluse negli istituti penitenziari italiani, sono persone povere che hanno commesso piccoli reati per le condizioni di ignoranza ed economiche delle famiglie che non gli hanno consentito di studiare, né di imparare un mestiere.

Nella terza sezione ho avvertito che i detenuti del piano terra erano come un’unica anima, un’anima semplice che ti guardava negli occhi come da tanto tempo non mi accadeva più fuori, occhi che davano risposte e attendevano risposte, come sempre dovrebbe accadere quando si parla tra persone. Qui fuori il nostro è spesso diventato un parlare da soli ma neanche a se stessi, a un qualcuno che ti è diventato sconosciuto come è normale che accada quando hai perso l’abitudine di cercare te stesso nell’altro. Nella terza sezione la vita scorre lenta, ma scorre. Qui fuori che succede?