RADICALI ROMA

Candidarsi a divenire classe dirigente: cosa abbiamo e cosa ci manca

  E’ divenuto ormai un leit motiv delle nostre riunioni, da quando con autorevolezza e convinzione Marco Pannella ha lanciato il tema nel congresso novembrino di Chianciano; la consapevolezza di dover fare questo salto di qualità, dando un taglio diverso alle nostre battaglie, si va trasformando nella ricerca delle metodologie idonee ad incardinare un processo politico, capace di intercettare quel consenso, che, su molti temi, sentiamo essere ampio e trasversale nel Paese.

In queste settimane molti spunti di riflessione politica, tattica e strategica, sono stati offerti da queste pagine e nelle nostre sempre numerose riunioni a tutti i livelli.

Se da una parte vi è stata una sorta di innocente accettazione da parte di chi è abituato a credere alle molte intuizioni di Marco, con la serena fiducia di chi ha più volte sperimentato la sua capacità profetica, dall’altra sono incominciati i dubbi, le pacate ma ferme analisi su quali siano i punti saldi di partenza per la nostra avventura e quali siano le carenze.

A mio parere una delle caratteristiche migliori del movimento radicale italiano è la sua capacità di rinnovo costante della classe dirigente interna; questa abitudine è derivata dalla tradizione governativa greco romana, ma soprattutto è frutto di una forte liberalità interna alle dinamiche radicali, unico “partito” rispondente ai dettami costituzionali della forma politica organizzata. La consuetudine del rinnovo delle cariche ad ogni anno solare consente a molti militanti, quasi tutti, di poter  avere esperienze gestionali dirette, nei diversi ambiti territoriali o tematici; così l’osmosi che si crea fra i 2 ruoli del militante e del dirigente, consente una preparazione specifica alla gestione da parte dei Radicali, che difficilmente trovano insormontabile un ostacolo o irraggiungibile un obiettivo politico. Vi è la consuetudine alla lotta non violenta, ai digiuni, ai tavolini, ma anche al rapporto con gli organi istituzionali, al ragionamento attraverso il dibattito, lo studio e l’approfondimento collettivo sui temi.

Proprio la preparazione specifica è l’altra solida gamba su cui poggia questa marcia di avvicinamento alla capacità di governo; è un ambiente quello radicale dove bisogna essere preparati mmolto più della media, su materie giuridiche, dottrine politiche, elementi anatomo-sanitari, diritti e lavoro. La conoscenza viene poi distribuita nell’ambito delle Associazioni e spesso il lavoro del singolo diviene patrimonio del gruppo.

Infine il metodo è quel collante importantissimo che tiene insieme le 2 virtù precedenti; non si può prescindere, per un Radicale, dalla legalità e dalla trasparenza, questo anche nell’agire politico per così dire interno. Le trame di partito ovviamente ci sono soprattutto nei momenti congressuali, ma la dialettica e lo scontro sono più spesso espliciti e poi  le casse finanziarie del movimento sono sempre estremamente chiare e documentate.

Rimane ora da riflettere e cercare di capire quali siano invece gli ostacoli che si frappongono a questa ennesima utopia possibile pannelliana.

A mio modo di vedere il vulnus principale del movimento è la sua mancanza di radicamento territoriale, il suo essere più spesso tematico, che non localistico. Per chi come noi di Radicali Roma è abituato a stare molto in strada succede frequentemente di essere identificati ai nostri tavolini non per le nostre iniziative locali (che pure qualche volta hanno fatto rumore e molto), ma per l’identificazione con le battaglie o le traversie del nazionale. Capita così di vedersi rifiutare una firma, perché “a Capezzone non perdono di averci tradito” o similia. La mancanza di sedi territoriali o decentrate ci fa perdere il contatto con le battaglie quotidiane delle persone, che sono abituati a pensarci come dei grandi legalitari, pensatori ed ideatori di avanzamento dei diritti, ma inefficaci nella gestione dell’amministrare giornaliero il quartiere, il comune, la regione. Poter recuperare questo ambito di vicinanza, oltre che tradursi in un sicuro incremento del consenso, ci darebbe modo di cominciare ad entrare negli ingranaggi della gestione periferica del governare.

L’altro grosso limite della battaglia politica radicale degli ultimi 15 anni è stata la visibilità, schiacciati come siamo stati fra televisioni e carta stampata, dalle quali siamo stati sistematicamente esclusi. Certo abbiamo subito un ostracismo metodico ed abbiamo cercato di aggrapparci con competenza e professionalità alla radio e alla rete web; ma a mio modo di vedere tutto ciò non basta; l’opinion making passa ancora attraverso il tubo catodico e la carta; non è un caso che pur di mantenere un rigido controllo sulla televisione, in questi mesi si sia fatta strage del diritto in commissione. Certo possiamo continuare con i peana e gridare allo scandalo rivendicando con forza diritti, che si ingegneranno comunque a negarci, ma è per me arrivato il momento di pensare ad investimenti seri per riconquistare visibilità sistematica, quotidiana, pensando a come poter fare per dotarci di uno strumento cartaceo, magari anche settimanale, che ci aiuti a far conoscere la verità dei nostri progetti alla maggioranza dei cittadini. Qualcosa di simile nel formato all’Agenda Coscioni, ma profondamente diverso nell’impostazione, più leggero, articolato, con voci dissonanti e soprattutto aperto a tematiche non solo rigorosamente nostre. Per me un quotidiano radicale è un sogno al quale cercherò di lavorare ogni volta che ne avrò l’occasione per promuovere l’idea e convincere i riottosi.

Mi sono accorto di essere diventato lungo nello scrivere e sicuramente più pedante e noioso dei miei già bassi standard e quindi mi fermo qui, sapendo che di motivi di carenza da analizzare, così come garanzie di buona qualità ve ne sarebbero ancora alcune da affrontare. Spero che questo piccolo sasso nella piccionaia possa aprire uno spazio di dibattito con l’arricchimento di molti altri.