RADICALI ROMA

Appello per l'unione dei democratici in Tunisia

di Chérif Ferjani

professore di Scienze Politiche e Civiltà Arabe all’Università di Lione e redattore della Mozione “di sostegno alle lotte del popolo tunisino per il lavoro, la libertà, la dignità e la democrazia” al 39° Congresso del Partito Radicale Transnazionale


L’ispirazione e  l’orientamento democratico del processo rivoluzionario che ha condotto alla caduta di Ben Ali non può essere salvaguardato senza l’unificazione e il rafforzamento della corrente democratica che è più divisa che mai: alcuni partecipano al governo di transizioni o lo sostengono, altri ne contestano la legittimità e si ritrovano dentro o dietro il consiglio di salvaguardia (o di protezione) della rivoluzione e I comitati che se ne proclamano essere l’emanazione o l’espressione; altri ancora non si riconoscono né nell’una né nell’altra opzione considerando che sia il governo di transizione sia il consiglio di protezione della rivoluzione sono in ugual misura illegittimi e derivano da una logica di auto proclamazione che non li autorizza a parlare né a nome del popolo né a nome della rivoluzione.

Per non parlare di quelli che sono esasperati dal trovarsi in questo dibattito. Il problema non è tanto in queste divergenze in quanto tali ma nel modo di affrontarle e gestirle. Si ha l’impressione di un dialogo tra sordi in cui ciascuno non intende che i propri argomenti e non tiene in alcuna considerazione quelli degli altri, come se la verità fosse completamente dalla propria parte e gli altri fossero del tutto in errore e dentro la “controrivoluzione”.

Altri ancora sono dell’opinione di resuscitare la famosa “lotta tra le due linee” di Ao Tse Tung per ridurre il dibattito a una opposizione sistematica e senza sfumature tra la linea rivoluzionaria in cui si incarnano in modo esclusivo e assoluto, e la linea controrivoluzionaria dentro la queale relegano chiunque non condivida il loro punto di vista.

Ora, le cose sono lontane dall’essere così semplici e tutti i punti di vista non sono né totalmente falsi né totalmente veri: è falso dire che il governo di transizione sia legittimo dal momento che il suo principale problema è riconducibile al modo in cui è stato costituito e ai tentativi che riflettono la confusione relativa alla sua illegittimità originaria.

Il Presidente ad interim e il Primo Ministro sono più che semplici complici del regime di Ben Ali. Allo stesso modo, il consiglio e il comitato che si sono autoproclamati “guardiani della rivoluzione” non possono pretendere di rappresentare il popolo o la “rivoluzione” che nessuna forza ha iniziato né diretto. Uno dei crimini di Ben Ali è precisamente l’aver creato lo spazio e dei nostri d’aver lasciato una situazione di cui scopriamo tutti i giorni le vicissitudini. Dal momento che non ci sono state vere elezioni democratiche, tutto il potere, chiunque sia a detenerlo, è passibile d’illegittimità.

Ora, per organizzare elezioni democratiche, bisogna preparare le condizioni e ciò esige tempo e un minimo di organizzazione istituzionale che non deriva, lei stessa, da un legittimità incontestabile. Questo è proprio di tutte le situazioni di transizione come quella che sta attraversando la Tunisia.Mettere in conto le difficoltà inerenti unas situazione del genere deve incitare tutto il mondo alla modestia, a una certa umiltà e a cercare non la soluzione ideale, ma a ridurre i rischi per preservare l’essenziole. In una simile ricerca, è normale avere divergenze d’anlisi, di preferenza e di punti di vista. I democratici che si appellano al rispetto e alla promozione dei diritti umani, come la libertà di pensiero e di espressione delle proprie opinioni, quando queste si dovessero rivelare false (poiché non c’è libertà senza diritto all’errore), dovranno ammetere questo genere di divergenze e saperle gestire relativizzndole in rapporto all’essenziale.

L’essenziale non è essere a favore o contro il governo di transizione, o essere a favore o contro il comitato o il consiglio di “protezione della rivoluzione”, ma preservare l’orientamento democratico della rivoluzione. Per far questo, la principale linea di demarcazione non sta tra i partigiani di queste due opzioni ma quella che distingue i partigiani di una democrazia fondata sul rispetto dei diritti umani – in particolare sui principi di uguaglianza tra donne e uomini, musulmani e non musulmani, credenti e non credenti, e di libertà, principi che si reggono sulla condizione di separazione tra politica e religione – da un lato e gli avversari di questo progetto, che sono per la restaurazione del sistema caduto o per instaurare una nuova dittatura, in nome della religione o di qualsiasi altra ideologia.

I democratici possono divergere sui mezzi e la tattica per pervenire all’instaurazione di un sistema democratico, ma queste divergenze non devono portare a essere divisi ma ad allearsi contro gli avversari e i nemici della democrazia chiunque siano, e qualunque siano le concessioni che possano fare per divider I democratici, e a conquistare la migliore posizione possibile nelle future elezioni. Da questo punto di vista, le divergenze attuali e passate devono essere relativizzate in rapporto a questo obiettivo principale, gestite dalla corrente democratica con tolleranza, senza vendetta, senza anatemi, senza sopraffazione o volontà di esclusione.

Si devono unire per incidere sul processo di transizione, difendere le conquiste moderne della Tunisia, consolidarle, e farne altre come queste che devono essere conquiste dopo la caduta di Ben Ali (in particolare la ratifica delle convenzioni internazionali relative ai diritti umani e la fine delle riserve sulla convenzione relativa all’eleiminazione di tutte le discriminazioni contro le donne) e devono dotarsi dei mezzi diversi per vincere insieme le prossime elzioni, in modo da ottenere un risultato forte abbastanza da essere tenuti in considerazione nelle decisioni che riguardano il futuro del paese. Che siano a favore del governo di transizione, del consiglio e del comitato, o contrari a queste due opzioni, devono coordinare le loro azioni, proseguire il dialogo per avvicinare le loro poszioni, aprirsi all’unificazione dei loro ranghi; altrimenti sarà il futuro democratico della rivoluzione a essere compromesso, e sarà un nuovo fallimento per le speranze democratiche che accompagnano i lutti del popolo tunisini e degli altri popoli del Maghreb e del Medio Oriente, dopo il XIX secolo.

Noi non abbiamo il diritto di commettere un simile errore.

Traduzione a (in)cur(i)a di Luisa Simeone dal profilo Facebook del prof. Ferjani, per sua gentile concessione.

Segue l’originale in francese:


L’inspiration et l’orientation démocratiques du processus révolutionnaire qui a conduit à la chute de Ben Ali ne peuvent être sauvegardées sans l’unification et le renforcement du courant démocratique qui est plus divisé que jamais : certains participent au gouvernement de transition ou le soutiennent, d’autres en contestent la légitimité et se retrouvent dans ou derrière le conseil de sauvegarde (ou de protection) de la révolution et les comités qui s’en réclament ou dont il dit être l’émanation ou l’expression ; d’autres encore ne se reconnaissent ni dans l’une ni dans l’autre option considérant que le gouvernement de transition comme le conseil de protection de la révolution sont aussi illégitimes l’un que l’autre et procèdent d’une logique d’auto proclamation qui ne peut les autoriser à parler au nom du peuple ni au nom de la révolution.

Ne parlons pas de celles et ceux qui ont du mal à se retrouver dans ce débat qu’ils trouvent désespérant. Le problème n’est pas tant ces divergences en elles-mêmes que la manière de les aborder et de les gérer. On a l’impression d’un dialogue de sourds où chacun n’entend que ses arguments et ne tient aucun compte des arguments des autres, comme si la vérité est complètement de son côté et comme si les autres sont totalement dans l’erreur et dans la « contre révolution ».

Certains sont allés jusqu’à nous ressortir la fameuse « lutte entre les deux lignes » de Mao Tsé-toung pour réduire le débat à une opposition systématique et sans nuance entre la « ligne révolutionnaire » qu’ils incarneraient de façon exclusive et absolue, et la « ligne contre révolutionnaire » derrière laquelle ils rangent celles et ceux qui ne partagent pas leur point de vue.

Or, les choses sont loin d’être aussi simples et tous les points de vue ne sont ni totalement faux ni totalement vrais : C’est faux de dire que le gouvernement de transition est légitime alors que son principal problème est inhérent est à la manière dont il a été constitué et des tâtonnements qui reflètent son désarroi consécutif à son illégitimité originelle. Le Président par intérim comme le Premier Ministre sont plus que de simples complices du régime de Ban Ali. De même, le conseil et les comités qui se sont auto proclamés « gardiens de la révolution », ne peuvent pas prétendre représenter le peuple ou la « Révolution » qu’aucune force n’a ni initiée ni dirigée. L’un des crimes de Ben Ali est précisément d’avoir créé le vide et de nous avoir laissé une situation dont nous découvrons tous les jours les vicissitudes. Tant qu’il n’y aura pas de véritables élections démocratiques, tout pouvoir, quels qu’en soient les détenteurs, sera entaché d’illégitimité.

Or, pour organiser des élections démocratiques, il faut en préparer les conditions et cela exige du temps et un minimum d’organisation institutionnelle même si elle ne procède pas d’une légitimité incontestable. C’est le propre de toute situation de transition comme celle que connait la Tunisie. Prendre en compte les difficultés inhérentes à une telle situation doit inciter tout le monde à la modestie, à une certaine humilité et à chercher non pas les solutions idéales qui n’existent pas, mais à réduire les risques pour préserver l’essentiel. Dans une telle recherche, il est normal qu’il y ait des divergences d’analyses, d’appréciations et de points de vue quant aux solutions envisagées. Les démocrates attachés au respect et à la promotion des droits humains, dont la liberté de penser et d’exprimer son opinion, quand bien même elle serait fausse (car, il n’ ya pas de liberté sans droit à l’erreur), doivent admettre ce genre de divergences et savoir les gérer en le relativisant par rapport à l’essentiel.

Or l’essentiel, n’est pas d’être pour ou contre le gouvernement de transition, ou être pour ou contre les comités ou le conseil de « protection de la révolution », mais de préserver l’orientation démocratique de la révolution. Pour cela, la principale ligne de démarcation n’est pas entre les partisans de ces deux options mais celle qui distingue les partisans d’une démocratie fondée sur le respect des droits humains – et particulièrement sur les principes de d’égalité, entre femmes et hommes, musulmans et non musulmans, croyants et incroyants, et de liberté, principes qui passent entre autres conditions par la séparation du politique et du religieux -, d’un côté et les adversaires d’une tel projet, que ce soit pour restaurer le système déchu ou pour instaurer une nouvelle dictature, au nom de la religion ou nom de toute autre idéologie.

Les démocrates peuvent diverger sur les moyens et la tactique pour parvenir à l’instauration d’un système démocratique, mais ces divergences ne doivent pas les amener à se diviser pour s’allier, chacun de son côté, avec les adversaires et les ennemis de la démocratie quels qu’ils soient, et quelles que soient les concessions qu’ils peuvent faire pour diviser les démocrates et s’assurer la meilleure position possible dans les futures élections. De ce point de vue, les divergences actuelles et passées doivent être relativisées par rapport à cet objectif principal, gérées de façon démocratique, avec tolérance, sans vindicte, sans anathème, sans surenchère ou volonté d’exclusion.

Il doivent s’unir pour peser sur le processus de transition, défendre les acquis modernes de la Tunisie, les consolider, en arracher d’autres comme ceux qui ont été conquis depuis la chute de Ben Ali (dont notamment la ratification de conventions internationales relatives aux droits humains et la levée des réserves sur la convention concernant l’élimination de toutes les discriminations à l’égard des femmes) et se donner les moyens sinon d’emporter ensemble les prochaines élections, du moins d’obtenir un score suffisamment fort pour qu’il soit tenu compte d’eux dans les décisions engageant le devenir du pays. Qu’ils soient pour le gouvernement de transition, pour le conseil et les comités de « protection de la révolution » ou contre ces deux options, ils doivent coordonner leurs actions, poursuivre les discussions pour rapprocher leurs positions, œuvrer à l’unification de leurs rangs ; sinon, c’est le devenir de l’orientation démocratique de la révolution qui sera compromis, et ce sera une nouvelle déception pour les espoirs démocratiques qui ont porté beaucoup de luttes du peuple tunisien, et d’autre peuples du Maghreb et du Moyen Orient, depuis le XIXème siècle. Nous n’avons pas le droit de commettre une telle faute.