Alemanno solitario assediato in Campidoglio
Di Alessandro Calvi
«Mai stato fascista», ha detto pochi giorni fa. Ma neppure l’ultimo tentativo di tenere la barra a dritta sulla strada già segnata da Walter Veltroni («Non sono mai stato comunista»), è servito. Il salto di popolarità alla Veltroni, infatti, ancora non c’è stato e, nel frattempo, Alemanno deve fare i conti con una città che sembra sfuggirgli di mano mentre lui guarda altrove. Ieri, in Campidoglio, con la riunione degli ex colonnelli è sembrata rimaterializzarsi la vecchia An. E, forse, è proprio questo il suo peccato originale: il volere ostinatamente giocare una partita su due tavoli. Il rischio è che a forza di fare come Veltroni, Alemanno finisca per seguirne anzitempo le orme; e sino in fondo. Ieri, tanto per dire, i colonnelli hanno perso le truppe.
Roma Africana, disse Silvio Berlusconi. Era fine maggio e il premier, in piena campagna elettorale per le europee, se ne uscì con un: «Fa male al cuore girare per città come Roma, Napoli, Palermo e vedere che, come scritte e come lordura delle strade, sembrano più città africane che europee». Al di là delle precisazioni di prammatica, il senso era piuttosto chiaro ed era quello un invito a fare soltanto il sindaco ed evitare che, proprio Roma, potesse causare una emorragia di consensi alle imminenti europee. Inoltre, implicitamente veniva ricordato ad Alemanno che il modello di governo alla Veltroni – la partita doppia Campidoglio-Parlamento con il Comune usato come tribuna per pesarsi nel partito nazionale – non aveva portato fortuna. Ebbene, da allora le cose non sono cambiate e il lavorìo che ha poco a che fare con il governo della città è andato avanti. La riunione tra i colonnelli di An sul caso Fini-Feltri, per dirne una, si è svolta proprio in Campidoglio. Come è andata a finire, lo raccontavano ieri tutti i giornali.
Se sul tavolo nazionale le cose non filano, non vanno certo meglio su quello locale dove le grane politiche sono tante e rendono il governo della città più complicato di quanto sarebbe auspicabile. Inizialmente, la città è stata governata da una sorta di supergiunta con dentro ex azzurri ed ex aennini. Poi, però, l’equilibrio si è spezzato e Alemanno ha dovuto indietreggiare la propria trincea, attestandola sugli ex di An e, soprattutto, sui dioscuri del centrodestra romano: Fabio Rampelli e Andrea Augello, già artefici della sua campagna elettorale. Con loro, Vincenzo Piso, coordinatore del Lazio del Pdl ed ex capo di An a Roma. Lo scontro con gli azzurri del Pdl è avvenuto soprattutto su due dossier: quello delle aziende (e delle nomine) e quello del rapporto con i poteri della città, primo tra tutti i costruttori. Inutile dire che si tratta di due dossier che hanno finito per incrociarsi spesso. Basti citare, per tutti, il caso Andrini, uomo dal passato ingombrante, nominato ad di Ama, l’azienda romana che gestisce i rifiuti.
«Un ex naziskin ai vertici Ama», titolava la cronaca romana di Repubblica del 1 settembre scorso. E spiegava: «Stefano Andrini: 39 anni, condannato a 4 anni e mezzo per tentato omicidio di due giovani di sinistra nel 1989». Qualche settimana Alemanno liquidò le voci sulla possibile nomina di Andrini come una «invenzione totale». Fu presto smentito dai fatti. E scoppiò la bufera. Lo stesso Alemanno, pochi giorni fa, tornando sull’argomento con il Corriere della Sera ha spiegato: «Io non potevo fare nulla. Quella è una nomina interna». Al di là del fatto che, se è così, Alemanno dà la sensazione di non avere ben salde nelle proprie mani le chiavi della macchina, ma ciò che ha colpito molti è stata la mancata sponda degli ex azzurri. Francesco Giro, numero due di Sandro Bondi ai Beni Culturali ed ex coordinatore azzurro del Lazio, parlando di un «passo falso», ha detto: «Alemanno deve poter avvertire chiaramente la nostra vicinanza e solidarietà. A Roma si governa insieme». Ed è sembrato, quello, più un avvertimento che una presa di distanza. Lo stesso Giro, vale ricordarlo, con Alemanno si era già scontrato ai tempi delle decisioni sul parcheggio del Pincio. Fu quella la prima prova dei rapporti tra i costruttori e il neo sindaco approdato in Campidoglio sull’onda della «discontinuità» auspicata da Francesco Gaetano Caltagirone. Da allora, i due dossier – costruttori e aziende – si sono incrociati spesso, come insegna la storia dell’Acea. E non è tutto.
Già, perché nel frattempo si rompe qualcosa anche tra gli ex di An. La spia che qualcosa è accaduto è la vicenda dei nuovi stadi che potrebbero nascere a Roma. Rampelli ha dato una sorta di altolà mentre Augello ha assunto una posizione più defilata. Sullo sfondo, il grande giallo sul nome del candidato delle ormai prossime elezioni regionali. Potrebbe essere proprio quello di uno dei due dioscuri, sempre più lontani tra loro. Alemanno, nel frattempo, è stato costretto ad arretrare ancora una volta la linea della trincea ai fedelissimi. In pratica, al solo Vincenzo Piso.