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Al Vittoria Roberto Herlitzka è, in un’ennesima prova di bravura, Rudolf Herrenstein, protagonista di “Elisabetta II”

Al Vittoria Roberto Herlitzka è, in un’ennesima prova di bravura, Rudolf Herrenstein, protagonista  di “Elisabetta II”

 

di Lucio De Angelis

 

Thomas Bernhard  è stato uno scrittore, romanziere e drammaturgo austriaco, oltre che poeta e giornalista, tra i massimi autori della letteratura contemporanea non solo di lingua tedesca.

“Elisabetta II” è una delle sue ultime pièces, scritta nel 1987 e non è mai stata rappresentata in Italia. La scelta di un attore come Roberto Herlitzka, massimo virtuoso della parola, e già interprete con successo di altre opere di Thomas Bernhard , é particolarmente preziosa e interessante per la realizzazione di un testo carico di ironia trasgressiva e dissacrante nei confronti del mondo e dei potenti.

 

Il protagonista, Rudolf Herrenstein, è un ricco mercante d’armi che ha perso le gambe in un incidente, per cui è costretto a vivere su una sedia a rotelle; nonostante il suo enorme potere economico, dipende paradossalmente dal suo giovane domestico Richard che – come il padrone paventa – medita di andarsene in America insieme con un certo Dr. Schuppig, figlio di un nazista, con il quale ha una relazione. Fra Herrenstein, che è un fiume di parole, e il suo domestico, quasi muto, s’instaura uno di quei tipici rapporti di forza che caratterizzano il teatro di Bernhard, dove quasi sempre il personaggio taciturno si rivela potentissimo, in quanto colui che è in apparenza la figura dominante vive in realtà in uno stato di totale soggezione psicologica dall’altro, percepito come indispensabile e insieme come minaccioso.

 

Herrenstein è uno dei tanti misantropi del teatro di Bernhard; è burbero, per nulla socievole, anzi spocchioso nei confronti del prossimo:

 

“La gente mi perseguita con il suo odio

fin da quando ho facoltà di memoria

tutta gente perbene

gente sana

benestante ricca

Mi invitano

ma io non ci vado

di continuo mandano inviti

ma io non reagisco

Al mio compleanno voglio

che tutte le tende restino chiuse per tutto il giorno

gli auguri sono oltraggi.”

 

Herrenstein non vuol più avere con la gente nessun tipo di contatto, tanto meno fisico, perché è convinto che non valga la pena di frequentare nessuno. Ma nonostante il suo odio dichiarato per l’umanità, si trova un giorno suo malgrado a dover aprire la sua casa a un numero enorme di ospiti; infatti, in occasione di una visita ufficiale della regina d’Inghilterra a Vienna, ha concesso a suo nipote il permesso di venire a vedere con alcuni amici il corteo regale dal balcone della sua casa che dà sulla Ringstrasse. Il nipote ha però invitato più di quaranta persone, inscenando una sorta di galà con buffet, che allo zio risulta “ripugnante” (uno degli aggettivi cui l’autore ricorre con maggiore frequenza).

 

L’ospite, che già odia in generale i rapporti sociali fatti di convenienza e falsità, trova assolutamente molesti e intollerabili i modi e i comportamenti dei suoi concittadini.

 

Gli insulti all’Austria, una costante nella produzione di Bernhard, non mancano neppure in questa pièce che contiene una serie di tirate contro lo stile di vita dei borghesi di Vienna, con il loro vacuo culto per l’arte e per la musica, di cui però non capiscono nulla.

 

Per Herrenstein il Burgtheater, luogo mitico della Vienna bene, è un “un permanente palcoscenico degli orrori”, una “perversa macchina di distruzione di copioni”; quanto all’opera, il vecchio ama solto Mozart, odia Brahms e trova le opere di Verdi, “questa italianità da ghiandole lacrimali”, assolutamente abominevole.

 

Il brontolone Herrenstein è presentato come la quint’essenza del decadimento fisico: porta la dentiera, ha la vista quasi azzerata dalla cataratta, soffre di dolori d’ogni tipo ed è pure cardiopatico; insomma è una sorta d’incarnazione della morte, ma, paradossalmente, sarà l’unico a sopravvivere alla catastrofe finale.

 

Fin dalle prime battute “Elisabetta II” è attraversato da simboli funerei e anche gli invitati di Herrenstein sono tutti vestiti di nero, perché, dopo aver guardato il corteo della regina d’Inghilterra, intendono recarsi al funerale di un facoltoso gioielliere viennese. Il padrone di casa non è certo un ospite cortese, anzi è palesemente irritato da quella folla d’invasori, attratti da una testa coronata che lascia invece lui del tutto indifferente:

 

“La nobiltà continua a far impazzire la gente

In Austria è stata abolita

e continua a fare impazzire tutti.

stupido popolo ineducabile

La nobiltà e i guitti

sono quello che più interessa agli Austriaci

Se muore un cabarettista

sono decine di migliaia ad accorrere alla sua sepoltura.

Umanità priva di buon gusto.”

 

Herrenstein si sente estremamente a disagio quando la sua casa si trasforma in un tipico salotto viennese, con l’imbecille Neutz che racconta una barzelletta insulsa dopo l’altra credendo d’essere spiritoso, e con una serie di signore, ingioiellate e imbellettate, che s’intrattengono su non-argomenti e lo irritano con le loro smancerie:

 

“Non posso credere

che hai un così bell’aspetto

Badgastein ti ha fatto bene Rudolf

[…]

Si vede

la vecchia buona Badgastein

che bell’aspetto che hai Rudolf

no, davvero fantastico.”

 

Il vecchio sa perfettamente che tutti intorno a lui mentono e gli fanno la corte solo perché è ricco. Di fronte alla loro disarmante imbecillità e ai loro sdolcinati salamelecchi, l’ospite spera perfido in cuor suo che vadano tutti alla malora, come confida al suo unico amico, il filosofo Guggenheim:

 

“Per tutta questa gente non sarebbe un gran danno,

aspettano tutti solo che io crepi

Ma lei lo sa bene questa gente non erediterà niente

a questo ci ho già pensato”

 

Già prima, con lucida preveggenza, Herrenstein si era espresso così a proposito del proprio patrimonio:

 

“Preferirei non lasciare indietro proprio niente

un mucchio di macerie al massimo

È inutile a chiunque lasciamo in eredità qualcosa

sbagliamo sempre assurdità orripilante.”

 

 Questa sua perfida profezia si avvera nella breve terza scena conclusiva: quando finalmente tutti i suoi ospiti sono usciti sul balcone in attesa della regina, Herrenstein commenta soddisfatto:

 

“Ecco così me ne sono definitivamente liberato.

È l’ultima volta

che questa gente

viene a casa mia.

È la più ripugnante di tutte,

è proprio quella che odio più profondamente

questa canaglia in salute.”

 

Ed ecco che all’improvviso si sente un boato: sotto il peso dei curiosi il balcone crolla, trasformandosi in un ammasso di macerie. Herrenstein conclude: “Probabilmente sono tutti morti”; gli fa eco il domestico, che si è salvato con lui, dichiarando: “Certamente”.

 

La messa in scena di questo testo di Bernhard si configura come un’ulteriore tappa di approfondimento dell’autore austriaco, dopo aver già affrontato, sempre con Roberto Herlitzka, “Semplicemente complicato” e la riduzione teatrale del primo romanzo di Bernhard “Gelo”.

 

Le opere di Bernhard sono molto influenzate dalla sensazione di solitudine (provata soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza) e dal suo male incurabile, che gli fece vedere la morte come ultima essenza dell’esistenza. I suoi lavori sono generalmente lunghi monologhi sulla situazione del mondo e come esso influisce sulle situazioni concrete. Questo è vero sia per i suoi romanzi sia per le opere teatrali, dove lo spettatore è considerato come l’altra parte di un dialogo.

 

I suoi protagonisti (spesso giovani studenti) denunciano il desolato spettacolo della “stupidità della popolazione” austriaca; lo stato (spesso chiamato “Cattolico-Nazional-Socialista”), viene descritto come una nazione al collasso economico, sociale ed artistico e per questo motivo Bernhard è più apprezzato all’estero che in patria. Le tematiche dei suoi lavori non si limitano però a questo, dato che le sue opere riflettono anche sull’isolamento e l’auto-decomposizione delle persone che cercano la perfezione. La Perfezione, per Bernhard, è impossibile da trovare, poiché essa significa stagnazione o addirittura morte.

 

 

Teatro Vittoria

ELISABETTA II

di Thomas Bernhard

Traduzione di Umberto Gandini

 

con Gianluigi Pizzetti, Jiulio Solinas, Marisol Gabbrielli, Alessandra Celi,

Mariella Fenoglio, Antonio Sarasso, Simone Faucci

 

Scene Alessandro Chiti, Costumi Roberto Posse e Nathalie Von Teufenstein,

Musiche Arturo Annecchino, Luci Luigi Ascione

 

Regia Teresa Pedroni