La tempra rivoluzionaria del buon Francesco Caruso, antagonista protetto da Fausto Bertinotti, deve essere stata messa a dura prova dalle soffici poltrone di Montecitorio. Infatti il nostro provocatore di professione azzarda atti di disobbedienza e poi se li rimangia, e spaventato dalle bacchettate dei questori della Camera dei deputati si dichiara “non pentito” ma promette un futuro di disciplina: «Non lo rifarei». Il bello è che Caruso non ha fatto e non ha detto o meglio si è “sbagliato” nel dire. Neanche un inesperto scolaretto accenderebbe in maniera così maldestra la miccia per infiammare il Palazzo. I semi di cannabis nelle fioriere di Montecitorio dovranno aspettare mani più coraggiose e ingegni meno “sballati”. Caruso li voleva aver piantati già, ma aveva dimenticato di esprimersi al futuro e aveva scordato che Fausto è terza carica dello Stato e anche che della sua disobbedienza non gliene frega niente a nessuno perché ci ha già pensato Livia Turco a far contenti i suoi amici cannaroli. Ergo: sarebbe meglio per lui accucciarsi nel ruolo fin qui avuto di antagonista assistito che è sempre meglio, per quelli come lui, di trovarsi un lavoro. Perché esagerando finisce come Nunzio D’Erme che, non rieletto a compiere sceneggiate in Campidoglio, è diventato un innocuo disoccupato in cerca di padrini politici disposti a passargli uno stipendio.
A questo punto, meglio l’antiproibizionismo conseguenziale di Marco Pannella che le bustine di hashish le distribuiva veramente ai passanti e le provocazioni, anziché annunciarle e basta, le metteva in pratica. Un avversario di quel calibro, infatti, restituisce dignità a un dibattito che riguarda (ìle giovani generazioni e che è serissimo. Caruso invece lo fa degenerare e lo abbassa al livello del più fetido sottoscala della politica.