SOMMARIO: Partendo dall’analisi dello scontro all’interno del mondo cattolico sull’ora di religione e sulla revisione del concordato, l’autore sostiene che la questione concordataria è divenuta altra da quella che era nel passato perché il cattolicesimo in Italia è divenuto un fatto di minoranza. Gli obiettivi della Lega anticoncordataria.
(Notizie Radicali n· 228 del 2 ottobre 1987)
Si torna, si riesce finalmente a tornare alle antiche e sempre valide battaglie per la laicità dello stato: è stato questo probabilmente il sentimento di molti di noi davanti all’esplodere, in queste settimane, del conflitto sull’ora di religione. E un po’ a tutti noi è venuto naturale di riprendere antichi e più che mai validi discorsi contro il concordato e il trattato lateranense. Giusto. Ma anche inadeguato. In realtà il contesto e i termini della battaglia di oggi sono per aspetti essenziali profondamente altri da quelli di un tempo.
Sono addirittura irriconoscibili i protagonisti dello scontro. Tradizionalmente, da una parte stavano i cattolici, dall’altra i laici; mentre i comunisti, dai tempi dell’articolo 7 in poi, cercavano prioritariamente l’intesa concordataria con le »masse cattoliche .
Quel che appare più significativo degli avvenimenti delle ultime settimane -anche se poi si è cercato variamente di nasconderlo e di cancellarlo dalla memoria collettiva- è che il conflitto si è scatenato in primo luogo, e ha avuto i suoi effetti più laceranti, all’interno dell’area cattolica: da un parte la chiesa, quello che si suole chiamare il »mondo cattolico , dall’altra la Democrazia Cristiana, con il suo ministro della Pubblica istruzione, accusati di non tutelare più le esigenze religiose. Di contro una delle forze di punta dello schieramento laico tradizionale, il Psi, ha scavalcato Galloni e la Dc nel rapporto con la Chiesa, con lo scopo di rilanciare clamorosamente l’operazione politica avviata con il concordato dell’84, ossia di dimostrare al mondo cattolico sia che non gli occorre più il compromesso storico con il Pci, sia, soprattutto, che dal punto di vista cattolico è definitivamente esaurita la funzione storica della Democrazia Cristiana, perché la chiesa non ha più bisogno della sua mediaz
ione sul terreno della politica italiana.
Non si stratta di un episodio occasionale, ma di uno di quegli eventi che di un tratto rivelano, portano alla luce realtà nuove di ampia e profonda portata; in questo caso la crisi radicale del rapporto fra un partito assai notevole del mondo cattolico e la Dc, il fatto dunque che sono come non mai in discussione il ruolo della Dc nella società italiana e il modo di essere in politica dei cattolici. Nè va sottovalutato il disorientamento e disagio del Pci, preso in mezzo fra il disinvolto scavalcamento craxiano e un moto di indignazione e rivolta nella base e nell’elettorato che mette in crisi i fondamenti della politica concordataria.
E anche per quel che riguarda noi radicali, nulla è ovvio e scontato. Siamo gli anticlericali di sempre: ma siamo anche quelli che negli anni scorsi nella lotta contro lo sterminio per fame e della dignità della persona hanno cercato il dialogo, alleanza non solo con i cattolici, ma con la Chiesa stessa in quanto tale, sollecitando l’intervento politico della gerarchia e del papa. E un interrogativo poi è legittimo oggi che siamo impegnati prioritariamente nell’impresa così difficile e nuova di dar vita a un partito transnazionale, fino a che punto è giusto che ci impegniamo a fondo in una battaglia così »nazionale come quella della lotta contro il concordato e il trattato fra l’Italia e la Santa Sede?
In realtà, basta porre questo problema per vedere subito emergere una dimensione che troppo speso si trascura: su questo terreno ci troviamo a confrontarci con quello che è forse l’unico grande organismo politico, oltreché religioso, compiutamente transnazionale, la Chiesa cattolica; con la quale, non per nulla, abbiamo avuto momenti importanti di incontro, proprio nella più transnazionale delle nostre battaglie, quella contro lo sterminio per fame. Peraltro, non è certo solo in un’ottica »italiana che la chiesa vive la questione del trattato-concordato, ossia dei rapporti con il paese in cui ha sede il centro della sua attività planetaria. E comunque: si può ritenere solo »nazionale una grande questione di principio? Non si dimentichi che fu la battaglia vittoriosa contro il potere temporale dei papi a far sentire nel mondo come questione universale la nascita dello stato italiano un secolo fa…
La necessità per noi, a questa stregua, è quella di scegliere l’ottica giusta, quella non solo nazionale, in cui considerare il problema.
Il quale problema si impernia sul completo fallimento dell’operazione tentata con la revisione del concordato. Fallimento, intanto, dal punto di vista della laicità dello stato. Il caso Marcinkus ha messo in luce come il trattato del ’29, nell’interpretazione che la Cassazione ha canonizzato, apra una voragine di impunità legalizzata nel sistema giuridico italiano. Quanto al matrimonio, la magistratura italiana si è ridotta al rango di scritturale che trascrive le sentenze ecclesiastiche; e quanto all’ora di religione »facoltativa , che era stata presentata come il gran passo avanti del nuovo concordato, anche i sassi ormai sanno che nulla in sostanza è mutato dal vecchio regime, e che si è voluto semmai scoraggiare ulteriormente la scelta di »non avvalersi .
Ma fallimento lo è dal punto di vista cattolico, perché è proprio il nuovo edificio concordatario in quanto tale che ha provocato l’aprirsi, o il riaprirsi, di una conflittualità senza precedenti sulle questioni dei poteri concordatari della chiesa: che è proprio l’opposto di quel che quest’ultima si riprometteva nello stringere le nuove intese.
All’origine di questo duplice fallimento sta intanto il meccanismo del concordato-quadro, che demandando la definizione delle questioni più delicate a intese ulteriori ha posto le premesse per ulteriori cedimenti circa la laicità dello stato e per l’aprirsi di una molteplicità di conflitti; ma soprattutto sta la contraddizione di fondo dell’aver voluto conciliare l’inconciliabile, ossia i principi di democrazia e di diritto con un sistema concordatario che in radice li nega, creando un »diritto speciale per i cattolici. Quello dell’ora di religione è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. A differenza del vecchio concordato, quello nuovo pretende ipocritamente che l’insegnamento della religione cattolica non crei discriminazioni, proprio mentre ne fa un fattore strutturalmente discriminante in quanto divide gli allievi in base alla fede religiosa e in quanto lo istituisce come disciplina i cui docenti, a differenza degli altri, non godono della libertà di insegnamento; ed è per la presenza di que
sta contraddizione strutturale che si è determinato ed è destinato a proseguire il conflitto.
Per ben valutare che cosa ciò comporti occorre essere molto chiari sul diverso significato che assume oggi il concordato rispetto al 1929 e al 1947.
Nel 1929 si era trattato di un legittimarsi reciproco fra stato fascista e chiesa cattolica, calpestando tranquillamente i valori di diritto, laicità e uguaglianza; in un contesto in cui comunque la forza della chiesa costitutiva un dato di alterità rispetto al processo totalitario. Nel 1947 il Pci vota l’articolo 7 nell’intento di raggiungere anch’esso un’intesa di legittimazione reciproco con la chiesa; ottenendo in realtà solo di far scrivere nella Costituzione che l’Italia è un »paese cattolico , ossia riconoscendo il principio su cui doveva fondarsi la legittimazione ideale e storica del carattere di regime del potere democristiano fino agli anni ’70.
Gli anni del regime democristiano sono stati però anche quelli dell’integrazione nell’occidente a egemonia americana, di tradizione liberal-democrati
ca e protestante, i cui valori e modelli hanno pervaso la società italiana; sono stati gli anni di una modernizzazione-secolarizzazione incomparabile più profonda di quella che si era avviata sotto i regimi liberale e fascista. Sono stati in realtà gli anni in cui nella mentalità collettiva e nei comportamenti è venuto via via deperendo il carattere di “paese cattolico” dell’Italia, come ha rivelato il maturare e il traumatico esplodere -in regime dc- della vittoria radicale e laica sul divorzio. E sta qui, nel giudizio sull’incapacità o non volontà della Dc di contrastare questo processo di “scristianizzazione”, che nasce il dissenso profondo di molti settori del mondo cattolico nei confronti della Dc: “Il Sabato” ha di recente pubblicato un’interessante ricostruzione degli ultimi vent’anni di storia italiana interpretati come quelli in cui si è operata una p
rogressiva emarginazione del cattolicesimo nella vita del paese.
Questo comunque forma il fondamento vero del confronto oggi: che nella sostanza il cattolicesimo in Italia è divenuto un fatto di minoranza. E’ a partire da questo dato che tutta la questione concordataria diventa profondamente altra da quella che era in passato; perché viene meno quella che era la sola ragione che si potesse portare a giustificazione di un sistema concordatario in regime democratico, ossia la necessità di dare un riconoscimento istituzionale al dato di un’incontestabile, strabocchevole preminenza numerica del cattolicesimo, al fatto che l’Italia fosse un “paese cattolico”. E perché, di contro, in una società così profondamente secolarizzata, diventa difficile pensare a una minaccia di predominio confessionale, di “confessionalizzazione” della società e dello stato, di cui il concordato possa essere strumento e simbolo.
Il concordato è divenuto altro: in un contesto di disintegrazione dello stato di diritto, pervaso e dominato dai processi di spartizione corporativo-partitocratica, esso assume il valore di uno strumento attraverso il quale la chiesa e i cattolici partecipano a questi processi. Il privilegio, la “legge particolare”, l'”appropriazione privata” di ciò che è pubblico che il concordato assicura alla chiesa diventano momenti particolari di un fenomeno generale più vasto. Non per niente se si ricostruisce la genesi di questo nuovo concordato (magari attraverso il libro assai utile in questo di Acquaviva e De Rita) emerge chiarissimo come la chiesa l’accordo l’abbia negoziato e raggiunto non tanto con “lo stato” quanto, direttamente, con alcuni settori della partitocrazia, nell’ambito dei conflitti e degli equilibri interni alla partitocrazia.
Non che tutto sia necessariamente meschino e ignobile nell’ideologia concordataria. Il rifiuto da parte della chiesa di subordinarsi alla legge dettata dallo stato -e perciò la sua volontà di trattare, di “concordare” con esso da pari a pari- il suo volersi fondare su un proprio diritto originario, non derivante da un superiore diritto dello stato, ma conferitole direttamente e originariamente da Dio: sta qui una delle radici profonde dell’idea occidentale di libertà, che nasce anche dal principio di non subordinazione della legge di Dio, che per i non credenti diventa quella della coscienza, rispetto alla pretesa di dominio totale da parte del potere politico e della legge da esso stabilita. Ma basta evocare questi concetti per sentire subito quanto sarebbe grottesco volerli applicare alla situazione italiana e alle contese attuali; e non mi riferisco solo al discorso tante volte ripetuto sulle ragioni per cui non ha senso voler tutelare le particolari libertà della chiesa in uno stato democratico la cui ra
gion d’essere sta nella tutela dell’uguale libertà di tutti. Il punto è che il pericolo totalitario vero oggi non viene dalla volontà di onnipotenza dello stato ma -ma come anche tanta parte del pensiero cattolico denuncia- dalle dinamiche di omologazione nel conformismo consumistico televisivo; dinamiche radicalmente totalitarie perché occupano le coscienze uniformandole e svuotandole, in quella che è stata definita una vera “mutazione antropologica”; quelle dinamiche, anche più di ogni altro fattore nella società contemporanea riducono ai margini i valori religiosi, e dalle quali non ci si difende certo con i concordati.
Piuttosto, va detto: rispetto a queste dinamiche, così drammaticamente connesse con il grande processo di modernizzazione-laicizzazione, i cattolici e gli spiriti religiosi che riescono a rimanere con rigore coerenti con se stessi, ad affermare la propria diversa identità, rappresentano spesso dati di non conformismo come tali preziosi per tutti, al di là dei dissensi che su questa o quella loro posizione si possano nutrire. Ma un tale ruolo di minoranza capace di positiva, feconda resistenza i cattolici lo hanno saputo ricoprire non quando si sono serviti delle tante strutture di potere più o meno concordatarie messe a loro disposizione, ma quando hanno saputo muoversi conseguentemente su un terreno di libertà, esercitando e rivendicando non privilegi ma libertà, e magari a prezzo di scelte coraggiose e difficili (si pensi alle università negli anni settanta…)
Da questo punto di vista poco dovrebbero essere soddisfatti i cattolici del dato, tanto rivendicato invece in questi giorni, del 90% degli studenti e delle famiglie che ha scelto l’insegnamento della religione. Quando gli stessi documenti della Cei affermano ormai essere il cattolicesimo autentico un fatto di minoranza, una simile accettazione plebiscitario dell’insegnamento cattolico nelle scuole si palesa in tanta parte come un fatto di conformismo (e perciò integrato con il più amplio conformismo di cui parlavo), contraddittorio con quel che può definirsi l’anticonformismo cattolico: e insieme, e per questo, è segno -questo sì- di un atteggiamento che considera marginali, poco rilevanti il fatto e i valori religiosi. Quando si dice, come tanto spesso si fa, che alla lezione di religione si può andare »perché ci vanno tutti , perché »tanto, male non fà , non si esprime e si rafforza in se stessi e negli altri proprio questo senso di irrilevanza?
Capaci dunque di forza autentica i cattolici non quando partecipano al potere lottizzato, ma quando si fanno espressione di libertà; la stessa storia di Comunione e Liberazione sta a insegnarlo. E questo riporta al discorso sul ruolo dei cattolici e della chiesa nel mondo; ché non si può negare come, in questa chiave, essi rappresentino molto spesso e da molte parti forze essenziali di quella che potremmo chiamare »resistenza contro il peggio . Forze di liberazione, di democrazia, a partire dalla loro capacità di richiamarsi alla dignità di ogni persona, fino all’ultimo dei reietti, fino all’ultimo dei ricoverati al Cottolengo, tutti ugualmente figli di Dio e portatori della scintilla divina… E’ qui, su questo piano universale, o transnazionale, dell’impegno a difesa dei diritti della persona, a partire da quello primario alla vita, che -quanto alla dimensione politica- la chiesa esprime il meglio di sé; e sul quale, anche noi radicali abbiamo bisogno vitale di incontrarla.
Il risvolto italiano di questa prospettiva non sta, allora, in un tentativo di far rivivere antichi conflitti tra laici e cattolici, bensì nella proposta di un impegno comune per tutte le forza di libertà e di diritto per superare quel regime concordatario che esalta il peggio di tutti, e che è solo un componente, nell’Italia di oggi, della “costituzione materiale” lottizzatorio-corporativa. Discorso, si badi, che riguarda non solo il concordato, ma anche il trattato del 1929 con lo Stato Vaticano; che va denunciato e rinegoziato interamente per eliminarne gli aspetti concordatari e quegli aspetti che possono farne lo strumento di copertura per squallidi e truffaldini privilegi (vedi il caso Marcinkus) e per valutare invece semmai di cosa abbia bisogno la Santa Sede -in una condizione così mutata da quella del 1929- per poter sviluppare con maggior efficacia da Roma la sua missione universale. In questa chiave dobbiamo ogg
i lanciare l’appello per la formazione di una Lega per la denuncia del trattato lateran
ense o per il superamento del concordato nella quale cattolici e non cattolici, persone di ogni appartenenza politica, possano ritrovarsi o a condurre o a vincere una battaglia che come non mai è una battaglia per la libertà e per il diritto: di tutti e di ciascuno.