RADICALI ROMA

Ancora meritatissimi applausi per “Aspettando Godot” di Beckett nel ventennale della morte.

Ancora meritatissimi applausi per “Aspettando Godot” di Beckett nel ventennale della morte.

di Lucio De Angelis

Con la messa in scena di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, classico del teatro contemporaneo nella traduzione di Carlo Fruttero per la regia di Lorenzo Loris, sul palco dell’ ‘India’ di Roma la compagnia ‘Out Off Teatro di Innovazione’ celebra il ventennale della morte dello scrittore irlandese, premio Nobel per la letteratura nel 1969.

Rappresentata per la prima volta a Parigi il 3 gennaio 1953, la commedia è una pietra miliare del teatro del Novecento, di cui sono protagonisti due strani esseri umani. Vestiti come vagabondi, o come clowns, Estragone (Gogo) e Vladimiro (Didi) si trovano sotto un albero in una strada di campagna: sono lì perché un certo Godot ha dato loro appuntamento.

I due (e con loro anche gli spettatori) non sanno neanche esattamente chi sia questo Godot, credono comunque che quando arriverà li porterà a casa sua, darà loro qualcosa di caldo da mangiare e li farà dormire all’asciutto….Ma questo terzo uomo non arriverà mai.

“Non c’è nulla di più comico della tragedia” ha scritto Beckett. E “Aspettando Godot” è una tragicommedia costruita intorno alla condizione dell’attesa, in cui questi due strani “border-line”, che sembrano usciti da una comica del cinema muto, gettati ai margini di una società che non conoscono, in uno spazio insieme astratto e concreto, s’imbattono a un certo momento in un’altra strana coppia: quella formata da Pozzo e Lucky, forse metafora degradata della dialettica servo-padrone.

Da questo vuoto esistenziale, privo di significato allegorico anche se caratterizzato da forti valenze metafisiche, Samuel Beckett lascia emergere con grande forza teatrale l’immagine di una realtà parallela, di un ultimo rifugio dell’anima, dove la fantasia può invadere la scena e prendere il sopravvento sulla morte, facendo trionfare un eccentrico e assurdo mondo interiore, fatto di lazzi, gestualità, non-sense e divertenti paradossi: la vita stessa, insomma.

“E’ indubbio – dice Lorenzo Loris – che attenendosi in modo ferreo alle regole che Beckett ci segnala si pensi di avere poca libertà di interpretazione, ma se si segue la sua gabbia di indicazioni si finisce per immagazzinare un tale bagaglio di informazioni che diventa quasi naturale costruire una regia senza dover rinunciare alla propria libertà creativa…”.

“Dopo mezzo secolo dalla prima rappresentazione, nelle nostre metropoli multietniche “Aspettando Godot” può rappresentare l’emblema di una società in cui l’uomo vive una dimensione spersonalizzante e raggiunge il paradosso di sentirsi solo in mezzo alla moltitudine”.

Quale epigrafe a questa messa in scena, si potrebbe far ricorso alla traduzione ai versi della sua poesia ‘Coda’, là dove si legge: “Chi mai la storia fino in fondo // del vecchio potrà raccontare ? // pesare su un piatto l’assenza ? // Valutare in piena coscienza // tutto ciò che viene a mancare ? // Dai tanti dolori del mondo // stimare la somma e la mole ? // Rinchiudere il niente in parole ?”

“Aspettando Godot” appartiene al genere teatro dell’assurdo, un genere di teatro – che ha come protagonisti oltre a lui, Ionesco, Adamov (e inizialmente) Genet – dominato dalla credenza che la vita dell’uomo sia apparentemente senza senso e senza scopo, e dove l’incomunicabilità e la crisi di identità si rivelano nelle relazioni fra gli esseri umani.

Gogo e Didi si lamentano continuamente del freddo, della fame e del loro stato esistenziale; litigano, pensano di separarsi (anche di suicidarsi), ma alla fine restano lì l’uno dipendente dall’altro. Ed è proprio attraverso i loro discorsi insensati e superficiali inerenti argomenti futili e banali, che emerge il nonsenso della vita umana predicato dall’autore.

Ad un certo punto della storia arrivano altri due personaggi: Pozzo e Lucky. Pozzo, che si definisce il proprietario della terra sulla quale Vladimiro ed Estragone stanno, è un uomo crudele e al tempo stesso “pietoso”, tratta il suo servo Lucky come una bestia, tenendolo al guinzaglio con una lunga corda.

Pozzo, nell’idea dell’autore dell’opera, rappresenta il capitalista e Lucky il proletario e la corda che li unisce indica l’indispensabilità dell’uno per l’altro e viceversa. Usciti di scena i due, Didi e Gogo, dopo aver avuto l’incontro con il ragazzo “messaggero di Godot”, rimangono fermi mentre dicono “andiamo, andiamo” a testimoniare ancora una volta l’insensatezza della loro vita e la mancanza di una meta, di un obiettivo da raggiungere.

Il secondo atto differisce solo in apparenza dal primo: Vladimiro ed Estragone sono di nuovo nello stesso posto della sera precedente. Continuano a parlare (a volte con “non senso” a volte utilizzando luoghi comuni, detti popolari, anche con effetti comici). Ritornano in scena Pozzo, che è diventato cieco, e Lucky, che ora è muto, ma con una differenza, ora la corda che li unisce è più corta ad indicare la soffocante simbiosi dei due. E torna il ragazzo che dice che anche oggi il Signor Godot non verrà…. Vladimiro ed Estragone rimangono lì mentre dicono “andiamo, andiamo”..

L’opera è divisa in due atti ed in essi non c’è sviluppo nel tempo, poiché non sembra esistere possibilità di cambiamento. La trama è ridotta all’essenziale, è solo un’evoluzione di micro-eventi. Apparentemente sembra tutto fermo, ma a guardare bene “tutto è in movimento”. Non c’è l’ambiente circostante, se non una strada desolata con un salice piangente spoglio, che nel secondo atto mostrerà alcune foglie. Il tempo sembra “immobile”. Eppure scorre. I gesti che fanno i protagonisti sono essenziali, ripetitivi. Vi sono molte pause e silenzi.

‘Aspettando Godot’ è la drammatizzazione della nozione del vuoto, per altri della nausea esistenziale, satriana, per altri ancora che il lavoro è da annoverare tra le ‘moralità cristiane’ come l’ ‘Everyman o il Pilgrim’s Progres’: Didi e Gogo sono simboli della vita contemplativa, e l’apparizione di Pozzo che reca al guinzaglio l’abietto schiavo Lucky simbolo dell’inferno della vita attiva.

Quest’ultima ipotesi è forse la meno lontana dal vero, se si tiene conto, tra l’altro, del fatto che Beckett è irlandese, ed è inutile ripetere perché e in che senso un irlandese non può non essere cristiano e cattolico. A condizione però di allargare l’ambito tradizionale della ‘moralità’ cristiana fino a farvi entrare la nozione, più vicina a noi, di tensione continua, angosciosa o, se più piace, esistenziale tra il finito della condizione umana (le scarpe che fanno male, gli stimoli della fame e quant’altro) e l’infinito che Dio o Godot continuamente ci promette e continuamente ci sfugge; che poi, in termini letterari, è la tensione tra realismo e lirismo, o con riferimento specifico alla letteratura irlandese, tra comico, grottesco e tragico, una tensione che negli scrittori più rappresentativi è costante e in Joyce è suprema,

Ma il segreto dell’impressionante vitalità di quest’opera è anche nella sua formidabile teatralità. Solo uno scrittore, nato per esprimersi con questo mezzo, poteva riuscire, con un materiale umano e rapporti e ritmi così labili, con cinque personaggi quasi senza volto, che dicono quasi sempre le stesse cose e non fanno quasi nulla, a comunicare allo spettatore la sensazione di uno spazio sempre terribilmente pieno e di un’azione continuamente tesa.

Mentre allestiva la prima americana di “Aspettando Godot”, il regista Alan Schneider chiese a Beckett cosa significasse e chi fosse Godot. Beckett gli rispose: “Se lo sapessi, lo avrei detto nella commedia”. Questa emblematica risposta deve far riflettere chiunque voglia attribuire significati definitivi all’opera di Beckett. Cercare di avvicinarsi al suo mondo di scrittore cosi chiuso, incomunicabile, cosi “oscuramente esplicito” nei suoi significati e nelle sue ossessioni tragico-umoristiche è certamente difficile e faticoso.

Lorenzo Loris, regista storico della compagnia ‘Out Off Teatro di Innovazione’ ed i suoi bravissimi attori, Gigio Alberti, Mario Sala, Giorgio Minneci, Alessandro Tedeschi e Davide Giacometti, sottolineano perfettamente la desolazione in cui versano i personaggi di Beckett, potenziando gli aspetti simbolici del dramma e riscuotendo alla fine della rappresentazione un meritatissimo tributo di applausi.

TEATRO INDIA
3-8 novembre 2009
ASPETTANDO GODOT
di Samuel Beckett
traduzione Carlo Fruttero
regia Lorenzo Loris
con
Gigio Alberti, Mario Sala, Giorgio Minneci, Alessandro Tedeschi, Davide Giacometti
scene Daniela Gardinazzi
costumi Nicoletta Ceccolini
consulenza musicale Andrea Mormina
disegno video Dimitris Statiris e Fabio Cinicol,
luci Luca Siola