RADICALI ROMA

“Che fine ha fatto Osama Bin Laden?” di Morgan Spurlock: il terrorismo è altrove

Il titolo del documentario dell’americano Morgan Spurlock è una domanda retorica. Non perchè la risposta sia ovvia. (In effetti, l’opinione pubblica non sa che fine abbia fatto Osama Bin Laden). Ma perché contiene l’insinuazione che quella risposta non valga la pena cercarla.
Eppure, in un primo momento, può sembrare che la ricerca di Bin Laden sia convinta e appassionata. Morgan Spurlock, emulo di quel documentarista di grande successo che è l’americano Michael Moore, è presente come personaggio, e anzi come protagonista, del suo documentario; e prima di compiere un viaggio a tratti pericoloso e in gran parte solitario, in vari paesi dell’Africa e del Medio Oriente, si sottopone a un addestramento militare oltreché alle vaccinazioni d’obbligo.
Ma in effetti sono preliminari parodistici a una missione avventurosa (sono, cioè, la parodia del cinema d’avventura). In primo luogo, perché è altamente improbabile che un cittadino inerme possa raggiungere un obiettivo mancato dai più potenti servizi segreti.
In secondo luogo, perché il viaggio di Spurlock, piuttosto che andare alla ricerca di una verità, va alla ricerca di conferme a una tesi: che cioè la pericolosità di Osama Bin Laden sia stata ingigantita oltremisura. Non perché il terrorismo islamico non sia un pericolo. Anzi: nel corso del film si fa notare che le cellule di Al Qaeda si sono moltiplicate nel mondo, tanto da farne una specie di multinazionale. Ma perché il terrorismo non è la creazione di uno o più individui malvagi, ma la conseguenza di alcune scelte politiche sbagliate. Scelte, in primo luogo, della politica estera degli Stati Uniti.
Per esempio, in Afghanistan, la scelta di anteporre la forza delle armi, a concreti aiuti umanitari verificandone l’attuazione. Aiuti che, migliorando le prospettive di vita della popolazione più povera, toglierebbero efficacia persuasiva alla propaganda dei reclutatori talebani.
Oppure la scelta di allearsi con regimi dittatoriali e corrotti, come quello egiziano di Mubarak. Perchè tali alleanze tolgono credibilità alla propaganda filodemocratica degli americani, e fomentano contro di loro la diffidenza e l’odio delle popolazioni.
Perchè – ecco, questo è il secondo tema portante del film – i musulmani non sono certo tutti fanatici, animati da un odio aprioristico e ideologico contro l’Occidente e gli Stati Uniti. Se ascoltiamo la predica di un imam, che auspica la morte di tutti i cristiani in Iraq e degli ebrei in Israele, ne ascoltiamo anche un’altra, in un’altra moschea, dove l’imam raccomanda compassione nei confronti dei fedeli di altre religioni, e del prossimo nessuno escluso.
E anzi, dalle interviste presentate nel film, il sentimento e il pensiero che prevalgono tra gli esponenti della società civile interpellati in Afghanistan come in Egitto, in Marocco come in Pakistan, è moderato e pacifico. E se gli Stati Uniti suscitano dichiarazioni polemiche, esse sono ragionevolmente argomentate.
Come ho accennato, il film di Spurlock affronta anche la questione israeliana, mantenendosi in fondo equidistante tra i due fronti contrapposti; mostrando cioè che esiste moderazione, ma anche fondamentalismo e intolleranza, sia da parte degli arabi che degli israeliani. E, sembra di capire, condividendo la soluzione: due popoli, due Stati.
Ora, il film a momenti può convincerci, a momenti no. Il mio compito qui è interpretare quel che vuole dire, non commentarlo. Del resto, guardando un film, accade lo stesso che leggendo un libro o un giornale: e cioè ci si dialoga, a volte assentendo, a volte controbattendo.
Senza entrare nel merito dei contenuti, avrei però un’obiezione, piuttosto sostanziale, al film. Sarà che l’autore ha dovuto comprimere nella durata di un lungometraggio le tante immagini raccolte in vari paesi del mondo, imprimendo quel ritmo dinamico, molto veloce, che oggi sembra reso obbligatorio anche dall’estetica televisiva.
Fatto sta, che le immagini e le interviste, alcune di notevole interesse, e anche divertenti, sono selezionate e ritagliate quasi soltanto in funzione delle tesi che ho cercato di riassumere, sacrificando il piacere più libero e disinteressato dell’osservazione della realtà. Ma il risultato è che il film assomiglia a un dibattito a più voci; magari a momenti “illuminato”, ma in genere un po’ risaputo, che raramente ci sorprende. Insomma: i risultati di un viaggio così esteso e impegnativo non sono stati messi forse abbastanza a frutto.

Versione video:
http://www.radioradicale.it/scheda/307918

di Gianfranco Cercone