RADICALI ROMA

Battaglia contro il dolore.

Perché istituire una Commissione sulla qualità delle cure e la dignità della fine della vita? Non certo per rivendicare allo Stato, come qualcuno ha detto, il diritto di stabilire e decidere quale sia la fine dignitosa della vita, o addirittura aprire in maniera surrettizia alla eutanasia. Ho già espresso la mia netta contrarietà, fondata sul rispetto per la sacralità della vita, all´eutanasia. Ma qualunque sia il punto di vista di ciascuno di noi su questo tema, penso sia incontestabile quanto poco si faccia, al momento, per garantire al meglio la qualità della vita anche nelle fasi cosiddette terminali. Come si muore nei nostri ospedali o nelle residenze assistenziali per anziani, quanta assistenza a domicilio siamo in grado di garantire ai malati oncologici, quanta terapia del dolore assicuriamo, su quale rete di cure palliative possiamo fare affidamento? In qualità di ministro della Salute ritengo mio dovere occuparmi di tutto ciò e assumere fino in fondo le mie responsabilità, attraverso atti concreti e misurabili.

Illustri filosofi, medici, antropologi ci hanno spiegato in quale modo le nostre società hanno allontanato da sé, e nascosto, qualunque discorso pubblico sulla morte. Riaprire il confronto su questi temi ha un significato preciso, che non può essere confuso in alcun modo con un riconoscimento inadeguato del valore della esistenza.

Al contrario, significa avere piena consapevolezza di un contesto che è mutato profondamente e ci chiede di considerare con rinnovata attenzione situazioni e condizioni alle quali, solo qualche hanno fa, guardavamo con occhi assai diversi.

Per questo vogliamo investire nel sostegno alla diffusione della terapia del dolore; semplificare ulteriormente la prescrizione dei farmaci oppiacei; rilanciare la ricerca su questi temi ancora oggi fortemente trascurata; promuovere la costruzione di una rete delle cure palliative anche attraverso un Piano nazionale e valorizzare la medicina palliativa come medicina delle scelte; promuovere una attenzione diversa per servizi e presenze che evitino l´isolamento del morente e dei suoi familiari e la sensazione di abbandono che ne deriva; rafforzare la domiciliarità anche nelle fasi terminali della vita.

Occuparsi di tali aspetti significa anche impedire che la sofferenza si trasformi in un impoverimento della dotazione di diritti della persona mentre va garantita l´eguaglianza di fronte al morire. La decisione di affidare ad una commissione apposita la materia, ha un valore simbolico e pratico al tempo stesso. Se quanto abbiamo affermato sinora è vero, siamo di fronte a qualcosa che necessita di un impegno rilevante e, prima ancora, di una assunzione di responsabilità pubblica.

Dobbiamo investire nella formazione degli operatori e, in particolare, dei medici di medicina generale. Ma anche nella implementazione degli ospedali senza dolore e nella costruzione di un sistema di cure territoriali in grado di assicurare la giusta attenzione per gli aspetti psicologici e sociali della vita di pazienti e familiari, fugando ogni possibile dubbio sull´uso della riduzione del dolore come scorciatoia e dismissione, piuttosto che come presa in carico.

Dobbiamo puntare sulla realizzazione di una rete di strutture di assistenza tipo hospice, considerarla un investimento e prestare la massima attenzione alla sua qualità, certificandola, accreditandola e combattendo ogni forma di improvvisazione. Per questa ragione, con la Finanziaria 2007, abbiamo stanziato 100 milioni di euro, soprattutto per quelle Regioni che ancora oggi non dispongono di strutture di questo genere.

Ma abbiamo bisogno, parallelamente, di contare sul sostegno sociale necessario perché la umanizzazione dei percorsi assistenziali di fine vita e l´attenzione per la dignità del vivere e del morire siano salvaguardate da una consapevolezza e un consenso diffusi. Le stesse riflessioni potrebbero essere applicate al testamento biologico, il cui valore risiederà anche nell´essere uno strumento di consapevolezza, per far crescere e maturare una coscienza collettiva e riconoscere il rifiuto dell´accanimento terapeutico come legittima espressione di un diritto della persona e non solo come rispetto di una norma deontologica da parte degli operatori. Percorsi di questo genere riportano le questioni delle quali discutiamo dentro la ordinarietà del nostro vivere quotidiano, fuori dalla eccezionalità. Sta a noi prenderne atto e trattare materie così delicate per quello che sono, fuori da dispute ideologiche e schieramenti per partiti contrapposti che il Paese non capirebbe.

E ciò in continuità e coerenza con quel radicamento, sempre più consapevole, del diritto alla salute come diritto di cittadinanza.