RADICALI ROMA

Aspetti tecnici della proposta sui nullafacenti della P.A.

1 – La proposta

I.1. – Valutazione

I.1.1. – La legge suddivide l’amministrazione statale in comparti e istituisce per ciascuno di essi un organo indipendente di valutazione (OIV), ove già non esista un organo cui sia affidata tale funzione; stabilisce inoltre le modalità di elezione di un membro dell’OIV da parte delle rappresentanze sindacali del comparto; attribuisce all’OIV il potere di autoorganizzazione e di determinazione delle sue articolazioni, nonché le dotazioni necessarie per il suo funzionamento.
I.1.2. – L’OIV ha il compito di valutare l’efficienza di ciascun ufficio o centro di attività e la sua utilità effettiva in relazione alle finalità istituzionali proprie di ciascuno di essi. L’OIV può avvalersi, per la propria attività, di tutte le strutture ispettive di cui il comparto è dotato; esso deve avvalersi anche delle informazioni prodotte dai sistemi di programmazione, controllo di gestione e valutazione della dirigenza operanti in applicazione del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286. Il primo esercizio di valutazione dell’OIV è dedicato a stimare la funzionalità di tali meccanismi, anche in riferimento all’applicazione delle sanzioni (non assegnazione di incentivi retributivi, rimozione dall’incarico, licenziamento) per mancato o incompleto raggiungimento degli obbiettivi.
I.1.3. – L’OIV ha inoltre il compito di valutare l’efficienza (intesa qui come capacità professionale e impegno personale a conseguire gli obbiettivi assegnati) ed efficacia dell’attività di ciascun addetto e – là dove possibile – la sua produttività (ovvero l’utilità effettiva dell’opera prestata in relazione alle finalità istituzionali proprie dell’ufficio o centro di attività); viene registrata anche la produttività negativa (il fatto, cioè, che il dipendente produca più danno che utilità, o presenti profili di pericolo per gli utenti o i colleghi; potrebbero rilevare a tal fine, per esempio, i reati commessi negli ultimi cinque anni in connessione con la sua prestazione lavorativa).
I.1.4. – In riferimento alla posizione dei singoli dirigenti, funzionari e responsabili di uffici o centri di attività la produttività individuale è identificata, ai fini della legge, con quella complessiva dell’ufficio o centro di attività da essi diretto.
I.1.5. – Il Governo adotta le misure organizzative necessarie per garantire che i metodi e i criteri di valutazione applicati dagli OIV dei diversi comparti siano tra loro coerenti e omogenei. Nello svolgimento della loro funzione in riferimento a centri di servizio al pubblico gli OIV si avvalgono anche delle valutazioni espresse dagli utenti.
I.1.6. – Entro sei mesi dall’istituzione l’OIV redige: a) un elenco dei dipendenti i cui indici di efficienza/efficacia e di produttività sono entrambi inferiori, pari o molto vicini allo zero, ai fini della procedura di riduzione degli organici; b) un elenco dei dipendenti i cui indici di efficienza/efficacia e di produttività sono nettamente insufficienti, secondo un criterio di normale diligenza e buon funzionamento dell’ufficio, ai fini della gestione degli incentivi economici. La valutazione dell’efficienza/efficacia e della produttività è compiuta per la prima volta con riferimento all’ultimo biennio; in seguito con riferimento all’ultimo anno.
I.1.7. – L’OIV comunica a ciascuno dei dipendenti inseriti nei detti elenchi gli elementi sui quali si basa la valutazione, invitandolo a una audizione e/o a presentare osservazioni scritte in proposito.
I.1.8. – A seguito dell’audizione degli interessati e delle indagini ulteriori che si rendessero opportune, i dipendenti ai quali viene confermata l’attribuzione degli indici minimi di efficienza/efficacia e produttività (elenco a), l’OIV ordina gli stessi in una graduatoria secondo il criterio prioritario dell’inefficienza personale; quindi, per pari grado di inefficienza, secondo il criterio della produttività effettiva; infine, a parità di collocazione secondo i due indici suddetti, secondo il criterio del carico di famiglia e dell’anzianità di servizio.
I.1.9. – Il criterio della produttività assume valore prioritario rispetto a quello dell’efficienza/efficacia nei casi di produttività negativa (v. I.1.3).
I.1.10. – Ai dipendenti inseriti negli elenchi di cui sopra non può essere erogato alcun elemento di retribuzione incentivante per un anno dalla pubblicazione degli stessi.
I.1.11. – Entro sei mesi dalla costituzione (o dall’entrata in vigore della legge se già costituito) l’OIV redige e comunica al Governo e alla Corte dei Conti un primo rapporto circa l’efficienza/efficacia e la produttività degli uffici o centri di attività e degli addetti del comparto, contenente anche una stima del numero dei lavoratori che risulteranno inseriti negli elenchi di cui al § I.1.6. I rapporti successivi sono predisposti e comunicati al Governo e alla Corte dei Conti con cadenza semestrale. Gli elenchi di cui al § I.1.6 e le graduatorie di cui al § I.1.8 vengono aggiornati annualmente.

 

I.2. – Riduzione degli organici

I.2.1. – La legge individua per ciascun comparto l’organo direttivo (OD) cui compete l’atto di recesso dal rapporto di lavoro nell’ambito della procedura di riduzione degli organici, i casi e i motivi per i quali l’OD può contenere il numero dei licenziamenti al di sotto della percentuale prevista.
I.2.2. – La legge prevede l’emanazione da parte del presidente del Consiglio dei ministri, per tre anni consecutivi, di un decreto per ciascun comparto indicante la percentuale di riduzione rispetto all’organico totale, sulla base delle valutazioni del rispettivo OIV circa i casi di efficienza e produttività nulle o irrilevanti, in modo che il numero dei licenziamenti risulti inferiore al numero dei dipendenti indicati nell’elenco a) e comunque non superiore all’1 per cento dell’organico complessivo nell’arco di un anno. Il primo decreto deve essere emanato entro tre mesi dalla presentazione del primo rapporto dell’OIV.
I.2.3. – In seguito all’emanazione del decreto, l’OD procede al licenziamento dei dipendenti con indici minimi di efficienza/efficacia e produttività, fino a concorrenza della percentuale fissata dal Governo, secondo l’ordine risultante dalla graduatoria composta dall’OIV.
I.2.4. – La legge esenta i membri dell’OD da qualsiasi rivalsa da parte dell’amministrazione per risarcimenti di danni che questa risulti tenuta a pagare a lavoratori il cui licenziamento sia stato annullato in sede giudiziale, salvi i casi in cui l’errata applicazione della procedura e/o della graduatoria abbia carattere doloso.

 

I.3. – Assistenza ai lavoratori licenziati

I.3.1. – Ai dipendenti licenziati nell’ambito della procedura di riduzione del personale viene erogato un trattamento speciale di disoccupazione pari all’80 per cento dell’ultima retribuzione, a condizione che essi non svolgano un’attività lavorativa retribuita e siano disponibili per tutte le iniziative di riqualificazione professionale e ricollocazione al lavoro; dopo il primo anno il trattamento si riduce al 66 per cento; dopo il secondo anno il trattamento si riduce al 50 per cento, per cessare dopo il quarto anno.
I.3.2. – Presso ogni Direzione provinciale del lavoro viene istituito un nucleo per l’assistenza intensiva (orientamento, informazione, avviamento alla formazione e al lavoro, controllo dello stato di disoccupazione e della disponibilità effettiva al lavoro) ai dipendenti pubblici licenziati nell’ambito della procedura.

 

I.4. – Impugnazione del licenziamento e litisconsorzio tra i lavoratori controinteressati

I.4.1. – Il lav
oratore che impugna il proprio licenziamento ha l’onere di denunciare con precisione quello che ritiene essere l’errore nella graduatoria stilata dall’OIV, o l’errore nell’applicazione della graduatoria stessa da parte dell’OD, chiedendo l’autorizzazione all’integrazione del contraddittorio nei confronti del dipendente concretamente controinteressato secondo tale prospettazione.
I.4.2. – Il giudice del lavoro adìto, se valuta plausibile la prospettazione del lavoratore ricorrente, autorizza la chiamata in causa del dipendente controinteressato, il quale gode degli stessi diritti di difesa, in contraddittorio con il ricorrente.
I.4.3. – Con la stessa sentenza con la quale un licenziamento venga annullato, il giudice deve accertare la legittimità del licenziamento che avrebbe dovuto invece essere disposto dall’amministrazione (la quale può procedervi senza necessità di esperire ulteriori procedure e anche in pendenza di impugnazione della sentenza da parte del chiamato in causa).

 

 

II. – Le obiezioni e le risposte

II.1. – Che cosa prevede il diritto vigente in materia di licenziamento del dipendente pubblico per scarso rendimento?

A norma dell’art. 129 del vecchio Testo unico sull’impiego statale (Dpr 10 gennaio 1957 n. 3), “Può essere dispensato dal servizio l’impiegato divenuto inabile per motivi di salute (…) nonché quello che abbia dato prova di incapacità o di persistente insufficiente rendimento”.
Il nuovo Testo unico (Dlgs. 3 marzo 2001 n. 165) non contiene alcuna disposizione in materia di licenziamento disciplinare o per scarso rendimento del dipendente pubblico, ma si limita a stabilire che le vecchie norme legislative elencate in appositi allegati “a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, cessano di produrre effetti per ciascun ambito di riferimento (…) in quanto contenenti le disposizioni espressamente disapplicate dagli stessi contratti collettivi” (art. 71). Per alcuni settori (per esempio, quelli della sanità, dell’università, degli enti di ricerca) il vecchio art. 129 è indicato nell’allegato A) tra le norme destinate a essere sostituite dalla contrattazione collettiva; curiosamente esso non è indicato per il settore della scuola.
Il dato legislativo attuale è dunque molto confuso. Si può affermare con sicurezza che, in linea teorica, anche il dipendente pubblico, come e persino più di quello privato, può essere licenziato per scarso rendimento, se non altro in applicazione del principio generale della prevalenza dell’interesse pubblico al buon andamento dell’amministrazione; ma l’assenza di una normativa chiara in proposito favorisce l’inerzia della dirigenza su questo terreno.
Quanto alla contrattazione collettiva, in genere essa indica “il perdurare di una situazione di insufficiente scarso rendimento dovuta a comportamento negligente, ovvero qualsiasi fatto grave che dimostri la piena incapacità ad adempiere adeguatamente gli obblighi di servizio” come motivo di licenziamento (così, ad esempio, l’art. 25, comma 2°, lett. f, del contratto collettivo per i dipendenti dei ministeri 1998-2001). Ma queste disposizioni sono di fatto totalmente disapplicate.

 

II.2. – Quanti licenziamenti per scarso rendimento si registrano nella pubblica amministrazione?

Nei repertori di giurisprudenza degli ultimi dieci anni non si trova un solo caso di licenziamento per scarso rendimento. L’estensione della ricerca ai due o tre decenni precedenti darebbe probabilmente esito identico. Se ne trae conferma dal dato di esperienza comune, per cui nel settore pubblico di fatto tale licenziamento non viene praticato. Conseguentemente non esiste un limite minimo di rendimento al di sotto del quale l’impiegato rischi effettivamente il licenziamento. Le prime vittime di questa situazione sono i veri lavoratori pubblici, quelli che fanno anche il lavoro dei nullafacenti ma hanno lo stesso trattamento (o un trattamento molto peggiore, se sono ingaggiati come precari) e soffrono del discredito generale in cui è indifferenziatamente tenuta l’intera categoria.

 

II.3. – Perché non accade mai che l’impiegato pubblico con rendimento zero venga licenziato?

Di fatto nessun dirigente si assume la responsabilità di licenziare un dipendente, salvo che quest’ultimo sia stato condannato a molti anni di reclusione e li stia effettivamente scontando (la sola condanna, con la condizionale, in genere non basta), perché non ha alcun incentivo a farlo, mentre ne è dissuaso da rilevanti disincentivi. Innanzitutto dall’opposizione interna – anche (ma non solo) di natura sindacale – che si solleverebbe contro una decisione di questo genere. Inoltre dal rischio della responsabilità personale: se per caso il giudice del lavoro annulla il licenziamento e condanna l’amministrazione al risarcimento del danno, l’incauto dirigente può essere chiamato a pagare personalmente. Questo è il motivo per cui il licenziamento di una quota non irrilevante di nullafacenti in un lasso di tempo relativamente contenuto (come può essere quello di due o tre anni) è realisticamente prospettabile soltanto nel quadro di una riduzione di organico stabilita per legge, con la previsione dei criteri prioritari di scelta dell’inefficienza e dell’improduttività.

 

II.4. – Ci sono precedenti di procedure di licenziamento collettivo attivate per legge?

Qualche cosa di analogo è accaduto recentemente, su larga scala, per le Ferrovie dello Stato e per le Poste Italiane, ma con due importanti differenze:

– entrambe le aziende erano state privatizzate;
– in quei casi la legge ha previsto l’attivazione di un fondo speciale per il prepensionamento dei lavoratori cui mancassero non più di cinque anni per il pensionamento di anzianità o di vecchiaia. Il criterio di scelta era dunque essenzialmente quello della maggiore anzianità contributiva.

 

II.5. – L’opinabilità dell’applicazione dei criteri di scelta riferiti a inefficienza e improduttività non rischia di produrre una grande quantità di ricorsi giudiziali, con esiti discordanti, nei quali l’operazione finirebbe coll’insabbiarsi?

Un rischio di questo genere c’è, come mostrano le rassegne di giurisprudenza sui licenziamenti collettivi nel settore privato; ma può essere ragionevolmente ridotto. Il problema nasce dal favore istituzionale (e umanamente ben comprensibile) dei giudici del lavoro nei confronti del lavoratore licenziato, che li induce a preferire di volta in volta la tesi in materia di criteri di scelta che porta all’annullamento del provvedimento, anche con sentenze tra loro contrastanti. Questo problema di contrasto di giudicati sulla stessa procedura può essere risolto con la regola del “litisconsorzio necessario”, cioè la regola per cui il lavoratore che impugna il licenziamento deve indicare l’errore commesso dall’organo di controllo e conseguentemente chiamare in causa, debitamente autorizzato a ciò dal giudice, l’altro lavoratore che egli ritiene debba essere licenziato secondo la graduatoria corretta (v. sopra, I.4.1-2); la sentenza con la quale il giudice eventualmente accerti l’errore nella compilazione o applicazione della graduatoria e annulli il licenziamento deve contestualmente accertare la legittimità del licenziamento sostitutivo (I.4.3): questo responsabilizza il giudice circa l’effettività della riduzione del personale disposta dalla legge.

 

II.6. – Alcuni sindacalisti del settore pubblico hanno obiettato che questa regola comporterebbe di istigare i lavoratori alla delazione.

Non è così: in un licenziamento per riduzione del personale, quale sarebbe quello di cui stiamo parlando, vi è sempre una obbietti
va contrapposizione di interessi tra i lavoratori che si trovano in fondo alla graduatoria. Come ogni contrapposizione di interessi, essa deve potersi esprimere in giudizio alla luce del sole. E il giudice deve poter decidere sentendo le ragioni dei due o più lavoratori la cui sorte dipende dalla sua decisione.
Durezza eccessiva? No: è il solo modo per garantire a tutti la possibilità di difesa in giudizio, senza che questo determini il rischio di giudicati contrastanti sulla stessa procedura di riduzione di personale. In altre parole: occorre una disciplina processuale che garantisca l’effettività della procedura non meno della sua correttezza e del sacrosanto diritto di difesa del singolo lavoratore interessato.

 

II.7. – Lo scarso rendimento può non essere dovuto a un difetto di impegno del lavoratore, ma a cause organizzative, a errori imputabili ai dirigenti, a sovradimensionamento degli organici. Non è iniquo colpire anche lo scarso rendimento incolpevole?

La proposta prevede che l’organo indipendente di valutazione predisponga la graduatoria sulla base di due criteri prioritari: quello dell’inefficienza (scarso impegno personale o incapacità professionale) e quello dell’improduttività effettiva (che può essere dovuta anche a circostanze obbiettive, oppure a disorganizzazione, o a sovradimensionamento). È dato di esperienza comune che sono molti i casi in cui sono pari o vicini a zero gli indici relativi a entrambi i criteri; e comunque la proposta prevede che la percentuale di riduzione del personale sia determinata dal Governo in modo che il numero dei licenziamenti sia inferiore al numero di quei casi (§ I.2.2); così non si rischia di colpire coloro la cui improduttività è dovuta esclusivamente alla situazione organizzativa o a circostanze esterne.
Quando gli indici di efficienza/efficacia e di produttività sono entrambi pari o vicini allo zero, nell’industria privata il lavoratore viene quasi sempre licenziato; nel settore pubblico questo, invece, come si è visto, in Italia non è mai avvenuto. In ogni caso, non si vede perché una riduzione di organico – posto che questo è l’obbiettivo immediato che si intende perseguire – non dovrebbe poter essere attuata applicandosi quei criteri e commisurandosi la riduzione stessa al numero dei casi di inefficienza colpevole e di incompetenza professionale grave: non dimentichiamo che, secondo i principi generali che vigono nella pubblica amministrazione, l’interesse al buon funzionamento della stessa dovrebbe prevalere sull’interesse della singola persona che ne dipende (oggi accade invece sistematicamente il contrario). In ogni caso non si vede alcuna contraddizione logico-giuridica tra l’obbiettivo diretto dell’operazione (riduzione dell’organico e dei costi) e l’obbiettivo ulteriore indiretto, consistente nella stimolazione dell’efficienza della struttura
Altro discorso è quello relativo all’assistenza che deve essere prestata a chi perde il posto per questo motivo; ma si tratterà di assistenza, appunto, e non di stipendio. Chiamare le cose con il loro nome è un primo passo importante per rilanciare la cultura delle regole e per risanare il settore pubblico.

 

II.8. – In questo modo non si maschera un licenziamento sostanzialmente disciplinare presentandolo impropriamente come un licenziamento per riduzione di organico? Questo non potrebbe costituire un aspetto di incostituzionalità della legge?

No: il licenziamento è effettivamente collettivo, risponde effettivamente a una esigenza generale di contenimento dei costi; e non perde questa natura per il fatto che venga applicato un insieme di criteri tra i quali il primo è quello che fa riferimento allo scarso impegno del lavoratore e al suo difetto di competenza professionale. È questo il motivo per cui nel progetto si prevede che

– il difetto di rendimento venga preso in considerazione, ai fini del licenziamento, soltanto nei casi in cui il rendimento stesso è pari o molto vicino allo zero;
– in questi casi al difetto di impegno personale e/o di competenza professionale, come causa dello scarso rendimento, venga attribuito valore prioritario per la determinazione della graduatoria;
– in ogni caso l’inclusione nella graduatoria sia preceduta da una notificazione della valutazione dell’OIV al lavoratore interessato, con possibilità per quest’ultimo di farsi sentire dall’organo stesso e di presentare controdeduzioni prima della conferma della graduatoria (col che si soddisfa il principio del contraddittorio, per la parte di questa procedura nella quale può assumere rilievo un inadempimento o comportamento colposo del lavoratore interessato).

In altre parole: il licenziamento è fondamentalmente giustificato dalla necessità di ridurre l’organico in funzione del contenimento della spesa pubblica; è coerente con tale finalità l’adozione, come criterio di scelta dei lavoratori da licenziare, del dato obbiettivo dello scarso o nullo rendimento; nell’ambito dei lavoratori il cui indice di produttività è vicino, pari o inferiore a zero, vengono licenziati – come è equo e ragionevole – quelli il cui scarso rendimento è imputabile a difetto di impegno personale e/o di competenza professionale.

 

II.9. – Come si concilia un licenziamento per riduzione del personale, quale quello qui proposto, con l’eventuale successiva o contestuale assunzione di lavoratori precari in sostituzione dei licenziati?

I collaboratori continuativi formalmente autonomi, di cui le amministrazioni pubbliche si avvalgono largamente, sono in realtà dei dipendenti mascherati: fanno già parte della forza-lavoro dell’amministrazione, ancorché con uno status deteriore. La loro immissione in ruolo non è dunque, sostanzialmente, un’assunzione di nuovo personale, ma soltanto la regolarizzazione di personale già in forza. D’altra parte, non si può parlare di “sostituzione” di un lavoratore a un altro quando a essere licenziata è una persona che di fatto non svolgeva un’attività utile, mentre a essere immessa in ruolo è una persona che da tempo svolge un’attività utile per l’amministrazione e continuerà a svolgerla.

 

II.10 – Quanti sono i nullafacenti e perché sono soprattutto nel settore pubblico?

In un articolo in corso di pubblicazione sulla Rivista italiana di diritto del lavoro il prof. Vito Tenore, magistrato della Corte dei Conti e docente della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, scrive a questo proposito:

“La figura del dipendente ‘nullafacente’ (…) è una categoria da tempo socialmente nota, perchè visibile e tangibile all’interno e all’esterno della pubblica amministrazione a tutti i livelli, nessuno escluso. (…) La quantificazione, in termini percentuali, di tali sacche di inefficienza (rectius, di inutile presenza nella p.a.) è tuttavia allo stato impossibile, non essendoci studi in materia, né referti della Corte dei Conti o di organismi di controllo interno sul punto (…).
“Quali sono le ragioni che portano alla nascita e alla tollerata permanenza di tali ‘nullafacenti’ all’interno della p.a., la cui azione deve doverosamente ispirarsi al buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione? A nostro avviso le ragioni sono essenzialmente due: l’eccesso di personale in alcuni uffici a fronte del modesto carico di lavoro gravante sugli stessi e la tolleranza dei vertici di alcuni uffici (leggasi i dirigenti di struttura), ove il lavoro da espletare esiste, nei confronti di tali patologici fenomeni di stasi o lentezza.”

Si legge ancora nello stesso articolo:”Per un dirigente pubblico (e per gli organi di controllo interno delle p.a.) è doveroso effettuare una meticolosa ricognizione del carico di lavoro gravante sul proprio ufficio e della forza lavoro idonea, numericam
ente, a gestirlo. Per un dirigente pubblico è inoltre doveroso perseguire disciplinarmente chi non lavora: su quest’ultimo punto la proposta (…) di istituire un organismo indipendente di valutazione sul rendimento minimo e la massima inutilità della prestazione lavorativa è senza dubbio interessante (…).
“Il licenziamento del nullafacente non è dunque né una proposta provocatoria e innovativa, né una soluzione inaccettabile, come ritenuto da taluni sindacalisti: è una soluzione già esistente nel diritto positivo (…).
“Il problema, a fronte di tale concreto e vigente strumento repressivo, è tuttavia quello della stasi della pubblica dirigenza, motore dell’azione disciplinare, sistematicamente inerte a fronte di comportamenti di scarso rendimento dei propri subordinati per varie motivazioni extragiuridiche: indifferenza verso il fenomeno, scarso interesse alla pur sbandierata logica dei risultati nella p.a., umana pavidità per timore di ritorsioni (spesso dei vertici, politici, gestionali e sindacali, referenti del ‘nullafacente’), retaggi culturali buonisti (‘ho famiglia, anche il nullafacente in fin dei conti ha famiglia’), interesse a non turbare equilibri interni, etc. E questo disinteresse è un antico problema di cultura gestionale (…) tipico della p.a. e raramente riscontrabile nell’impiego privato. (…)
“La Corte dei Conti in sede di referti al Parlamento (ben 5 sulla materia disciplinare) e la dottrina sul piano scientifico, hanno crudamente evidenziato, sulla scorta di dati giudiziari e di attente e documentate ricognizioni all’interno di moltissime amministrazioni, lo scarso uso nella p.a. dell’azione disciplinare per i motivi sopra evidenziati. (…) Il prius rispetto a qualsiasi intervento correttivo o repressivo del fenomeno è però dato dal suo accertamento: a fronte della evidenziata inerzia degli attuali soggetti (dirigenti capi struttura) preposti contrattualmente a segnalare e reprimere lo scarso rendimento (o del totale non rendimento) di alcuni pubblici dipendenti, la istituzione di un organo terzo (…) per l’accertamento di ‘nullafacenti’ all’interno della p.a. appare una soluzione condivisibile sul presupposto della reale terzietà dei membri di tale organismo, (…) prescelti per la loro competenza tecnica e per la loro non dipendenza gerarchica dai vertici dell’amministrazione controllata.”