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Come funziona (o non funziona) il contrasto di interessi

Si ha contrasto di interessi fra un venditore e un compratore quando la convenienza a evadere dell’uno trova un ostacolo nella convenienza a rendere nota la transazione al fisco da parte dell’altro. Le modalità attraverso cui il sistema fiscale può generarlo possono essere analizzate mediante alcuni esempi.

 

Situazione attuale: nessun contrasto, anzi convergenza, di interesse a evadere

 

Consideriamo il caso di un venditore (si pensi a un artigiano o un libero professionista) che vende una sua prestazione del valore di 100 a un consumatore finale. Se a fronte di questa operazione sostiene costi per 20, il suo profitto, al lordo delle imposte, è pari a 80. Se la sua aliquota Irpef è il 40 per cento il venditore dovrà quindi pagare un’imposta pari a 32 e gli resterà un profitto netto di 48.
Sul prezzo della prestazione è dovuta l’Iva con l’aliquota ordinaria del 20 per cento. Poiché l’Iva è a carico del consumatore finale, il prezzo lordo della prestazione sale per lui a 100*(1+0,20)=120. Il consumatore sostiene quindi un onere di imposta (Iva) pari a 20.
Lo Stato incassa complessivamente 32+20=52.
In questa situazione l’evasione è conveniente per entrambi i soggetti coinvolti: accettando di pagare senza richiedere fattura (evasione totale), il compratore risparmia 20 di Iva e fa risparmiare al venditore 32 di Irpef.
Lo Stato non incassa alcun gettito.

 

Detrazione al 19 per cento: interesse all’evasione da parte del solo venditore; ancora nessun contrasto

 

Ipotizziamo adesso che, dietro presentazione della ricevuta fiscale, il consumatore possa beneficiare di una detrazione fiscale (cioè una riduzione dell’imposta pagata) e che, in analogia a quanto già oggi avviene per spese considerate meritevoli (sanitarie, di istruzione, per interessi passivi relativi al mutuo prima casa, eccetera), la detrazione sia pari al 19 per cento dell’ammontare della prestazione stessa.
Se l’operazione fosse pienamente dichiarata a fini fiscali, il venditore dovrebbe pagare, come nel caso precedente, un’Irpef di 32. Il consumatore pagherebbe un’Iva pari a 20 ma beneficerebbe di una minore Irpef di 19.
Lo Stato otterrebbe un gettito complessivo netto di 33.
L’interesse per il compratore a evadere l’imposta verrebbe praticamente annullato: il suo onere complessivo si ridurrebbe solo all’1 per cento. Resterebbe alto quello del venditore.
Quest’ultimo sarebbe allora incentivato a cercare un accordo con il compratore per non fare emergere fiscalmente l’operazione, proponendogli uno sconto sul corrispettivo in cambio della sua complicità. Nel nostro esempio il massimo sconto che il venditore può concedere al compratore è pari a 32, l’Irpef che non versa allo Stato. Se dovesse praticare uno sconto superiore a tale ammontare l’evasione non gli darebbe più alcuna convenienza.
In caso di accordo (collusione) fra le parti, il guadagno connesso all’evasione (pari alla sottrazione dell’intero gettito allo Stato e cioè 33) verrebbe ripartito fra compratore e venditore, e allo Stato non andrebbe alcun gettito.

 

Deduzione integrale: contrasto di interessi

 

Si potrebbe pensare che il riconoscimento di una detrazione del 19 per cento abbia un esito potenzialmente così insoddisfacente nel combattere l’evasione e, quindi, per le casse dello Stato, perché l’incentivo offerto all’acquirente è molto basso: non lo compensa neppure pienamente dell’Iva da pagare.
Ipotizziamo allora che al compratore sia offerta la piena deducibilità della spesa sostenuta dal suo reddito imponibile.
Se l’operazione fosse pienamente dichiarata a fini fiscali, il venditore dovrebbe pagare, come nel caso precedente, un’Irpef di 32, mentre il consumatore pagherebbe un’Iva pari a 20 ma beneficerebbe, se ipotizziamo per lui un’aliquota marginale Irpef del 25per cento, di una minore Irpef di 25. Il consumatore otterrebbe quindi un sussidio dallo Stato, a sostegno della sua “onestà”, pari a 25-20=5.
Il gettito complessivo netto per lo Stato sarebbe pari a (32-5)=27.
In questo caso il compratore avrebbe un sicuro interesse a ottenere la ricevuta dal compratore, che continuerebbe ad avere invece interesse a non rilasciarla (da qui il termine “contrasto di interessi”).
Anche in questo caso però si aprirebbe un ampio margine di contrattazione fra le parti. Il venditore può infatti proporre al compratore uno sconto sul prezzo della prestazione, che lo compensi per il sussidio fiscale a cui rinuncia non usufruendo della deduzione. Nell’esempio, ciò avverrebbe con uno sconto almeno pari a 5. Se il compratore accettasse, il gettito per lo Stato sarebbe, anche in questa ipotesi, azzerato dall’evasione.
Lo spazio per la possibile collusione tra le due parti è piuttosto ampio: lo sconto praticato dal venditore potrà andare dal minimo di 5 a un massimo di 32 (ammontare che, come nel caso precedente, rende indifferente il venditore tra evadere o meno, in quanto esattamente pari al suo debito Irpef).
L’ampiezza dell’intervallo di contrattazione dipende criticamente dalle aliquote dell’Irpef del venditore e del consumatore. È ad esempio interessante notare che, nel caso in cui le aliquote marginali di imposta fossero invertite (40 per cento quella del compratore e 25 per cento quella del venditore) il riconoscimento di una deduzione integrale annullerebbe il gettito per lo Stato anche in caso di assenza di evasione. L’imposta dovuta dal venditore sarebbe infatti pari a 20 (il 25 per cento di 80) e al compratore verrebbe riconosciuto un sussidio di identico ammontare (un’Iva da pagare di 20 meno una deduzione di 40, 20-40 = – 20).
Se poi, l’aliquota del venditore si ponesse a un livello inferiore al 25 per cento o quella del compratore a un livello superiore al 40 per cento, in assenza di evasione lo Stato registrerebbe addirittura un gettito negativo: il sussidio, pagato al compratore per la sua onestà, che è tanto più elevato quanto più alta è la sua aliquota marginale, non sarebbe compensato dalla somma dell’Iva e dell’Irpef pagata dal venditore (che è tanto minore quanto minore è l’aliquota marginale del venditore stesso). In questo caso, paradossalmente, allo Stato converrebbe l’evasione fiscale.
Ovviamente il fatto che l’incentivo riconosciuto al compratore sia tanto più elevato quanto più alta è la sua aliquota marginale andrebbe adeguatamente valutato sotto il profilo dell’equità fiscale.