RADICALI ROMA

Carenti come prima, ma presto più cari C’era una volta la liberalizzazione dei taxi

Walter Veltroni non era ancora il segretario del Partito democratico. Anzi, in quel luglio del 2006 nessuno avrebbe mai immaginato che meno di un anno dopo il sindaco di Roma sarebbe diventato il dominus della nuova formazione. Quattordici luglio 2006, dunque: Veltroni sta presentando uno degli eventi dell’estate romana, la rassegna teatrale “Imperatori alla sbarra”, un processo-spettacolo a Giulio Cesare e Nerone, giudicati ogni sera al termine della rappresentazione da dodici persone scelte tra il pubblico. Durante la conferenza stampa il sindaco si scusa coi giornalisti: «Devo scappare – spiega – oggi ho un po’ di problemini in città».
I «problemini» sono causati dai tassisti, da giorni in rivolta contro il decreto Bersani che, tra le altre cose, liberalizza le licenze del settore. Il motivo del cambio di programma del sindaco lo spiega Loreno Bittarelli, uno dei leader più intransigenti della rivolta “gialla”: «Veltroni ha accettato di partecipare alla trattativa col governo, ma non come sindaco. Come mediatore». Veltroni, successivamente, smentirà di essersi seduto al tavolo del ministero dello Sviluppo economico, cioè accanto al ministro e compagno di partito Pierluigi Bersani, con quel ruolo e su esplicita richiesta dei tassisti. Fatto sta che si siede. Passano tre giorni: la sera del 17 luglio lo stesso Bittarelli comunica la lieta novella alle migliaia di tassisti giunti da tutta Italia e accampati con auto al seguito a piazza Venezia: «Via il cumulo delle licenze, via la doppia targa. Abbiamo vinto!», dice il “sindacalista” esultando per lo stralcio dal decreto Bersani dei due punti più contestati dai tassisti, quelli che di fatto avrebbero liberalizzato la professione (e le tariffe). Le auto bianche sciolgono l’adunanza, non prima di aver ringraziato il sindaco Veltroni per il contributo alla causa. Bersani fa buon viso a cattivo gioco: «È stato un pareggio». Rutelli, che da predecessore di Veltroni si è scornato contro gli scioperi selvaggi della categoria, mastica amaro: «Si doveva liberalizzare di più». Romano Prodi convoca Bersani e gli dice: «Non possiamo permetterci passi indietro». Intanto il sito lavoce.info, think-tank di economisti non ostili all’esecutivo parla di «resa incondizionata del governo». E Veltroni? Si prende gli applausi dei “duri” e dichiara: «È stato un bene seguire la linea del dialogo».
Cosa ha portato la linea del dialogo? L’impegno dei tassisti a «liberalizzare i turni» e la devolution della trattativa: i Comuni hanno facoltà di intervenire «per potenziare il servizio». Insomma, nemmeno fosse una anticipazione delle vicende del Pd, Bersani esce di scena e la palla passa a Veltroni. Il grande mediatore dell’accordo di luglio deve portare a casa qualche risultato nella sua città. L’obiettivo è fare in modo che, grazie al prolungamento dei turni, a Roma circolino 2500 taxi in più. Ai titolari di licenza sarà permesso assumere un familiare o un dipendente, oppure restare loro stessi alla guida al termine del turno regolare. Non è una liberalizzazione. Però è qualcosa. Ma c’è una prima sorpresa: al momento di firmare l’accordo in Campidoglio i tassisti pretendono di inserire un punto non previsto: l’impegno ad aprire un nuovo tavolo per l’aumento delle tariffe. Veltroni accetta e il 31 agosto si firma l’accordo, con l’impegno a verificarne i risultati dopo sei mesi.
Ma già a novembre arriva la seconda sorpresa, anche se è difficile stupirsene. Il Comune non ha alcun mezzo per verificare se le auto in circolazione siano effettivamente aumentate e, a giudicare dalle lamentele e dalle code alla stazione Termini, uno dei punti più critici, la situazione non pare migliorata.
Veltroni sbatte i pugni sul tavolo e ingiunge ai tassisti: «O accettate il controllo satellitare per verificare quante auto sono effettivamente in circolazione o aumentiamo le licenze». I tassisti rispondono che il satellite non va bene, perché «viola la nostra privacy». Il non ancora leader del Pd minaccia allora 1000 nuovi taxi subito e altri 1300 scaglionati entro il 2009. In tutto 2300 nuovi taxi. I tassisti stavolta abbozzano. Ma, in realtà, le licenze sdoganate dal bando straordinario del Comune sono 1000. E sei mesi dopo, nel giugno scorso, quando Veltroni pronuncia al Lingotto di Torino il suo discorso di insediamento al vertice del Pd, quelle effettivamente rilasciate in più rispetto all’anno prima sono poco più di 600. Oggi, passati altri cinque mesi, le licenze aggiuntive sono circa 1200.
Nel frattempo, i tassisti non si sono dimenticati l’aumento delle tariffe. L’assessore alla Mobilità del Comune di Roma, Mauro Calamante, sta trattando da settimane con la pletora di sigle e siglette del sindacalismo tassista per legare gli aumenti al potenziamento del servizio. Per ora, l’accordo non c’è né sul servizio né sui denari. I tassisti chiedevano il 25 per cento di aumento. Il Comune offriva il 12. Si sono incontrati a metà strada: 18 per cento. Ma è un incontro virtuale. Perché i tassisti propongono anche l’introduzione di una tariffa progressiva per i lunghi percorsi e di un costo fisso per i servizi verso qualunque stazione. Il Campidoglio non ci sta. E dalle prime simulazioni del Comune emerge che gli aumenti sarebbero ben superiori al 18 per cento, sfiorando in alcuni casi il 60 per cento. Calamante torna ad alzare la voce: «Non potenziate il servizio? Sono pronte 500 nuove licenze dedicate esclusivamente al servizio alla stazione centrale». E la partita prosegue.
Resta che, un anno e mezzo dopo l’accordo al ministero propiziato da Veltroni, le nuove auto a Roma sono circa 1200. Quattrocento di queste nuove licenze erano già previste prima che di decreto Bersani si cominciasse a parlare. Le altre erano assegnabili anche senza decreto governativo. Le tariffe aumenteranno presto di (almeno) il 18 per cento. Un taxi in periferia resta raro come unicorno. Nelle ore di punta, come un quadrifoglio. Nelle altre grandi città, Milano in testa, non va meglio. In sostanza, la liberalizzazione è seppellita, il servizio è carente quanto prima e fra poco costerà di più. Magari si può ancora confidare in uno scatto di reni del Veltroni segretario del Pd, sperando che si reintesti il dossier liberalizzazioni togliendolo al Veltroni sindaco. In attesa di sviluppi, la domanda è lecita: se, tornando a quel luglio 2006, Veltroni fosse il terzo “imperatore alla sbarra”, sulla vicenda dei taxi il pubblico-consumatore lo assolverebbe?