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Al Quirino con “Ditegli sempre di sì” Geppy Gleijeses interpreta Eduardo e la follia pirandelliana. di Lucio De Angelis

Al Quirino con “Ditegli sempre di sì” Geppy Gleijeses interpreta Eduardo e la follia pirandelliana

 

di Lucio De Angelis

 

“Ditegli sempre di sì”, in scena al Quirino di Roma fino al 9 aprile, è uno dei più importanti titoli della drammaturgia eduardiana. Scritto nel 1927, in due atti, è una prova del genio esilarante, amaro e grottesco di Eduardo, in cui agli echi ricorrenti da “Il medico dei pazzi” e “Le 99 disgrazie di Pulcinella” si sovrappongono anche suggestioni nobili da “Enrico IV” e “Il berretto a sonagli”, che testimoniano di un Eduardo folgorato dai “Sei personaggi in cerca d’autore” del 1923. Il lavoro si inscrive nel genere della pochade scarpettiana contraddistinto da intrecci complicati, intrighi ed equivoci, che trovano una soluzione prevedibile e tranquillizzante alla fine della commedia.

 

Geppy Gleijeses col figlio Lorenzo che, diversi per scelte artistiche ma complementari per tradizione e generazioni culturali, ben ricoprono le figure di Michele Murri e Luigi Strada, interpretate a suo tempo da Eduardo e Peppino. Nel personaggio che fu di Titina, si fa apprezzare invece un attore straordinariamente eterogeneo quale Gennaro Cannavacciuolo,  impegnato in una fantasiosa  trasformazione, che rende merito alla sua specificità d’artista doppio, en travesti.

 

Con la produzione del Teatro Stabile di Calabria Geppy Gleijeses, impegnato oltre che come protagonista anche quale attento regista di quest’esilarante e intelligente pièce, ha presentato al Quirino, che dalla prossima stagione sarà il suo Teatro, un ben affiatato cast di interpreti, tra i quali oltre ai già citati coprotagonisti, vanno menzionati Gigi De Luca e con lui Felicia Del Prete, Gino De Luca, Laura Amalfi, Ferruccio Ferrante e Stefano Ariota.
Le luminose scene sono di Paolo Colafiore, i coloriti e colorati costumi sono firmati da Gabriella Campagna; le musiche sono di Matteo D’Amico; light desiner Luigi Ascione.

 

Michele Murri, protagonista della vicenda, è un pazzo vero, “che è fissato sulle parole, che dice che la gente non parla con le parole appropriate, crea degli equivoci e fa dei pasticci”. Quando esce dal manicomio sembra perfettamente ‘a posto’: cortese, attento, affabile. Pirandello usava, e Eduardo lo sapeva bene, la pazzia, come strumento suggerito o usato dal protagonista per lavare l’onta e la vergogna del tradimento (Il berretto a sonagli), per rifugiarsi nel proprio microcosmo, impermeabili alle tempeste dei sentimenti e alle sofferenze della vita (Enrico IV) o per insinuare il dubbio, un dubbio fatale e corrosivo (Così è, se vi pare).

 

Gli altri riferimenti eduardiani erano sè stesso e la tradizione sancarliniana. Ne “Le 99 disgrazie di Pulcinella” la maschera finisce in mezzo ai pazzi di un manicomio e ne “Il medico dei pazzi” Scarpetta pone a confronto un ingenuo campagnolo con i clienti di un albergo che con il loro strano comportamento lo inducono a crederli pazzi. E soprattutto la pazzia è utilizzata per sfuggire al castigo della legge o al giudizio della Società in “Uomo e galantuomo” il primo dei grandi testi eduardiani (1922).

 

In “Ditegli sempre di sì” ci troviamo davanti a un pazzo vero. La circostanza è dolorosa, fertile, straniante, esilarante e pericolosa. Eduardo lo sapeva bene: affrontare la malattia mettendoci le mani dentro come autore e come attore era una grande occasione e una scommessa. Non a caso tra modifiche, ripensamenti, variazioni linguistiche e semantiche, ritroviamo più di dieci versioni dell’opera, molto o a volte poco diverse tra loro.

 

Esiste in natura la pazzia di Michele Murri? Sì. La psichiatra Angela Colucci la definisce una sindrome ossessiva derivata dall’assenza del “simbolico”. Michele per rimanere agganciato a quella realtà che gli sfugge da ogni lato rifiuta la metafora, la parafrasi, l’allegoria: le parole devono corrispondere a un dato reale, a situazioni esistenti. Se un personaggio gli dice: “sono morto”, egli invia subito al fratello un telegramma di condoglianze, se una fanciulla non ha nè padre nè madre (è orfana) Michele si domanda “e chi l’ha fatta?”, se Luigi Strada finge di mostrargli soldi che non esistono, lui li vede subito materializzati.

 

Michele ci fa ridere tanto, ma noi ridiamo di una “vera disgrazia”. E lo straniamento derivante dalla sua diversità, in questa interpretazione diventa tic linguistico, non balbuzie, ma disco rotto o incantato, ripetizione ossessiva, inspirazione angosciante, non fissata a copione ma disseminata in modo jazzistico, quasi a ricordare che il linguaggio di un folle rispecchia la sua angoscia e la sua sofferenza.

 

Come non agganciare allora “Ditegli sempre di sì” al contesto storico in cui vide la luce? Tanto più se Eduardo in quegli anni, costretto ad annunciare alla fine di una recita la nascita dell’Impero, riferendosi al duce, raccomanda al pubblico: “Ditegli sempre di sì”!?

 

Accanto alla follia di Michele, c’è poi la diversità del giovane Luigi Strada, il suo specchio ustorio, un “pericolo per la Società”, mezzo attore, medico, artista, letterato, un eversivo irregimentabile, uno “stravagante”, nell’epoca in cui la stravaganza era una minaccia per l’ordine costituito. E la sorella di Luigi, Teresa, custode delle sue sofferenze, è descritta come “mancante di qualche rotella” è al limite della normalità, maniaca dell’ordine e probabilmente asessuata nel solco dell’astrattezza di un Alec Guinness.
 
Agli occhi di Michele il mondo è tutto “a capa sotto”, fuori dalle quattro mura che lo proteggono lo scenografo Paolo Calafiore costruisce un panorama rovesciato: dal balcone di casa Murri, Michele vede una foto di Alinari tridimensionale, in cui il cielo è sotto le case rovesciate e il sole tramonta salendo. Allo stesso modo il giardino di casa Gallucci, che vede desinare i nostri amici, é minacciato da 150 enormi girasoli, piante carnivore che sotto un cielo scurissimo attendono l’epilogo di questa piccola vicenda umana.

 

C’è un confine drammaturgico in “Ditegli sempre di sì”: dopo un’ora e mezza di risate (a volte amare) e di segnali inquietanti, il testo vira e trascolora nel dramma. Da quando Teresa di fronte al dilagare della pazzia del fratello è costretta a  rivelare la vergogna della malattia, è tutto un precipizio, l’alter ego Luigi Strada prima dello svelamento viene ritenuto pazzo, Michele si rispecchia completamente in lui, lo chiama “Michele Murri”, vuole convincerlo a liberare la gente normale dalla sua presenza, lo impicca per i piedi (come Mussolini a piazzale Loreto) e poi per salvarlo cerca di tagliargli la testa, origine di ogni male.

 

Il sacrificio viene interrotto da Teresa con un semplice richiamo e i due tornano a casa, che per loro, e lo sanno, sarà l’eterna volontaria prigione, mentre tutti i personaggi scoprendo le giacche private dei bottoni, resteranno lì, lasciando incuranti Luigi Strada appeso come un salame. Il grande teatro napoletano del secolo scorso, da Eduardo a Viviani e poi da Ruccello a Moscato, funziona così. Si ride e si piange, passando da una scena all’altra, a volte da una frase all’altra nella stessa battuta.

 

 

Teatro: Quirino
Città: Roma
Titolo: Ditegli sempre di si’
Autore: Eduardo De Filippo
Regia                 
                                            Geppy Gleijeses
Personaggi e interpreti:
Michele Murri                                               Geppy Gleijeses
Teresa Lo Giudice, sua sorella                 Gennaro Cannavacciuolo
Luigi Strada                                                 Lorenzo Gleijeses
Don Giovanni Altamura                             Gigi De Luca
Evelina, sua figlia                                       Felicia Del Prete
Ettore De Stefani, amico di Luigi Gino De Luca
Vincenzo Gallucci, amico di famiglia      Antonio Ferrante
Saveria Gallucci, sua moglie                    Gina Perna
Olga, fidanzata di Ettore                           Laura Amalfi
Croce, medico                                             Ferruccio Ferrante
Attilio Gallucci                                             Stefano Ariota
Checchina, cameriera                               Gina Perna
Nicola, cameriere                                       Ferruccio Ferrante
Un fioraio                                                     Gino De Luca

 

Scene                                                            Paolo Calafiore       
Costumi                                                        Gabriella Campagna          
Light designer                                             Luigi Ascione           
Musiche                                                        Matteo D’Amico