La notizia della liberazione di Daniele Mastrogiacomo ha determinato un clima più disteso e incline all’ottimismo rispetto allo scenario afghano ma non appena i festeggiamenti bipartisan saranno conclusi la politica è chiamata a fare i conti con la proposta del governo di centrosinistra di aprire ai talebani il tavolo della pace. La prima mossa l’ha fatta Piero Fassino, sponsorizzando un’idea che piace soprattutto alla sinistra radicale, e ha già incassato il sì della Margherita. Ma nella maggioranza c’è anche chi dice no: dall’Italia dei Valori fino all’Udeur e alla Rosa nel pugno. In particolare il ministro Emma Bonino ha commentato con asprezza una iniziativa che ha giudicato «davvero discutibile»: «Il ministro D’Alema – ha spiegato – è in partenza per una missione molto delicata negli Usa, la proposta è quella di un coinvolgimento e di cooperazione regionale nella soluzione del problema Afghanistan, c’è quindi una situazione di pressione e di coinvolgimento del Pakistan. Tutt’altra cosa è dire trattiamo con i talebani, veramente discutibile dal punto di vista di proposta in sé e poi nella sua fattualità. Come si sa non è che i talebani fanno capo ad un solo vertice, sono situazioni molto diversificate, complicate, in alcune regioni sono legati a narcotrafficanti, in altre hanno legami quaedisti». Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che ieri è partito per Washington dove in serata lo attendeva un pranzo di lavoro con il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, ha a sua volta ribadito l’intenzione di chiedere al Consiglio di sicurezza dell’Onu «un forte impegno per la convocazione di una conferenza internazionale sull’Afghanistan».
È questo infatti il tasto su cui il governo intende battere per incollare i cocci della maggioranza sulle linee strategiche di una politica estera che, dopo le esternazioni di Fassino, appare sempre più un groviglio di contraddizioni. Emma Bonino sottolinea inoltre che l’apertura ai talebani del leader diessino ha tutto il sapore di una mossa a fini interni: «II presidente Karzai ha fatto sapere in mille occasioni che non accetterebbe una soluzione del genere. Non capisco allora chi si dovrebbe sedere a questo tavolo in questa situazione. Posso solo dedurre che sia un proposta a fini interni. A fini di congresso? A fini del voto del 27 al Senato? Mi è sembrata davvero, come spesso succede in Italia, una proposta di politica internazionale a fini interni, cosa che Invece dovremmo davvero cominciare a non fare perché fuori dall’Italia, dai Talebani a chissà chi altro, leggono molto attentamente la nostra stampa. Immaginate che adesso c’è un ministro degli esteri che parte per Washington per fare una proposta, che non sarà questa, e che si ritrova invece accompagnato appunto da un’altra proposta che avrà letto l’ambasciatore Usa in Italia, che avrà avvertito Washington…».
Come minimo, dunque, si pone un problema di credibilità al quale si accompagna quello della superficialità con cui vengono manipolati temi estremamente delicati e complessi.
La mossa di Fassino viene letta intanto anche a destra come una sorta di captatio benevolentiae nei confronti della sinistra radicale: «La conferenza di pace sull’Afghanistan, aperta ai talebani, è una proposta – sottolinea il capogruppo di An al Senato Altero Matteoli – strumentale e utopistica. Ogni volta che si avvicina un voto sulla politica estera al Senato a sinistra s’inventano qualcosa per strappare il consenso dei tanti dissidenti della sinistra radicale». «Quello di Fassino – aggiunge – è l’ultimo tentativo in funzione strumentale ma i dissidenti non si lasceranno convincere da idee e proposte davvero contraddittorie». Secondo Matteoli «resta necessario che l’Unione dimostri al Senato di avere una sua maggioranza autosufficiente, a prescindere dal voto del centrodestra».