RADICALI ROMA

Altro che tagli, le Province crescono

Il presidente del Senato Franco Marini non aveva ancora pronunciato il suo discorso di insediamento quando un drappello di senatori di Forza Italia, guidato da Pasquale Giuliano, depositava un progetto di legge per istituire una nuova provincia: Aversa. Era il 28 aprile dell’anno passato, le urne erano ancora «calde», partiva l’ennesimo assalto alla diligenza. A distanza di poco più di un anno, depositate in Parlamento ci sono ben 43 proposte di legge che propongono 24 nuove province. In pratica in ogni regione d’Italia, dal Nord al Sud, isole comprese. Per pagarle tutte ci giocheremmo metà del tesoretto che Padoa-Schioppa ha reso disponibile per la spesa sociale: 1,2 miliardi. Una follia. Non a caso in questi giorni il ministro Amato sta pensando di rispolverare la norma stralciata dall’ultima Finanziaria che congelava tutti i fondi destinati ad istituire nuovi uffici periferici (prefetture, questure, ecc.) nelle nuove province non ancora decollate, come Monza, Fermo e Barletta-Andria-Trani.

Proposte bipartisan
L’ultimo «pdl» messo agli atti è datato 16 aprile, quando già da settimane infuriava la polemica sui costi della politica e le province campeggiavano in cima alla lista degli enti inutili: istituzione della provincia dell’Arcipelago toscano, capoluogo Porto Ferraio. La proposta è del Dc-Ps Lucio Barani che fa salire a 17 i progetti firmati da deputati e senatori di Nuova Dc e alleati, 12 arrivano da Forza Italia, 4 dall’Udc, 3 dai Verdi, 2 a testa da Ulivo e Lega Nord, mentre An, Rosa nel pugno e gruppo Misto ne siglano uno ciascuno. I recordman assoluti sono i dc Catone e Rotondi, con 8 nuove province, seguiti da Mario Pepe (deputato di Forza Italia eletto a Velletri) che ne propone 3. Tutte nella sua area di influenza: Castelli romani, Civitavecchia e Guidonia. Le province più sponsorizzate (con 4 pdl ciascuno) sono quelle di Melfi e della Venezia orientale. Consensi bipartisan e doppio capoluogo, a Portogruaro e San Donà di Piave. Aversa, Avezzano, Bassano del Grappa, Sibaritide Pollino e Sulmoma hanno tre nomination a testa, due Nola e la provincia «dei Marsi». Come Lanciano Vasto Ortona e Frentana, che è l’unica proposta dai Verdi. Che come altre forze di maggioranza gridano da tempo contro i costi della politica e poi coi senatori Marco Pecoraro Scanio (fratello del leader Alfonso) e Tommaso Pellegrino, a loro volta giocano a scassare la cassa. Luca Volontè dell’Udc appoggia la richiesta di Busto Arsizio, il leghista Roberto Cota vuole staccare Canavese e Valli del Lanzo da Torino, il senatore Malan (Fi) punta invece le sue carte su Pinerolo. Per il leghista Davide Caparini anche la Valcamonica merita il titolo di provincia. Il suo collega Paolo Grimoldi propone invece di allargare quella di Monza ai comuni di Busnago, Caponago, Cornate d’Adda e Roncello. Valter Zanetta di Forza Italia chiede l’assegnazione dello statuto speciale a Verbania Cusio Ossola e pure l’istituzione di una zona franca, il leghista Montani la vorrebbe invece trasformare in provincia autonoma. Progetto che altri deputati della Lega coltivano invece per Treviso, Bergamo e Belluno.

Governo contro
Tutte proposte destinate ad infrangersi. «Non va avanti nulla» protesta Rotondi. Il governo, infatti è contrario ad istituire nuove province, e contrari lo sono innanzitutto il ministro dell’Interno e quello degli Affari regionali. Anche l’Unione delle province si è messa da tempo di traverso. «La loro proliferazione non fa che indebolirci» spiega il presidente dell’Upi Fabio Melilli. Linda Lanzillotta ha già avviato il monitoraggio per verificare le dimensioni ottimali e a breve dovrebbe indicare «gli standard minimi» per la «buona provincia», preludio di un severo piano di aggregazioni. Nell’attesa il ministro della Margherita ha messo a punto un pacchetto di misure che sottoporrà oggi a Comuni, Province e Regioni. La prima mossa prevede un taglio «minimo» del 25% del numero dei consiglieri, per tutte e tre le tipologie degli enti. Con un risparmio che per i comuni potrebbe arrivare a 120 milioni di euro l’anno, mentre quello delle Province sarebbe di 27-28. Per le Regioni, che comunque dovranno recepire le nuove norme all’interno dei loro statuti, si pensa anche di riparametrare il numero dei consiglieri in base alla popolazione. Per fare un esempio: la Lombardia, una delle regioni più «virtuose», ne ha 81 su un totale di oltre 9 milioni (in pratica uno ogni 117 mila abitanti), il Friuli Venezia Giulia 1 ogni 20 mila, il Molise addirittura 1 ogni 10 mila.

Circoscrizioni addio
Per i consigli di circoscrizione si pensa di elevare in maniera considerevole i requisiti che rendono obbligatoria la loro costituzione, che oggi scatta quando una città ha più di 100 mila abitanti, mentre resta facoltativa tra i 30 mila ed i 100 mila. La proposta è quella di renderli obbligatori solo sopra i 500 mila abitanti, facoltativi (e quindi senza corresponsione dei gettoni di presenza) tra 100 mila e 500 mila abitanti e abolirle sotto quota 100 mila. In maniera tale da «ristabilire un principio importante: che la politica è impegno civile, non una professione retribuita». Infine i benefit: anche per auto blu, cellulari, collaboratori e consulenti si punta ad introdurre criteri uguali per tutti. Nel caso oggi arrivasse l’ok tutte queste misure potrebbero confluire nel disegno di legge sui costi della politica che il governo presenterà tra 15 giorni. Comuni e Regioni sono d’accordo a dalogare sui costi della politica, «ma in maniera razionale e non demagogica» chiede il presidente dell’Anci Leonardo Domenici che propone un «patto tra le istituzioni» che coinvolga anche governo e Parlamento.