RADICALI ROMA

Boselli: subito l'unità socialista, rifaremo il Psi

In autunno rina­sce il Psi, parola di Enrico Bo­selli. «Non trovo di meglio che chiamare il nuovo partito, co­me si è sempre chiamato, al­meno dal 1893 con il congres­so di Reggio Emilia, a un anno dalla sua fondazione: Partito socialista italiano». In mezzo al tripudio del congresso, Boselli annuncia l’evento atteso da una platea che di lì a poco lo rielegge segretario con una votazione che soltanto Bettino Craxi prima di lui era riusci­to a ottenere (un solo contra­rio e tre astenuti), segno che l’unità socialista non è più una chimera ma è vissuta co­me una prospettiva concreta. «Uniti — scandisce — i sociali­sti riusciranno a essere un punto di riferimento per unire tutti i riformisti, uniti i sociali­sti conteranno di più sul pia­no delle idee e della capacità di incidere nella politica italia­na». Bisogna fare presto, «ab­biamo di fronte a noi una con­sultazione elettorale di gran­de rilevanza, dobbiamo raffor­zare le liste dello Sdi che sono

 

aperte al contributo degli esponenti della diaspora e ai radicali che con noi hanno da­to vita alla Rosa nel pugno». Troppe volte, nota, «abbiamo avuto l’impressione di arriva­re a un passo dall’unità, poi tutto è svanito, ma ora dico: uniamoci subito».

 

 

 

Lo Sdi, quindi, resta fuori del Partito democratico. «Ca­ro Romano non mi hai, anzi, non ci hai convinto», dice Bo­selli in uno dei tanti passaggi — diciassette — sottolineati da scroscianti battimani, di un discorso il cui filo condut­tore è stato l’orgoglio. L’orgo­glio di avere fatto la scelta giu­sta, l’orgoglio di essere a un passo dal porre «fine alla dia­spora», e di avere ritrovato in questo cammino vecchi soda­li d’un tempo, come Rino For­mica, Gianni De Michelis, Bobo Craxi, ma anche nuovi ami­ci «riformisti doc come Emanuele Macaluso, Lanfranco Turci, Giuseppe Caldarola che stanno dando un grande contributo a questa prospetti­va».

 

 

 

L’obiettivo a partire da Fiuggi, incalza Boselli, è «lavorare per unire i socialisti e al­largare il campo dei nostri interlocutori, aprire un cantiere di tutti i riformisti che non condividono la scelta di aderi­re al Partito democratico».

 

 

 

Per Boselli il Partito demo­cratico non è affatto nuovo. Anzi. Nasce già vecchio. Il lea­der dello Sdi si dilunga in polemica diretta sia con Massimo D’Alema che li ha accusati di non saper cogliere la «novità». E critica la Margherita — tra le sue fila annovera «un inte­gralista di conio come France­sco Rutelli» — che in fatto di «modernità è stata superata dal capo della destra francese Sarkozy difensore dei pacs».

 

 

 

Rivolto al ministro degli Esteri Boselli si domanda: «Come si fa a definire moder­no e avanzato un partito de­mocratico dove ci saranno esponenti dell’Opus Dei, alcu­ni dei quali indossano felice­mente il cilicio? Vedeva lungo Massimo D’Alema quando si recò alla celebrazione del fondatore dell’Opus Dei com­prendendo che con parte di quella gente avrebbe fatto un partito assieme». Non solo.

 

 

 

«Se è questa la modernità che concepisce D’Alema, allora noi restiamo ancorati ai prin­cìpi di laicità che animarono il Risorgimento italiano. Del re­sto, andando indietro nei se­coli appare molto più moder­no Giordano Bruno di quanto lo sia oggi papa Ratzinger».

 

 

 

Tutto ciò non pregiudica il «sostegno pieno» al governo Prodi. Tuttavia Boselli sente l’esigenza di lanciare un avvertimento agli alleati. «Vediamo — osserva — aggirarsi tanti al­chimisti che esercitano la pro­pria fantasia nell’individuare soluzioni di riserva nel caso il governo dovesse essere scon­fitto al Senato». Si tratta, pre­cisa, «di disegni poco chiari»: riuscire «a imporre una legge elettorale che liberi il nascen­te Partito democratico dal fa­stidio dato dalla concorrenza di altre formazioni politiche». Boselli riscontra queste «ten­tazioni nei Ds, nella Margheri­ta e anche in Rifondazione co­munista. Spero che il presi­dente Bertinotti contrasti chi ci vorrebbe spazzare via attra­verso qualche congegno elet­torale».