RADICALI ROMA

Corriere della Sera – Roma e i 300 milioni di rimborsi Tutte le cause perse dal Comune

di Sergio Rizzo

Dai bus ai rifiuti, battaglie legali sugli arbitrati avviati dalla precedente giunta

Trecento milioni e una domanda: perché quando affrontava un arbitrato il Comune di Roma perdeva sempre? Qualcuno potrà dire che non è un caso isolato. Le statistiche non dicono forse che la parte pubblica soccombe, curiosamente, almeno nel 90 per cento dei casi? Verissimo. Ma c’è modo e modo. E qui la storia dei tre arbitrati perduti durante la scorsa amministrazione dalle aziende capitoline nei confronti delle loro controparti private, che potrebbero costringere i contribuenti (romani e non) a sborsare circa 30o milioni di euro, si è rivelata se possibile ancora più singolare. Giovedì scorso l’ultima puntata: causa l’assenza di un giudice in Corte d’appello l’udienza per l’omologazione del lodo arbitrale Atac-Tpl, dove qualcuno forse confidava nel miracolo, è stata rinviata. Le speranze sono al lumicino, affidate a un ricorso in Cassazione che durerà anni. Nel frattempo, il contatore impazzito continua a girare vorticosamente, e fra interessi e altri oneri è già arrivato a 115 milioni. Del resto il lodo arbitrale risale a più di cinque anni fa: novembre 2009. La storia comincia a gennaio di quell’anno, quando il consorzio Roma Tpl, sigla che sta per «Trasporto pubblico locale», attiva un arbitrato con l’Atac. Siccome con 12 mila dipendenti l’azienda municipalizzata del trasporto romano non riesce nemmeno a garantire il servizio in tutte le periferie, ecco che alcune linee sono affidate dal lontano 2006 in appalto ai privati. Appunto, del consorzio Roma Tpl: altre 884 persone. Capitale ripartito in tre fette identiche: la Marozzi di Luciano Vinella, già socio privato delle Ferrovie nella società di trasporto su gomma Sogin; il consorzio autotrasportatori Troiani, Pompili, Fonti e Mei; la società Umbria Tpl, della quale sono azionisti di maggioranza la Regione Umbria nonché Provincia e Comune di Perugia. L’onere si aggira sui 6o milioni di euro l’anno, naturalmente in più oltre al costo immane dell’Atac. Finché nel gennaio 2009 Roma Tpl chiede l’adeguamento del prezzo a chilometro con il quale si era aggiudicata la gara. Per giunta, con decorrenza retroattiva fin dall’inizio della fornitura del servizio. L’Atac potrebbe rifiutarsi di andare davanti agli arbitri: la procedura è prevista dal capitolato ma non dal contratto dove c’è scritto che ogni lite va risolta in tribunale davanti al giudice ordinario. Invece accetta. E il collegio arbitrale presieduto dall’avvocato dello Stato e collezionista di incarichi extragiudiziali Vincenzo Nunziata, mentre è capo di gabinetto del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini (in precedenza lo era stato del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni), dà ragione a Roma Tpl. Il totale è di 68,2 milioni. Senza contare i compensi dello stesso collegio arbitrale (un milione 385 mila euro) e  parcella (impugnata) di 945 mila euro presentata dall’avvocato che per l’Atac avrebbe dovuto seguire il ricorso. Ora il conto, è arrivato appunto a 115 milioni. Fra ingiunzioni e pignoramenti la giunta di Ignazio Marino contesta radicalmente non soltanto l’esito del lodo, ma addirittura la fondatezza stessa dell`arbitrato. L`assessore ai Trasporti Guido Improta è arrivato anche a sollevare pubblicamente seri dubbi «sull’efficacia della strategia difensiva dell’Atac», sottolineando la velocità con cui la procedura si è esaurita: in mesi in tutto. Cinque anni è durato invece l’arbitrato che ha opposto la società del Comune Roma Metropolitane al consorzio Metro C: Astaldi, Vianini del gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone, Ccc e Cmb della Lega coop e Ansaldo-Finmeccanica. Ma con un risultato pressoché identico, come ha sottolineato l’inesauribile consigliere comunale Riccardo Magi nell’esposto presentato qualche mese fa all’autorità anticorruzione. Nel 2012 il collegio riconosce al generai contractor altri 90 milioni a carico del committente pubblico per i maggiori costi sostenuti proprio in quanto generai contractor. Alla base, una perizia elaborata da un gruppo di esperti fra i quali l’ex presidente del consiglio superiore dei Lavori pubblici Angelo Balducci. E soltanto pochi mesi prima che il Cipe, con una delibera sorprendente che fa prescindere il finanziamento  da qualunque responsabilità «dei soggetti a vario titolo coinvolti» nell’opera (siamo agli sgoccioli del governo di Mario Monti), stanzi per la Metro C di Roma altri 23o milioni. Novanta milioni, interessi compresi, è lo stesso conto che dovrebbe pagare l’Ama al consorzio Co.La.Ri di Manlio Cerroni come risultato di un arbitrato scaturito dalla richiesta di adeguare, fra l’altro, il compenso per il monitoraggio post mortem della discarica di Malagrotta: la più grande d’Europa. La cosa nasce da una legge che ha allungato a trent’anni l’obbligo dei controlli, e l’esito dell’arbitrato che ha visto soccombere l`Ama ha originato una diatriba fra i consulenti del Comune, che vorrebbero affibbiare la competenza di quell’onere al commissario al vecchio debito della capitale Massimo Varazzani, e il commissario stesso che sostiene il contrario. Se prevalesse in tutto o in parte la tesi che deve pagare il Comune sarebbe impossibile non immaginare un aumento della tassa sui rifiuti. Per non parlare di quello che potrebbe accadere se l’Ama soccombesse anche nel secondo arbitrato promosso dal Co.La.Ri. per l’adeguamento storico delle tariffe. Una causa nella quale le ragioni di Cerroni sono sostenute dall’ex sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini ed è stato già previsto un acconto di 40o mila euro sui compensi di ciascun arbitro. La richiesta? Novecento milioni di euro.