RADICALI ROMA

Berlusconi-Colaninno in campo Dal centrosinistra pochi ostacoli

Rientrare dalla porta dopo essere uscito, malvolentieri anche se con le tasche piene, dalla finestra: e rientrare con tanto di tappeto rosso, come il salvatore della Patria. Difficile resistere a una simile tentazione. E chi conosce bene Roberto Colaninno sostiene che in questo momento «la tentazione, per lui, è davvero forte». Forte al punto di spingerlo a tornare alla carica di Telecom Italia, dopo che gli americani di At&t hanno gettato la spugna, perfino al fianco di Silvio Berlusconi. A dispetto di tutte le chiacchiere che già lo inseguono. «Sappiamo già cosa si dirà», affermano, temendo l’apparizione di antichi spettri, gli uomini considerati più vicini al ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che da presidente del Consiglio accolse con favore la scalata a Telecom Italia dei «capitani coraggiosi» guidati da Colaninno. Una frase che per Claudio Velardi, all’epoca dei fatti uno dei più stretti collaboratori del leader dei Ds, il premier «si sarebbe dovuto risparmiare ». Ma che ha comunque lasciato un segno indelebile.

Che la discesa in campo di Colaninno sia ben più che una semplice possibilità, del resto, è dimostrato dalla forza con cui l’Unità, quotidiano già organo dei Ds, ha lanciato la notizia nell’edizione di lunedì. Con la firma del vicedirettore Rinaldo Gianola, autore per la Rizzoli insieme allo stesso imprenditore mantovano, del libro Primo tempo. Secondo l’Unità Colaninno e Berlusconi ne avrebbero già parlato con Mediobanca. «Dal punto di vista industriale Colaninno è molto abile. E Berlusconi ha i soldi. Non riesco a vederla come una prospettiva negativa, anche se questo cambierebbe poco o nulla, perché poi bisognerebbe comunque riscrivere le regole», è il commento di Bruno Tabacci, esponente dell’Udc che certamente non ha un grande feeling con il leader di Forza Italia. Colaninno ha ammesso un interesse per l’operazione: «Ritengo Telecom una opportunità — ha detto—a certe condizioni, importante, ma lontana».
Ma anche nel governo, che pure il radicale Daniele Capezzone accusa «di aver fatto scappare gli americani» c’è chi nonostante tutto non vede male il tandem Colaninno- Berlusconi. Nessuno è disposto a dichiararlo apertamente, ma se è vero che uno come Angelo Rovati, ex consigliere di Romano Prodi e autore del famoso piano per la rete di Telecom, avrebbe in privato giudicato «industrialmente non insensata» l’operazione, i segnali sono chiari.
Per il premier sarebbe molto difficile mettersi di traverso, dopo aver auspicato l’intervento dei capitalisti italiani, tanto più che la normativa attuale impedisce a Berlusconi di assumere il controllo di Telecom. Ma soprattutto sarebbe difficile alla luce della situazione politica. Lo scorso anno il leader di Forza Italia si lamentò pubblicamente di una presunta esclusione di Mediaset dalle trattative con la compagnia telefonica «per ragioni politiche». Una discriminazione che, se davvero c’è stata, oggi avrebbe meno ragion d’essere.
Il problema del conflitto d’interessi pesa ancora come un macigno, e il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni non manca di sottolinearlo ogni volta che il nome di Berlusconi viene accostato a quello di Telecom Italia. Lo stesso fanno gli uomini del presidente del Consiglio. «Ma Prodi fa politica», aggiunge uno dei prodiani doc. Lasciando intendere che l’interlocutore del premier per la riforma elettorale, la cosa che adesso sta veramente a cuore al premier, non può essere che il presidente di Forza Italia. Dire che l’ingresso di Berlusconi in Telecom Italia possa diventare il passepartout per la nuova legge elettorale che tagli fuori i piccoli partiti e le loro minacciose istanze, forse è troppo. Come forse è eccessivo sostenere che con il contributo al mantenimento dell’ «italianità» di Telecom Italia Mediaset potrebbe forse evitare, come suggerisce un autorevole esponente di Forza Italia, «la mannaia della legge Gentiloni ». Ma la partita dei prossimi mesi forse passa anche di qua.