RADICALI ROMA

Caro Fassino, col Pd ci confronteremo Ma per i socialisti è una cosa estranea

Il confronto a cui Fassino invita lo Sdi non riguarda solo il can­tiere del Partito democratico ma anche il destino del movimen­to socialista in Italia e più in gene­rale quello della sinistra riformista. Tra i due aspetti, infatti vi è una stretta interdipendenza. Noto, in­nanzi tutto, che Fassino ricorda con particolare enfasi il richiamo, contenuto nella mozione di mag­gioranza al congresso ds, ai leader socialisti. In realtà da parte dei Ds non c’è stata mai una netta rottura rispetto alla storia del Pd e, di con­seguenza, una chiara scelta per ri­collegarsi alla storia del movimen­to socialista. Non è proprio possi­bile mettere insieme Granisci, Togliatti, Longo e Berlinguer con Tu­rati, Nenni, Craxi, De Martino, Mancini, Lombardi e Ferrini, nonché – ed è bene non dimenticar­lo – Giuseppe Saragat, il rifondatore del­l’Internazionale   socialista nel 1951. Si tratta, infatti, di tradi­zioni e storie diverse che non si possono mettere insieme alla rinfusa co­me se questi leader avessero avu­to le stesse idee e convinzioni.
 
Fassino parte dalla storia re­cente e meno recente dell’Ulivo, nel quale anche noi, come Sdi, ci siamo impegnati, per sviluppare un invito che è in realtà un’aperta polemica. L’idea dell’Ulivo nasce nel nostro Paese da una condizio­ne di sostanziale debolezza della sinistra riformista. Oggi, infatti, i partiti che si riferiscono al Pse arri­vano a una percentuale all’incirca del 20%, insufficiente per offrire una alternativa di governo di tipo socialdemocratico europeo. Per questo motivo si è avuta un’allean­za, che è andata dal centro cattoli­co all’estrema sinistra, che è stata in grado di farci vincere ma la cui eterogeneità, come dimostra il vo­to di ieri al Senato, rende assai dif­ficile, se non impossibile, governa­re. Per superare questa situazione da parte di Prodi e Parisi era stato indicato da tempo il progetto del­l’Ulivo, per dare un saldo timone riformista alla coalizione.
 
Fassino fa una serie di osser­vazioni basate su tre punti princi­pali delle nostre critiche: 1) l’Ulivo non è una somma tra Ds e Mar­gherita; 2) il nuovo Partito demo­cratico ha un carattere laico; 3) la nuova formazione sarà in sintonia con l’unità di tutte le forze pro­gressiste con un rapporto da co­struire con l’Internazionale sociali­sta. Ne seguirò passo passo, e criticamente, le argomentazioni. Se­condo Fassino, ed è la prima argo­mentazione, il Partito democratico non sarebbe attualmente una pura e semplice somma di Ds e Margherita ma sarebbe anzi aperto a correnti socialiste, libe­rali e ambientaliste.
 
Bisogna ricordare che attorno al disegno dell’Ulivo si sono con­frontate due visioni profondamente diverse: l’una rivolta a met­tere in moto un processo che por­tasse a una integrazione tra diver­si riformisti e alla costruzione di un soggetto politico dav­vero   nuovo;  l’altra, piuttosto insofferente nei confronti del nuovismo, mirava a una pura e semplice unificazione dei vecchi par­titi. Quale di queste due  impostazioni  è prevalsa? Mi sembra che sia davvero difficile dimostra­re che l’Ulivo non sia una biciclet­ta Ds-Margherita se non altro per­ché non vi sono, oltre a questi due partiti, altri rilevanti interlocutori o soggetti politici. Ma non solo di questo si tratta, poiché si sta arri­vando al Partito democratico sulla base della sommatoria di due par­titi, Ds e Margherita, così come so­no, senza che ci sia stato alcun rea­le processo di rinnovamento che ne abbia posto in discussione orientamenti e fondamenti.
 
Fassino, ed è la sua seconda ar­gomentazione, sostiene che il Par­tito democratico sarebbe lontano da qualsiasi influenza clericale. È questa una delle questioni di gran­dissima rilevanza per comprende­re il cambiamento avvenuto nel progetto dell’Ulivo. La costruzio­ne di un Partito democratico, infat­ti, presupponeva il superamento dell’idea stessa che nostro Paese i cattolici facciano politica in quan­to tali. Si sperava cioè che ciò che era avvenuto prima con il Ppi di don Luigi Sturzo, poi con la Democrazia cristiana dopo il collas­so del vecchio sistema politico non avvenisse più. L’idea di fon­do era il superamento della que­stione cattolica come categoria separata e distinta nella politica italiana. La Margherita, nelle am­bizioni di Prodi e Parisi, non avrebbe dovuto essere un enne­simo partito cattolico, ma rappre­sentare una sorta di prototipo del futuro Partito democratico.
 
Rutelli era stato indicato co­me leader della Margherita pro­prio per le sue caratteristiche di estraneità alla storia della Dc: co­me una sorta di garanzia laica che un partito composto quasi esclusi­vamente da post-democristiani non avrebbe avuto caratteristiche confessionali. Al contrario, Rutelli si è comportato in modo del tutto opposto alla missione politica che gli era stata affidata. Fassino ram­menta solo come Rutelli abbia bloccato il processo di costruzione dell’Ulivo, ma dimentica – e non è un’omissione di poco conto – di ci­tare l’adesione che il leader della Margherita dette all’invito del cardinale Ruini per l’astensione sul referendum per la feconda­zione assistita. Eppure è proprio con questo atto che cambiano in profondità le prospettive stesse della Margherita. È questa la scelta che a mio giudizio ha mes­so in crisi l’Ulivo, almeno nella versione di Prodi e di Parisi, quel­la alla quale lo Sdi aveva dato la sua adesione.
 
Non è infatti concepibile un Partito democratico che abbia al suo interno una componente confessionale. Non sottovaluto affatto il documento dei sessanta deputa­ti della Margherita. Ma questo te­sto è la testimonianza di un problema irrisolto, costituito nel rap­porto tra i cattolici che fanno poli­tica e la Chiesa. Non capisco, infi­ne, che nesso ci sia tra il realismo politico con il quale un rivoluzio­nario comunista come Granisci in­dicava il modo in cui lo Stato operaio avrebbe dovuto affrontare la questione vaticana e la prospettiva di costruire un partito con una componente cattolica nella quale molti sono sensibili agli orienta­menti delle gerarchie ecclesiastiche. E per inciso ricordo, a tale proposito, che Granisci considerava anche il Concordato una capi­tolazione dello Stato moderno.
 
Infine, ed è questo il terzo ar­gomento di Fassino, il Partito de­mocratico si collocherebbe, comunque, nell’ambito di un proces­so di riorganizzazione di tutte le forze progressiste, già diverse vol­te sollecitato dai socialisti italiani e richiamato più volte da Mini, che porterebbe comunque ad un rap­porto con il Pse e l’Internazionale socialista. Ciò è vero. Tuttavia un partito democratico, con all’inter­no una componente confessiona­le, è quanto di più distante si possa concepire dalla socialdemocrazia europea, e quindi ben difficilmen­te potrà muoversi verso l’Interna­zionale socialista e il Pse.
 
Questo stato di cose rappre­sentato dalla crisi del progetto dell’Ulivo fa riemergere la que­stione socialista.
 
Se il Partito democratico è un aggregato piuttosto confuso dal punto vista politico, allora è neces­sario trovare altre strade. Noi, con l’esperienza della Rosa nel pugno, abbiamo cercato di dare una risposta ad una offensiva in­tegralista in grande stile delle gerarchie ecclesiastiche, come mai si era vista dalla campagna con­tro la legge sul divorzio e quella sull’aborto. Della Rosa nel pu­gno abbiamo esaminato e com­preso i limiti, ma al fondo di que­sta esperienza c’è stata una giusta valutazione di come si pongono in Italia i problemi della difesa della laicità dello Stato.
 
Ci rendiamo conto che la crisi dell’Ulivo come progetto politico davvero innovativo, e la sua ridu­zione alla somma di due partiti, ri­chiede una risposta più complessa e ampia di quella che abbiamo da­to con la Rosa nel pugno. E pro­prio per questo avvertiamo la ne­cessità di riportare in primo piano la questione
socialista e il suo rap­porto con le forze progressiste laiche, liberali, radicali e ambientali­ste; e di sviluppare il confronto su una Costituente socialista.
 
Sappiamo bene che su questa strada bisogna chiarire che la co­struzione di una forza legata al so­cialismo europeo non può coinci­dere con l’unità delle sinistre, e de­ve essere portata avanti sulla base di una piattaforma riformista, simile a quella degli altri partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei. Si tratta, come si può constatare, di una strada che oggi diverge da quella indicata da Fassino e che tuttavia non impedirà di sviluppare il confronto in atto tra i socialisti e i Ds anche quando i Ds si saranno sciolti e saranno confluiti assieme alla sinistra post-democristiana in un solo partito che si riferirà alla storia comunista e a quella dei cattolici democratici. Non sarà un evento di poco conto, ma sarà sicuramente una cosa alla quale i socialisti italiani continue­ranno a sentirsi estranei.