Ha passato almeno un paio d’anni in giro per l’Italia in incontri, convegni, tavole rotonde e assemblee di partito a motivare la sua battaglia. Due anni impegnato a spiegare perché non gli piace la famosa – quanto ormai dimenticata –legge 40 sulla procreazione assistita ispirata dalla Chiesa. E, soprattutto, ad argomentare le ragioni sue, le ragioni dei laici. Lo ha raccontato con minuzia, quel periodo, prima in annotazioni personali, poi sul suo sito, infine in un vero e proprio libro in uscita in questi giorni, Diario di un laico (edizioni Pendragon, pp. 328, euro 15), L’autore è Carlo Flamigni, esperto per antonomasia di fisiopatologia della riproduzione e di endocrinologia ginecologica, membro del Comitato nazionale di bioetica, uno scienziato laico con la passione civile, sensibile agli aspetti politici del fare scienza, impegnato nel Pci in passato e nei Ds oggi – anche se con molto scetticismo nei confronti del nascituro partito democratico. Sono passati tre anni dall’approvazione della legge 40. Fu il banco di prova per lo scontro in Italia tra due culture contrapposte, i laici da una parte, i cattolici dall’altra, chi cerca l’integrazione e non vuole imporre i propri valori a tutti e chi, invece, è convinto che la propria etica corrisponda a verità assoluta e tutti siano tenuti a seguirla a meno di non essere dei malati contronatura. Per combattere la legge, Flamigni ha girato in lungo e largo l’Italia Si è scontrato con avversari cattolici ma anche con quella specie di “laici” più oltranzisti della Chiesa alla Giuliano Ferrara. Ha provato a spiegare l’inconsistenza della tesi della “palla prigioniera”: un modo suo, ironico, per definire la tesi cattolica che «lo spermatozoo tocca l’uovo e, oplà, ecco la persona, l’individuo, uno di noi». Ha scritto in tutte le forme che dal primo contatto tra uovo e spermatozoo alla formazione dell’embrione vero e proprio ce ne passa. La fecondazione non è un processo istantaneo, come se per scintilla divina saltasse fuori immediatamente una nuova entità personale. Neanche San Tommaso si è mai spinto a pensarlo. C’è, piuttosto, una sequenza di strutture pre-embrionali (chiamate così non a caso) che si avvicendano nel tempo di almeno ventiquattr’ore: l’oocita, l’oocita attivato, l’oocita penetrato, l’oocita a due pronuclei, lo zigote e, solo a questo punto, l’embrione.
Oggi non se ne parla più, ma quello scontro è destinato a ripetersi. E’ successo con l’eutanasia,succede con i Dico. «L’opinione di molti laici, dopo il mancato successo del referendum, è stata – scrive Flamigni – più o meno questa: un’occasione perduta, è vero, peccato; ma anche una grande sollecitazione a un dibattito su alcuni temi (la laicità, la bioetica) che nel Paese non era mai stato avviato».
La Chiesa ha cambiato atteggiamento, lei scrive. Perché?
Le gerarchie ecclesiastiche hanno deciso di perseguire l’etica della verità. Tutti hanno una versione della verità ma se cercassero di imporla con la violenza e la costrizione otterrebbero effetti controproducenti. La Chiesa si mette in urto con le verità degli altri. Secondo, deve interferire con la politica. Se sposa l’etica della verità deve per forza farla realizzare attraverso le leggi, altrimenti quella verità resta sulla carta, pronunciata solo a parole. Non solo, deve anche evitare che si scrivano leggi in contraddizione con la sua idea. Da qui nasce la battaglia della Chiesa contro i Dico. Ma io sono convinto che almeno una parte della comunità cattolica vorrebbe un’etica diversa, un’etica della compassione, la disponibilità a soffrire con gli altri per mettersi al loro livello e agire concretamente. L’etica della verità, invece, può tutt’al più spingersi alla pietà calata dall’alto sugli errori di chi sta in basso e deve essere redento, salvato, perdonato. Ma chi lo vuole? Questo Papa di politica ne fa tanta. E’ pesante, invadente. Questa è l’Italia. Per modernizzarla ci vorrebbe il modello francese. Facciamo un cambio con la Francia, restituiamo il Vaticano ad Avignone…
La legge 40 è stata solo l’inizio. Lo scontro con i cattolici è destinato a ripetersi La. Chiesa non ha il vantaggio di servirsi d’un linguaggio semplice, intuitivo, facile a capirsi? E la scienza potrebbe farsi intendere anche dal popolo, oltre che dalle minoranze colte?
Anche noi, laici, scienziati, persone di sinistra, qualcosa abbiamo sbagliato. Io volevo intitolare il libro “Però, compagni, ve l’avevo detto”. Ero scettico, sapevo che sarebbe stato difficile fare una campagna referendaria su questi temi, I preti parlavano in latino, noi parlavamo di embrioni. La gente non va a votare, è difficile motivarla. Bisogna insistere di più su temi semplici, la laicità, i diritti individuali, i vantaggi della ricerca scientifica, il fatto che la scienza è un investimento collettivo della società. Cose semplici che possano colpire le persone allo stomaco. E invece ci siamo messi a ragionare di bioetica Di questioni bioetiche dobbiamo discutere nei comitati, non nei comizi.
In tanti pensano che la religione è più vicina ai problemi esistenziali dell’essere umano afflitto dal dolore e dalla morte e che la scienza invece, è più astratta. Però nel libro lei sostiene che no, la scienza è un investimento della società ed ha a che fare proprio con il dolore e la scelta. Perché?
Non solo. Ma la società investe nella scienza proprio per avere un aiuto contro i soggetti più deboli, fragili, sofferenti, per i malati. Il problema – non è facile spiegarlo alla gente – è che la scienza accademica ha dei doveri talmente grandi nei confronti della società che puoi fidarti. C’è poco da temere. La scienza deve essere comunitarista – direi comunista
– disinteressata, trasparente, capace di autocritica, di scetticismo organizzato. Tutto questo è un dovere, lo scienziato non fa parte della comunità scientifica se non sente questi doveri. Poi però c’è anche la scienza non accademica, quella al servizio del militarismo, delle multinazionali, delle società che costruiscono fermaci. Questa non ha doveri verso la collettività. Dobbiamo vigilare perché questa scienza incontrollabile non tracimi e non prevalga sulla nostra. Se non si alimenta la ricerca di base con il mecenatismo statale, con gli investimenti pubblici allora si favorisce la vittoria della scienza al servizio degli interessi privati. Se io sono uno scienziato, un ricercatore che ha un’idea e vuole fare una sperimentazione, chiedo i soldi allo Stato, Ma se non me li dà, sono costretto a rivolgermi all’industria. Allora sì, li ottengo, ma i risultati non sono i miei. Questione bioetica, laicità e quale scienza vogliamo: ecco i tre temi centrali per una politica della sinistra da cui si sviluppano tutti gli altri valori: solidarietà, equità, giustizia, uguaglianza.
Per paradosso è proprio la sinistra ad alimentare stereotipi contro la scienza, C’è chi pensa che debba essere per forza cattiva, non neutrale e sempre asservita agli interessi dominanti. Non rischiamo di sguarnire le basi del pensiero laico e razionale e diventare subalterni al discorso religioso?
SI, c’è una diffidenza. Naturalmente non tutta la ricerca scientifica è buona e bella, però esistono i criteri di valutazione, li possiamo definire, Abbiamo la possibilità di controllare, governare, indirizzare la scienza. Abbiamo ricercatori attentissimi ai problemi etici, Nessuno l’ha mai capito. Ai primi congressi, al tempo delle prime fecondazioni assistite degli anni ’80, erano i biologi che chiamavano i filosofi e i bi
oeticisti, Ma non venivano perché non capivano di cosa si parlava. Questa voglia di lavorare all’interno di un orizzonte condiviso è molto forte, soprattutto tra i giovani ricercatori. Non è vero che la scienza è un delirio d’onnipotenza che rende gli uomini e dorme marionette. Sono stereotipi. Come quelli contro la genetica.
Il partito democratico: se dovesse nascere dovrà abdicare alla cultura laica? C’è rischio di rotture inevitabili?
L’unica soluzione sarebbe quella di arrivare al congresso con una dichiarazione firmata rivolta ai cattolici della Margherita: “tutto quello di cui parleremo è aperto al dialogo e al compromesso”. Non ci possono essere “non possumus” riguardo agli argomenti di cui un partito deve parlare. Sarebbe un primo passo. Invece, non passa giorno che il Papa non ricordi ai parlamentari cattolici che valori come vita e famiglia non sono negoziabili. Non ci può essere un nuovo partito se una sua parte ritiene ci siano temi sui quali non si può discutere.