Chi era Welby e cos’è stato per me lo può anche capire il lettore acquistando in libreria il suo libro: Lasciatemi Morire! (edizioni Rizzoli, 9 euro). Un libro testimonianza che una carissima amica mi aveva sottolineato che sarebbe stato difficile da regalare per il Santo Natale. Ritengo che, mediante i media, il caso Welby ora sia abbastanza conosciuto e diventerà sempre più imbarazzante per chi desidera la pace sociale. Con il mio Comandante Piero, ovvero il Calibano, io umile skipper e tutto l’equipaggio di questa zattera di pazzi e di dannati siamo riusciti a denunciare all’opinione pubblica il tema della tecnologia medica che permette agli organi di vivere creando corpi funzionanti ma senza intelletto oppure, come nel caso di Welby, corpi inanimati ma con cervelli dotati di sensazioni e di progetti, di ansie e di dolori spesso insopportabili.
I primi ad avvertire un senso di impotenza sulla battaglia di Piero sono stati proprio i medici anestesisti che, in scienza e coscienza, sanno bene quando sarebbe opportuno staccare la spina ma temono di essere lasciati soli di fronte a eventuali denunce di parenti intristiti e impreparati al tema di una tecnologia medica aguzzina che ti spaccia spesso speranze impossibili. In questi ultimi mesi nei quali Welby non poteva più arricchire il nostro diario di bordo internettiano parlando di caccia, di pesca, di animali, cibo, vino, sesso, amici, musica, tutti noi abbiamo vissuto il suo dramma e quello di sua moglie Mina. Il nostro affetto non è stato più di ostacolo a questa maledetta distrofia muscolare progressiva che la ricerca medica sembra ancora impotente nel debellare. Alcuni giorni fa ebbi un incubo notturno. Mi trovavo in un deserto di sabbia e allineati, uno vicino all’altro, vidi gente sepolta, con la sola testa libera esposta al sole. Non potevano nemmeno asciugarsi una lacrima. Erano uomini di Chiesa, politici, medici, avvocati, gente comune. Stavano provando le medesime sofferenze che da numerosi anni il mio amico Piero subiva per colpa di questo maledetto morbo giunto ormai all’ultimo stadio. «Come sta il mio Comandante?», chiesi pochi giorni fa a sua moglie Mina. Risposta: «La vita è diventata difficilissima. Viviamo da momento in momento, aggrappati alla zattera. Un bacio e un forte abbraccio a tutti. Piero e Mina». Piero amava la vita, come era possibile rispondergli che la sofferenza è arricchimento, è un ritrovarsi con i parenti, è un sacrificio positivo, quando la maggioranza di noi nutre la speranza di arrivare all’ultimo approdo attraverso una dolce morte?
Molti anche oggi mi hanno chiesto come ho conosciuto Piero. I radicali da sempre sostengono che gli unici bombardamenti che desiderano sono quelli «dell’informare per deliberare» e sono stati tra i primi a utilizzare internet oltre che Radio Radicale per cercare di conoscere per deliberare. Così nel nostro sito www.radicali.it venne aperto un forum, un agorà telematico, dove chiunque può entrare per discutere, obiettare, litigare e dare voce a tutte le problematiche presenti in questo mondo globalizzato. Tutti noi naviganti, più o meno esperti in link, copia e incolla e quant’altro alle ore 22 e 02 del 1° maggio 2002, mentre passavamo da un thread all’altro, ricevemmo un S.O.S. da un certo P. Welby, con titolo “Eutanasia” e con su scritto: «Tutto fermo? Altro che deserto dei Tartari… mentre si scruta l’orizzonte… i terminali come me… invidiano gli Olandesi… SVE-GLIAAAA!». Ancora una volta, un cittadino si rivolgeva a noi radicali per «farsi strumentalizzare», come direbbe qualcuno, per trasformare in battaglia politica un tema scottante e difficile da gestire. Piero sapeva che il tema dell’eutanasia più volte era stato negli anni riportato a galla da Marco Pannella ma con il suo richiamo nel forum voleva riproporcelo dopo la morte di Emilio Vesce. La battaglia di Luca Coscioni, il Maratoneta, diventò radicale alla fine degli anni novanta ma Luca correva per la libertà laica nella ricerca scientifica mentre Welby, uscito da poco dal coma, e con un tracheotubo, che non avrebbe mai voluto, parlava di eutanasia. Questa sveglia serale ci fece subito interagire con questa specie di naufrago che richiamava l’attenzione di tanfi forumisti tra i quali anche Gabriella Gazzea Vesce, che non molto tempo prima aveva condotto la battaglia per interrompere lo stato vegetativo permanente di suo marito. Numerosi sono stati i visitatori e in questo momento che scrivo ci sono circa 500.000 letture e oltre 19.500 interventi. Molti si sono fermati come gabbiani a riposare in cima d’albero della zattera, altri sono diventati equipaggio, altri sono morti e altri ancora, animati da fervore religioso, a volte integralista, hanno cercato e cercano di soddisfare la loro missione richiamando con la loro pietas l’alto valore della sofferenza capace di guadagnare il Paradiso.
Ricordo una giovanissima Sara Piccardo, ligure non vedente, che ci entusiasmava con la sua giovinezza, perché in internet tutti gli handicap svaniscono. Un giorno Piero ci chiese cosa avremmo fatto se ci avessero detto che eravamo condannati a morire ed io ricordo, da grande amante della vela, che dissi, alla fine di maggio del 2002, che avrei voluto salire a bordo della barca, puntare al largo lontano da specchi che riflettevano il mio decadimento come Lord Chichister fece con la sua barca, e così in modo spontaneo si decise di creare una “zattera” per chi voleva salire a bordo parlando di qualsiasi cosa, come fa un equipaggio, sia durante la bonaccia sia durante la tempesta: l’importante era navigare, come voleva Piero, non rimanere in darsena! Il grande Comandante ci parlò così del “Vascello dei Pazzi” del visionario J. Bosch. Come per qualunque Comandante che si rispetti conoscere la vita di Piero è sempre stato graduale: un ragazzo alto un metro e novanta, con capelli lunghi e biondi e caratteristiche somatiche prese dal padre, scozzese ed ex giocatore di pallone in serie A nella Roma Calcio. Nei suoi anni giovanili poteva fare solo strage di belle donne, mi disse, una volta, orgogliosa sua madre Luciana, in una delle visite con mia moglie, mostrandomi bellissime foto da ragazzo dei fiori. Amante della caccia e della pesca, grande esperto di cani, una cultura enciclopedica che mi ha fatto fare pace con la filosofia sorbita al liceo dal momento che fece salire a bordo, con noi, antichi pensatori e poeti che nei loro interventi dimostrarono di essere molto più moderni di tanti contemporanei. Plutarco, ad esempio: nella lettera al nostro presidente Napolitano, Piero descrive la morte di un giovane come un «naufragio» mentre la morte di un anziano è il «naturale approdo» della vita. In questo nostro navigare internettiano il Comandante era un abilissimo navigante, con il solo movimento della mano poteva uscire rapidamente dalla sua stanza: ed io Skipper e gli altri, come equipaggio, potevamo non accettare la sua sfida?
Da quella lontana sera di maggio quotidianamente e a qualsiasi ora dialogammo, discutemmo animatamente, litigammo, ridemmo. Siamo perfino andati sull’isola diTonga con questa zattera, dando sfogo alle più belle fantasie sessuali. Il massimo feeling con Piero si verificava quando, insieme con Tabar, famoso bracco italiano bianco arancio, rientravo dalla passeggiata serale riminese che ci porta fino in cima alla “Palata” del porto felliniano e gli raccontavo delle bellezze femminili che avevano accarezzato il cane, dei mutamenti della stagione della riviera romagnola e del rientro dei pescherecci, e a volte, in diretta con il telefonino, gli facevo ascoltare il rumore del mare oppure il fascino della sirena che lancia l’ululato al calare della nebbia. La sua malattia, diagnosticata intorno ai vent’anni, l’ha accompagnato gradualmente e progressi
vamente in questi 40 anni. Sua moglie, Mina, nativa dell’Alto Adige, incontrò il suo amato durante un viaggio parrocchiale a Roma e fu un colpo di fulmine. La madre di Piero su questo amore mi confidò, in una visita, che aveva detto alla sua futura nuora quale sarebbe stato il calvario del mio Comandante cercando, così, di farla desistere ma Mina, cattolica e credente fece telefonare dal suo parroco alla madre di Piero dicendole che se ci fossero stati ostacoli alla loro unione lei sarebbe andata missionaria in Africa! Chiedo scusa a Mina ma vorrei che fosse chiaro al lettore su quale basi nacque la loro unione. Il corpo di Piero, purtroppo, col passare del tempo, gradualmente, rifiutava di seguire la sua mente e fu fatto un patto con Mina. Se lui avesse avuto una crisi respiratoria lei non doveva chiamare soccorso perché Welby, come ha fatto poi Luca Coscioni non voleva assolutamente accettare la tracheotomia. Infatti quell’atto chirurgico cruento, sapeva, lo avrebbe reso schiavo di un ventilatore polmonare. Ma quel giorno del 1997, mi sembra un sabato, scrisse Piero nel forum, Mina non riuscì ad accettare di perderlo, l’ambulanza trovò tutti i semafori verdi, nessuna fila d’attesa al Pronto Soccorso e lui subì l’intervento. Il racconto del suo periodo in ospedale, delle infermiere che parlavano dei loro amori pensando che lui fosse incosciente, che lo lavavano provocandogli inavvertitamente delle scariche elettriche perché si inumidiva anche il campanello, stretto nella mano, fanno parte dei racconti presenti nel forum e sicuramente un giorno una bellissima storia verrà scritta. La tracheotomia fu considerata subito una sfortuna da Piero però senza di questa non avrei potuto conoscerlo, ma sia chiaro a credenti e laici che il mio Comandante non ha avuto carenza di affetto, non riconosceva nella sofferenza la conquista del Paradiso, lui desiderava riappropriarsi del suo corpo, voleva la libertà di poter scegliere, da regista, il momento della sua morte. Qualche anima benpensante ha affermato che Piero era uno strumento di noi radicali ma tranquillamente vorrei ricordare che lui divenne subito membro della nostra associazione Luca Coscioni condividendo tante battaglie radicali e penso che fino a quando Luca fu in vita e fino a quando, rifiutando la tracheotomia, decise di terminare il suo calvario, Welby preferì essergli di supporto. Il peggioramento delle sue condizioni che l’hanno portato in questi ultimi mesi a privarsi della possibilità di scrivere i bellissimi interventi con lo pseudonimo del Calibano io li avvertii mentre ero veramente in barca a vela in Croazia, nel mese di luglio di quest’anno. Mi accorsi subito che Piero non era così entusiasta delle mie cronache di bordo che gli inviavo. Seppi così che il mio Comandante non poteva più staccarsi dal respiratore, non poteva alimentarsi adeguatamente, alcune infezioni lo stavano debilitando e i suoi interventi nel forum diventavano sempre più scarni e che la morte di Luca l’aveva intristito e sempre più tenacemente voleva parlare nel forum solo di eutanasia. Così verso la fine di luglio, si alzò alla grande, con forte vento, la sua richiesta al presidente della Repubblica Napolitano. Adesso, con la morte di Piero saranno altri a dover fare la loro parte in regata! Da parte mia avrei voluto tanto portarlo a Rimini camminare con lui sulla battigia insieme con Tabar: un viaggio questo che riteneva troppo rischioso, si sentiva protetto solo nella sua stanza. Ricordo che per il referendum contro la legge 40, lui, con un atto di coraggio, decise di uscire, dopo anni, da casa per recarsi al seggio a votare pur rimanendo collegato al respiratore.
Questi 4 anni e mezzo di amicizia sono stati stupendi e sono accessibili a chiunque volesse salire sulla nostra zattera e numerose volte ho affermato che chi si è arricchito maggiormente navigando con lui è stato il suo equipaggio perché Piero ha fatto amare di più la vita e temere di meno la morte. Sono anche convinto che quel suo appello del 2002 e la sua richiesta di aiuto siano stati utilissimi per non farlo rinunciare a vivere ma so per certo che ora era esausto, molto stanco e il non poter continuare a fare degli ottimi interventi con lo pseudonimo del Calibano (visitate il suo blog) lo deprimeva tremendamente. Però lui ora si è riappropriato della “sua” vita legata alle macchine riacquistando la libertà nella sua morte. Per concludere la mia storia di e con Piero vorrei ricordare quando, dopo una lunga conversazione sull’esistenza, mi appellò come «Sergio dal pensiero libero e dissacrante come il personaggio di Turgenev in Padri e Figli di nome Eugenij Vasil’ev Bazarov, un medico eroe della negazione, polemico nei confronti dell’avito immobilismo russo, uno di quei personaggi della letteratura di cui avrei voluto essere amico e ora lo incontro sul web e mi accorgo che il tempo non esiste ma la mia realtà esiste nel tempo. Sergio, oggi per due gambe due braccia e frattaglie varie darei tutto ciò che ho amato di più: le mie letture» (9 giugno 2002).
Questo era e rimane per me Piero Welby che ringrazio ancora di essere esistito.