RADICALI ROMA

Corporazioni sotto scacco

  Non sono pochi i set­te mesi trascorsi dalla prima sortita del go­verno sul fronte delle liberalizzazioni il 30 giugno scorso. Ma finalmente ieri è stato spazzato via il timore che tanto ritardo nascondesse un’inconfessabile volontà di resa ai troppi privilegi corpo­rativi cui cittadini e l’intera economia nazionale sono costretti a pagare un «pizzo» odioso, talora occulto e più sovente perfino palese. Vista qualità e quantità della “lenzuolata” di provvedimenti del ministro Bersani, ora si può dire che la pur lunga at­tesa non è stata vana.

 

 

 

L’insieme delle misu­re, infatti, toglie di mezzo una serie di lacci e laccioli che ingessava­no, talvolta da tempo imme­more, la vitalità del sistema economico. E, soprattutto, mantenevano i cittadini nel­l’increscioso stato di sudditi di fronte all’arroganza di robusti interessi organizzati in termini di sfruttamento dell’altrui im­potenza. Il campionario degli interventi è ampio.

 

 

 

D’ora in poi, per esempio, la corporazione dei benzinai (e con loro quella ben più ricca dei petrolieri) non potrà più imporre la propria legge, ma dovrà acconciarsi a entrare in competizione di prezzo con i distributori di benzina presso i grandi centri commerciali. È un po’ il bis di quanto deciso l’anno scorso per la vendita dell’aspirina nei supermercati e il risultato è che oggi si stanno moltiplicando le farmacie do­ve si espongono invitanti car­telli di sconto su una quantità di prodotti.

 

 

 

Un’altra botta, non meno giusta, viene calata su quel me­dievale balzello che le società telefoniche impongono sulle ricariche dei cellulari. Si tratta di milioni di euro che negli an­ni hanno ingrassato le casse degli azionisti delle imprese di settore attraverso un prelievo francamente incomprensibile dalle tasche dei clienti. In fon­do, è come se i negozianti pretendessero di far pagare una tassa d’ingresso a chi entra nella loro bottega per fare degli ac­quisti. Aver liberato gli italiani da questa assurda corvée è co­sa sacrosanta.

 

 

 

Sulle tante altre decisioni minute, che renderanno più civile oltre che meno cara la vi­ta quotidiana dei cittadini, spiccano però qualche provvedimento destinato a incide­re profondamente sul sistema economico. In particolare, merita un plauso specifico la scelta della cosiddetta “comu­nicazione unica” per l’avvio di una nuova impresa. Sono de­cenni che l’Italia sta in cima a tutte le classifiche internazio­nali per quanto riguardale lun­gaggini e le difficoltà burocratiche frapposte a chi voglia mi­surarsi con nuove iniziative sul mercato. Interminabile è la li­sta degli investitori esteri che, presi i primi contatti con il si­stema Italia, hanno voltato le spalle al Bel Paese per portare soldi e lavoro altrove.

 

 

 

Ora si volta pagina. Chi vorrà affrontare la sfida della com­petizione economica non avrà più da superare il banco d’esame di controlli pubblici, finora buoni più per scoraggiare che per aiutare lo spirito d’iniziati­va. Ma perché questa non resti una riforma sulla carta, va ri­cordato che il governo dovrà al più presto varare i decreti at­tuativi del provvedimento.

 

 

 

Nella stessa direzione di sgomberare la strada a chiun­que abbia la volontà di darsi da fare sul mercato va anche la scelta di far cadere quel singo­lare regolamento che impone­va di rilasciare alcuni tipi di li­cenze commerciali soltanto nel rispetto di distanze mini­me fra esercizi della stessa spe­cie. Due gestori di cinema ov­vero due giornalai potranno farsi concorrenza l’uno a fian­co dell’altro e vinca il migliore. Così come il più bravo o soler­te dei parrucchieri potrà, se crede, tenere aperto di lunedì togliendo ai suoi concorrenti i clienti che non hanno voglia di aspettare il martedì. Certo, si tratta di piccole iniezioni di modernità. Ma è proprio inno­vando costumi consolidati e diffusi che si può dare acqua al seme dell’intraprendenza in­dividuale così a lungo trascu­rato.

 

 

 

Altra novità attesa è quella che riguarda il riordino delle Authority di controllo sui set­tori più delicati dell’economia. Su questo nodo i contrasti fra ministri non sono stati del tut­to appianati, ma qualche pas­so avanti si è fatto. Va ricordato che questo è un punto partico­larmente importante per il successo della campagna di li­beralizzazioni avviata dal go­verno Prodi. Quanto più si aprono spazi alle iniziative im­prenditoriali, tanto più sarà necessario non moltiplicare il numero degli arbitri, ma rafforzare i poteri di vigilanza di chi, come poche e ben strut­turate Autorità, è chiamato a far rispettare le regole del libe­ro gioco economico da parte di tutti i protagonisti. La concor­renza perfetta non esiste in na­tura: è un traguardo che si può inseguire soltanto sulla base di leggi e pubblici interventi.

 

 

 

Naturalmente, il pur ampio lenzuolo del ministro Bersani non esaurisce (né poteva farlo) l’agenda delle liberalizzazioni. Molto resta ancora da fare o da completare in diversi ambiti: per esempio, dal settore dei pubblici servizi locali al mondo delle università ingessato da quel reperto ottocentesco che è il valore legale del titolo di studio. Nel valutare le decisio­ni del governo di ieri, però, sa­rebbe ingeneroso dimenticare che il meglio è nemico del be­ne.

 

 

 

Ci si deve soltanto augurare di non dover aspettare altri set­te mesi per una nuova raffica di liberalizzazioni e di non dover assistere ad altri stucchevoli duelli ministeriali per la palma del più liberalizzatore.