RADICALI ROMA

Amato: questa riforma resuscita il centro

ROMA — I partiti della maggioranza? «Sono come dei separati in casa, che vivono sotto lo stesso tetto ma, per esempio, non possono cucinare insieme per non incontrarsi». Giuliano Amato è convinto che risieda qui, nelle divisioni della maggioranza, il primo motivo che ha indotto il centrodestra a dar battaglia per cambiare la legge elettorale: «Un candidato dell’Udc, in un collegio uninominale del Nord, non prenderebbe mai il voto leghista».
Ma, aggiunge, «nella farmacopea questo escogitato dalla Casa delle Libertà si chiama un rimedio sintomatico»: per venire a capo delle malattie che affliggono in tanti Paesi le coalizioni servono ben altre cure.
Vuol dire che il problema non è soltanto del centrodestra, e neppure solo italiano?
«Certo, e gli esempi si sprecano. Dalla Norvegia, dove i socialisti, europeisti convinti, dovranno governare con antieuropeisti altrettanto convinti, alla Nuova Zelanda, dove Hellen Clark, laburista, che ha appena vinto le elezioni, deve tenere insieme forze favorevoli e forze assolutamente contrarie all’immigrazione. Alle divisioni classiche, figlie del conflitto tra capitale e lavoro, dappertutto se ne aggiungono e se ne sostituiscono di nuove e diverse. E i contenitori politici che abbiamo non riescono ad amalgamare, ma solo a riflettere i contrasti. Come in uno specchio».

Verissimo. Ma non ci stiamo allontanando un po’ troppo dalla battaglia in corso a Montecitorio?
«Faccio io una domanda: vogliamo avviarci verso Babele o provare a coagulare le nuove identità collettive? Nel secondo caso, la superiorità del maggioritario è indiscutibile».

Ma sono indiscutibili anche i vizi del maggioritario all’italiana, che non ha semplificato il sistema politico ma, paradossalmente, ne ha moltiplicato attori e comparse…
«Potrei risponderle che lo ha scritto lei: è tutto vero, ma il rimedio del centrodestra è peggiore del male. Non c’è dubbio che, con la legge in vigore e con gli attuali regolamenti parlamentari, i Proci disfano la tela della Penelope maggioritaria. Ma allora, dico io, diamo una mano a Penelope, non ai Proci».

E come?
«Io credo che il sistema maggioritario a doppio turno, alla francese, sia il veicolo migliore per la coesione. Questa non è una priorità, ma la direzione di marcia giusta sì».

Romano Prodi e Massimo D’Alema sostengono che, se passasse questa legge elettorale, il centrosinistra al governo dovrebbe cancellarla per tornare al maggioritario. È d’accordo? «Sì. Fece così anche la destra francese cancellando la proporzionale introdotta due anni prima, a suo danno, da Mitterrand».

Anche Luca di Montezemolo, a Capri, non ha risparmiato critiche al nostro maggioritario. Ha letto le sue parole come una presa di distanze dal centrosinistra?
«Le riflessioni critiche di Montezemolo su questo maggioritario sono in gran parte le nostre. Certo, c’è stata anche una sua colazione con il presidente della Camera dai toni particolarmente conviviali. Ma io penso che la nostra coalizione, se produrrà un’azione di governo efficace, sarà in sintonia con il Paese. E quindi anche con gli imprenditori».

Con la legge elettorale del centrodestra, invece… «Questa riforma può sfasciare il bipolarismo. E forse qualcuno la ha ideata proprio in questa chiave. Non penso alle prossime elezioni, penso al dopo. Alla possibilità che le attuali coalizioni si scompongano. E prenda corpo un centro, che a quel punto aspirerebbe ad avere, alla sua destra e alla sua sinistra, due forze un po’ più piccole. Risultato: ci sarebbero tre agglomerati politici, tutti e tre con una forza stimabile tra il 20 e il 30 per cento, tutti e tre in grado di vincere, conquistando, con il premio di maggioranza, 340 seggi alla Camera. Sarebbe il salto con l’asta più notevole della storia…».

Le sembra una possibilità realistica? «Certo non mi sembra pura fantapolitica. Anche se continua a stupirmi il fatto che, invece di ragionare su come andare avanti, si ragioni su come tornare indietro. Immaginando, a torto, che il centro geometrico del sistema politico coincida con il centro delle nostre società».

Non è detto che il passato non si ripresenti. In Germania c’è di nuovo la Grande Coalizione.
«Sì, ma è una soluzione di ripiego: Dio aiuti la Spd a reggere la concorrenza spietata che le faranno Oskar Lafontaine e gli ex comunisti. Insisto: il tema non è il passato, il tema è il futuro, la capacità di ricondurre la pluralità delle posizioni a due scelte di fondo».

Anche l’Unione, quanto a pluralità, o se preferisce a divisioni interne, non scherza davvero.
«Non sarò io a negarlo. Soprattutto in politica internazionale, viste le turbolenze del mondo, le divisioni ci sono, eccome. E non potrebbe essere altrimenti se in nome di un pacifismo irriducibile si dice, come ha detto Fausto Bertinotti, che al Kossovo deve provvedere l’Onu, dimenticando che il pasticcio del Kossovo l’Onu lo gestisce da anni. Lo sforzo è tenere insieme le diversità in un’unica Unione per una sfida di governo».

Si aspetta un programma comune. Ma intanto ci sono le primarie, e del programma si parlerà solo dopo.
«È giusto che sia così, e io lo sostengo da un pezzo. Una cosa è piegare la testa al “tavolo” di Piazza Santi Apostoli, un’altra prendere atto del risultato di un voto popolare, dopo un confronto democratico. Il programma? Se prendo il 20 per cento, tu che hai preso il 60 o il 70 dovrai tenerne conto, si capisce, ma nell’ambito della tua impostazione. Il dopo produce i suoi effetti dopo, non prima: le cose dette prima del voto da Prodi assumeranno, dopo, un significato diverso, più forte. Pensi all’Europa. Prodi non perde occasione per metterla in rilievo. E Bertinotti, che è l’altra campana, dovrà prendere atto dopo la sconfitta dell’affermazione di un punto di vista fortemente europeista».

Capisco. Intanto, a Milano, Umberto Veronesi rinuncia alla candidatura a Palazzo Marino.
«Il centrosinistra milanese avrebbe dovuto portare un cero alla Madonna per la sua disponibilità. Adesso tutti quelli che gli hanno messo mille bastoncini tra le ruote farebbero bene a riflettere sul bel risultato che hanno ottenuto».

Paolo Franchi