RADICALI ROMA

CELIBATO ECCLESIASTICO, PRESERVATIVO, OMOSESSUALITÀ: IL CARD. DANNEELS SQUARCIA QUALCHE VELO

Lo ha affermato il card. Godfried Danneels, arcivescovo di Bruxelles e presidente della Conferenza episcopale belga, in una lunga intervista rilasciata al quotidiano belga La Dernière Heure/Les Sports (9/3/06) che affronta i temi attualmente più controversi e livello ecclesiale. In contrasto con quanto afferma la recente Istruzione vaticana sull’accesso di candidati omosessuali al seminario, Danneels sottolinea infatti che “il fatto che un prete sia omosessuale non costituisce, per me, una ragione che mi spinga a intervenire”; la discriminante risiede, invece, nell’osservanza o meno del voto del celibato. Celibato che è obbligatorio, certo, ma che lo è grazie ad una “legge disciplinare”, spiega Danneels, che non è fondata sul sacerdozio e che dunque può essere cambiata: “Di fatto si può essere preti senza essere celibi”, come dimostra la tradizione della Chiesa orientale.
Il cardinale è intervenuto anche sui Pacs, distinguendo tra etica della Chiesa e legge civile: “Posso accettare che una legislazione determini condizioni di coabitazione e diritti per le coppie omosessuali, ma non posso accettare che lo si chiami matrimonio”, ha detto.
Nell’intervista Danneels esprime anche un sì al preservativo quando serva ad evitare il contagio del virus Hiv e dunque ad evitare di commettere “un altro peccato, quello di omicidio”. Non si tratta, in questo caso, di una posizione nuova, né in assoluto (già il card. George Cottier, ex teologo della Casa pontificia, si era espresso in termini analoghi, definendo il profilattico un “male minore” in alcune situazioni, ma anche il card. Javier Lozano Barragán e i vescovi spagnoli; v. Adista nn. 7, 9, 11/05) né per lo stesso Danneels: egli infatti aveva già dichiarato il suo punto di vista alla tv olandese nel 2004.
Il cardinale, che è stato dato tra i papabili in occasione dell’ultimo Conclave, e che sicuramente rappresenta l’ala progressista dei vertici della Chiesa, ha parlato anche di islam, di sacerdozio femminile, di aborto (“non si può condannare sistematicamente la donna che ha abortito”) ed ha espresso un giudizio su papa Benedetto XVI. Di seguito, in una nostra traduzione dal francese, il testo dell’intervista.
L’Islam in Europa

Recentemente, la questione delle caricature danesi; più indietro nel tempo, fondamentalisti che spingono alle estreme conseguenze le prescrizioni del Corano: bisogna temere l’islam nel XXI secolo?
Danneels: L’islam è in effetti una religione in cui tutto è monolitico: si parla arabo, la religione è la stessa, le abitudini di vita, i matrimoni… In definitiva, è tutto o niente. Da noi c’è piuttosto la rottura di questa tendenza monolitica: posso parlare francese, essere cattolico, non essere capitalista e amare Dostoevskij. Questo patchwork nell’islam non esiste.
Se questa tendenza monolitica può essere un pericolo? Certo, come il cristianesimo di qualche secolo fa. Ma noi abbiamo imparato a separare Chiesa e Stato. Cosa che non accade nell’islam: la vita sociale è interamente controllata. Almeno per gli integralisti. Questo islam procede verso il fondamentalismo, se non si fa attenzione. Ma un altro islam, negli ambienti più intellettuali, ha già operato la separazione tra religione e vita sociale, religione e Stato. Io lo definisco come un islam che ha compiuto la sua Rivoluzione francese. Spero che l’islam europeo la compirà. L’islam predica valori autentici, come la concezione di un Dio trascendente, la pratica religiosa frequente e regolare, la coesione sociale e anche il fatto che, per i musulmani, la religione può anche intervenire nella vita sociale. Se lo fa senza sconfinare nel dominio statale, questo non pone problemi.

La Chiesa cattolica intrattiene relazioni continue con le altre religioni?
Danneels: Vi è una concertazione con le altre religioni del Paese, che potrebbe essere più consistente. Ma ci si capisce bene. Il problema con l’islam è che non vi è una gerarchia, gli imam sono tutti alla pari. Non vi è alcun interlocutore rappresentativo per tutto l’islam, salvo, ora, l’Esecutivo dei musulmani, che ha un presidente, ma che non ha autorità. E che non è riconosciuto da tutta la comunità. È abbastanza diviso… E la politicizzazione è un problema.

Secondo lei, si può raffigurare il profeta Maometto?
Danneels: Tanto per cominciare, conosco delle vignette più belle e più interessanti di quelle! In secondo luogo, secondo me, Maometto può essere rappresentato. Ma se i musulmani desiderano che non lo sia, penso che non si debba provocarli.
La reazione, però, è stata totalmente sproporzionata. Non vi è nulla qui che giustifichi la violenza. Come spiegarla? Probabilmente proviene da una forma di radicalismo. Una manipolazione? Forse. E non bisogna dimenticare che, nella coscienza collettiva dei musulmani, vi è sempre la memoria delle crociate. L’Occidente è sempre visto un po’ come anti-islamico e la moralità dell’Occidente come degradata. È come una ferita radicata nella coscienza collettiva. Direi che ad un certo punto bisogna smettere di rivangare il passato. E dietro queste ferite, certo, ci possono essere strumentalizzazioni. Non vi è nulla di più facile che strumentalizzare la religione in senso negativo: allora diventa fanatismo.

Il matrimonio dei preti

Il matrimonio dei preti è impossibile da prendere in considerazione?
Danneels: Il suo divieto deriva da una legge cosiddetta “positiva” della Chiesa, il che significa che può essere cambiata. Si tratta di una legge disciplinare, che non è fondata sul sacerdozio. Di fatto si può essere preti senza essere celibi: così nella Chiesa orientale la maggior parte dei preti è sposata.
Il celibato è una concezione superata? Beh, il futuro ce lo dirà. Si vedrà se ci si tornerà sopra, ma non credo. Fondamentalmente, il prete sceglie liberamente prima di intraprendere il suo cammino. Si tratta di un freno all’accesso al sacerdozio? Non credo. Può essere che abolendo la legge sul celibato si trovi qualche vocazione in più, ma non sono affatto certo che questo durerebbe a lungo. Basta guardare le altre Chiese in cui il celibato non è obbligatorio; esse soffrono la stessa crisi di vocazioni che c’è da noi.
Il più grande ostacolo per un prete non è il celibato, ma la difficoltà di dare la propria vita per cause invisibili. Ci si sente anche soli a volte. E anche le condizioni di vita del prete sono molto dure. Non è più una promozione sociale come cinquant’anni fa o un secolo fa! È duro e c’è molto lavoro!

E il sacerdozio femminile?
Danneels: si dice sempre che la Chiesa cattolica non vuole che le donne diventino sacerdoti. Non è esatto. La Chiesa ha detto che non si sentiva autorizzata a farlo, visto che Gesù ha scelto come suoi apostoli solo uomini. Stando così le cose, penso che sia necessario accordare alte responsabilità alle donne nella Chiesa. Da questo punto di vista, vi è un ritardo da recuperare.

L’uso del preservativo

La Chiesa cattolica subisce critiche molto dure a proposito delle sue prese di posizione sull’aborto, la contraccezione, il preservativo…
Danneels: Non bisogna mai condannare il peccatore. Ma, di volta in volta, bisogna osare andare controcorrente. È vero, queste questioni cristallizzano le critiche e rendono la vita della Chiesa difficile.
Lei è pro o contro l’uso del preservativo?
Danneels: Prima di tutto, il papa non ha mai usato il termine preservativo – tanto meno per condannarlo – in nessuno dei suoi discorsi. Da parte mia, non dico che l’uso del preservativo è accettabile. Ma se, per esempio, un uomo malato di Aids obbliga sua moglie ad avere rapporti sessuali, lei deve poterlo obbligare a mettere un preservativo. Altrimenti si aggiunge un altro peccato, quello di omicidio. L’ho sempre detto: il preservativo, nella misura in cui permette la tutela della vita, non rientra nel campo puramente sessua
le.

E l’aborto? Condannabile in tutti i casi?
Danneels: La Chiesa resta sulla sua posizione, ed anche io: non si può disporre della vita, è chiaro. Tuttavia, un’altra cosa è condannare sistematicamente la donna che ha abortito: se lei lo fa freddamente, non è tollerabile. Ma la situazione è diversa se lei si è ritrovata messa con le spalle al muro da tutte le parti: questo riduce la sua responsabilità. Anche un tribunale giudicherà in modo diverso un omicida, a seconda che si tratti di un crimine passionale o commesso a sangue freddo. Talvolta si può essere responsabili solo in parte. Detto questo, resto fermamente contrario all’aborto. Questa posizione deriva dal rispetto totale e illimitato per l’altro.

Matrimonio omosessuale

Il suo approccio a questa questione è cambiato?
Danneels: Secondo me, il cuore del dibattito è a monte. All’origine, è il matrimonio degli omosessuali a farmi problema. Posso accettare che una legislazione civile determini condizioni di coabitazione e diritti per le coppie omosessuali, ma non posso accettare che lo si chiami matrimonio. Non bisogna confondere tutto: i concetti e le parole devono restare univoci. Se il termine “matrimonio” ricopre ogni forma di coabitazione tra un uomo e una donna o tra un uomo e un uomo, allora in quel momento la parola non ha più senso. Chiamiamolo in modo diverso.
Quanto all’adozione da parte di coppie omosessuali, essa è la conseguenza logica del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Alla Commissione del Senato, il voto è stato combattuto, il che significa che anche nei partiti politici esistono divisioni. Stando così le cose, è normale che una legislazione civile – che io rispetto – non sia totalmente adeguata al mio giudizio etico.

Lei accetta l’omosessualità in quanto tale?
Danneels: Lei conosce la dottrina della Chiesa su questo punto: non si tratta di una situazione normale, ai nostri occhi. Tuttavia, non è questione di condannare o di discriminare. Di nuovo, bisogna fare una distinzione tra giudizio etico e le leggi che regolano la vita nella società. Stesso discorso per la prostituzione: la Chiesa è contro queste pratiche, ma accetta le leggi che le regolano.

E l’omosessualità dei preti?
Danneels: Che sia eterosessuale o omosessuale, il prete ha fatto voto di celibato. Non faccio differenza tra i due. Se un prete non osserva il celibato, lo chiamerò e si vedrà che cosa si può fare. Ma il fatto che un prete sia omosessuale non costituisce, per me, una ragione che mi spinga a intervenire.

Il Conclave

A quasi un anno dalla morte del papa, quale ricordo conserva di quei momenti così emotivamente forti?
Danneels: Il ricordo di un periodo in cui tutti noi cardinali eravamo riuniti: questo dava un senso alla Chiesa. Il Conclave si è svolto molto velocemente, ma c’era un buon clima tra persone che servono tutte la stessa causa. Si avvertiva una unità di visione, eravamo solidali. È stato anche piacevole, perché tra i cardinali vi sono degli umanisti, degli umoristi, persone intelligenti… e altri che lo sono meno. Certo, non abbiamo visto lo Spirito Santo scendere su di noi, questo no, ma accetto nella fede che questa scelta sia stata la volontà di Dio.

Benedetto XVI è visto come un papa di transizione, dopo il carismatico Giovanni Paolo II. Lei gli è stato vicino, che opinione ha di lui?
Danneels: È un uomo discreto. Un uomo che insegna con calma: non è uno showman, assolutamente. E nemmeno un uomo delle folle. Ma è posato. La sua prima enciclica è molto chiara: non parla di temi scottanti, parla dell’essenziale, di amare Dio e di amare gli altri. È una bella enciclica, anche se, due giorni dopo la sua pubblicazione, nei media già non se ne parlava più… Direi che a fianco di temi controversi, è bene tornare alla bellezza e all’essenza del cristianesimo. Credo che lui lo faccia molto bene. Dopo 20 anni che lo conosco, sapevo che non era il panzerkardinal che si dipingeva. È un uomo molto dolce, molto affabile, che ha il dono della preghiera. Un professore che è se stesso, che non imita il suo predecessore. È chiaramente un uomo solido. A me piace.

Lei è stato citato tra i papabili. Sinceramente, ci ha mai pensato, per un momento, a diventare papa?
Danneels: Ci pensavo molto meno di altri, ma è vero che… forse i primi cinque minuti o al mattino mentre mi facevo la barba…

L’eutanasia

Secondo un recente sondaggio, l’80% degli ospedali cattolici ha adottato un codice etico che ammette il ricorso all’eutanasia. La sua posizione è cambiata nel corso del dibattito?
Danneels: Nelle cliniche cattoliche l’eutanasia non interviene che in casi eccezionali e in condizioni molto rigide. Credo che la maggior parte proceda in questo modo, tuttavia critico queste decisioni. È molto chiaro. Apprezzo il fatto che queste istituzioni mettano fortemente l’accento sui filtri palliativi. La differenza con gli ospedali laici è che questa decisione ultima resta eccezionale nelle istituzioni cattoliche, contrariamente a molte altre dove si applica la legge così com’è, in modo abbastanza liberale, diciamo.

Lei comprende la disperazione dei pazienti e delle famiglie?
Danneels: Certo, ci può essere disperazione, ma non c’è mai una situazione totalmente disperata. Ciò che voglio dire è che le richieste di eutanasia da parte del paziente sono molto rare. Infatti è soprattutto la famiglia che si decide a questo passo, e il paziente è allora quasi obbligato ad assecondarla. Mi dicono che l’eutanasia è indicata per pochissimi casi. Per accompagnare un paziente in fase terminale, è necessaria una certa generosità, perché la soluzione tecnica, netta e fredda è più facile che circondare il malato fino al suo momento ultimo con cure e amore. In fondo, è questo in gioco.