RADICALI ROMA

"Così ho violato i segreti del tribunale di Roma"

Se volete rubare carte riservate e informazioni preziose c’è un posto dove fare razzia. Ammassate in ordine sparso, sono tutte a portata di mano. Provate a cercarle, rovistate, arraffate, impadronitevi di tutto ciò che vi può servire oggi o tornarvi utile in futuro. Per ricattare, estorcere, barattare notizie. O, più semplicemente, per spiare gli altri. Troverete il 740 del vostro vicino di casa, i movimenti bancari della collega che si è appena separata, i conti di una grande azienda, lo stato di salute di un compagno di lavoro, i precedenti penali di un impiegato della vostra banca, troverete le vite nascoste di un famoso attore o di un calciatore o di una velina. Non abbiate paura, si può fare. Carte riservate e informazioni preziose là dentro spariscono ogni giorno. A volte si perdono, a volte se le prendono. Ve lo do io l’indirizzo di quel posto. È in viale Giulio Cesare 54b e 54d: è il Tribunale civile di Roma.
Per una settimana ho bivaccato in quel caravanserraglio che è la “città giudiziaria” in Prati, dalle 9 alle 13 ogni mattina. Avrei potuto portarmi via fascicoli avvolti nella carta di giornale. Avrei potuto trafugare processi interi nascondendoli in due cartelle da avvocato.

Avrei potuto penetrare nelle pieghe intime dell’esistenza di centinaia di uomini e donne che per i più svariati motivi sono stati trascinati in giudizio da soci, dipendenti, mariti, mogli, concorrenti, pazienti, assicuratori, condomini, medici legali e perfino da figli. È tutto o quasi a vista, tutto a un passo. Basta allungare il collo e aprire la borsa.

<!–inserto–>Gli armadi sono aperti, le ante spalancate, gli schedari incustoditi. In cassaforte sono conservati solo i documenti di chi ha cambiato sesso o contratto l’Aids per una trasfusione, di tanto in tanto sotto chiave finisce anche qualche vip. Una serratura che diventa privilegio, è la toppa che fa la differenza. Per tutti gli altri c’è la grande “corsia” della giustizia italiana, come nella Sanità, come le barelle dei malati qualunque abbandonate nei corridoi degli ospedali. Per quelli senza lucchetto tutto è pubblico e niente è privato al Tribunale civile di Roma.

Ci sono entrato per la prima volta lunedì 15 gennaio. E mi sono inoltrato nei gironi infernali che chiamano “sezioni” fino al lunedì successivo, il 22. Su e giù per rampe di scale strette, buie. Mi sono perso in sudici seminterrati, infilato nelle cancellerie, ho seguito il popolo che ogni giorno si riversa in quello che è il più grande Palazzo di giustizia d’Europa per bacino di utenti e per cause. Al martedì e al giovedì ne celebrano di media 2.500. In certe aule è una mischia umana. Questo Tribunale è una sacca.

Mi hanno dato informazioni che non potevano darmi, mi hanno fatto entrare in stanze dove non potevo entrare, sono venuto a conoscenza di notizie che non avrei mai dovuto conoscere. Ho seguito per ore e ore carrelli stracolmi di carte processuali, mollati dai commessi fuori dalle aule o in un cortile interno. Ho visto in azione Jimmy l’egiziano all’Ufficio Unico Notifiche della Corte di Appello, un suq dove “il passaggio è riservato solo al personale” e dove gli avvocati affidano a una truppa di pittoreschi personaggi gli atti urgenti. Ho assistito a udienze chiassose dove si confondevano voci di processi in corso e processi ancora da fare, nomi sputtanati ad alto volume come quello di un padre che poteva vedere i suoi figli solo con l’assistente sociale perché (secondo la moglie) spacciava coca.

Nessuno mi ha mai fermato. Nessuno mi ha mai invitato a esibire un documento. Nessuno si è mai domandato che facevo in un’aula a spulciare fascicoli, in una cancelleria a curiosare fra i faldoni.
La mia traversata nelle 19 sezioni (comprese quelle del Lavoro e della Fallimentare) è iniziata con una borsa da “collaboratore di studio” a tracolla e una piccola telecamera nascosta.

Viale Giulio Cesare 54b, l’entrata principale è una strettoia dove ad ogni ora in migliaia arrivano e in migliaia se ne vanno. Non c’è un metal detector, non ci sono carabinieri, neanche una guardia giurata. Uno può portare fuori tutto. Ma può anche portare dentro tutto al Tribunale civile di Roma.

Sono le 9 e 30 e cominciano le udienze. Si aprono gli armadi. Ne vedo tre traboccanti di fogli nel lungo corridoio che al primo piano porta alla Fallimentare, salgo ancora una scala ed ecco la cancelleria della I sezione. Ci sono alti scaffali, a destra e a sinistra. Tutti i fascicoli sono pronti per essere presi. Monto su una scaletta di ferro, leggo i nomi dei giudici, scendo e apro un faldone. La signora S. chiede l’adeguamento per il mantenimento dei due figli. Ci sono le sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni. Apro un altro incartamento. È una causa di divorzio. Sono finito in una cancelleria di istruttorie in corso.

Scendo al piano terra, esco nel cortile interno, lascio il palazzo vecchio e mi infilo in una costruzione più recente. Un grande cartello indica che qui c’è la “Riabilitazione Protesti”, in realtà ci sono 5 sezioni: la III, la V, la IX, la XII e la XIII. Comincio dalla III, quella del diritto societario. Anche qui armadi aperti, fascicoli dappertutto. Ne prendo uno. Ne apro un altro. Sfoglio qualche pagina. Mancati pagamenti. Concorrenza sleale. Sono tutte “cause interrotte” per morte di una delle parti o di un legale. Ci sono almeno cento persone intorno a me. Sembro invisibile.

Provo in un’altra cancelleria. Entro, a destra ci sono impiegati e impiegate chini sulle loro scrivanie e a sinistra gli archivi. Ci scivolo dentro, sfilo carte, le guardo, le rimetto a posto. Controllo i nomi dei giudici. Budetta e Paone, Di Matteo e Maselli. Afferro alcuni fascicoli. Sono alla XIII sezione, cause di circolazione stradale con danni a cose, lesioni con morte, responsabilità professionali. Sto lì dieci minuti a frugare: avrei potuto starci altre tre ore e nessuno si sarebbe mai accorto di me. Esco e cambio piano.

Scendo e mi perdo: il Tribunale è un labirinto.
Mi ritrovo davanti una porta. Un cartello avverte: “Qui possono entrare solo avvocati e collaboratori di studio muniti di delega”. Un altro avvertimento è più giù: “Uno per volta”. Entro anche qui. Ci sono almeno sei persone, quattro uomini e due donne che cercano carte. Cerco anch’io fra i fascicoli dei giudici Thellung, Martinelli e Scalia. Comincio a orientarmi: nei fascicoli si tratta di appalti, transazioni, gestioni di affari. Sono all’XI. Ogni fascicolo ha un suo piccolo segreto. Mi allontano indisturbato e ridiscendo ancora nel cortile interno.

Sono già le 11 e il cortile è rumoroso. Da qualche parte stanno lavorando i carpentieri, scaricano detriti, con colate di cemento rinforzano muri spaccati. E’ un cantiere. Un po’ di tempo fa è crollato un soffitto e c’è stata una perdita d’acqua. Alcune aule di udienza si sono inondate, i fascicoli galleggiavano. Fra le 9 e le 10 ero passato per caso anche dalla Fallimentare e sono inciampato fra una mezza dozzina di scatoloni di cartone, proprio all’entrata. Ci torno alle 11 e 30 e gli scatoloni sono ancora lì. Nessuno li ha tolti. Come la polvere sulle scrivanie o la sozzura sui muri. Puliscono male, non lavano mai.

Gli avvocati girano e rigirano da una sezione all’altra, è un’ansia collettiva, tutti in movimento perenne. Sono appena due mattine che sono salito sulla giostra della giustizia e mi raccontano che ogni giorno qualche fascicolo svanisce, sottratto da qualcuno o inghiottito fra quelle montagne informi di carte.

Anche oggi, 17 gennaio 2007, un fascicolo non si trova più. L’hanno scoperto ieri (il 16) alla cancelleria della sezione che si occupa di appalti e contenzioso con la pubblica amministrazione, la II. Verso mezzogiorno si è presentato un avvocato e ha chiesto l’incartamento del suo cliente, il senatore X. L’hanno cercato e non l’hanno trovato. Sparito. Il senatore X
. nella passata legislatura è entrato a Palazzo Madama in ritardo, dopo un riconteggio di voti che l’ha “ripescato”. Una volta eletto ha chiesto allo Stato gli stipendi arretrati. Ma adesso aspetterà ancora prima di prenderli. E, prima che ritrovino la sua richiesta di risarcimento, passerà molto tempo. Nel maggio scorso fra le anse del Tribunale si è perso pure un fascicolo di Berlusconi-Mediaset, una citazione per una satira giudicata troppo spinta. Dopo qualche settimana è improvvisamente riapparso. Come quegli altri che sono stati ritrovati da una ragazza sulle rotaie della metropolitana di Ottaviano. Li avevano rubati in tre sezioni, presi alla rinfusa e poi gettati via. Parecchi mesi dopo un cancelliere li ha rivisti fradici d’acqua su un termosifone, qualcuno li aveva messi lì ad asciugare. Altri fascicoli li hanno sequestrati i poliziotti al segretario imbroglione di un giudice onorario. Li aveva sfilati dagli archivi, li teneva a casa.
Un fascicolo può leggere una vita. C’è dentro tutto: riferimenti alle malattie, al reddito, alle frequentazioni, ai precedenti penali, ai problemi dei figli, alla salute dei genitori. Chi garantisce la segretezza di queste informazioni al Tribunale civile di Roma? Chi protegge il cittadino che finisce come un libro aperto negli armadi della III o della V o della XIII sezione di viale Giulio Cesare 54b?

La legge dice che i “custodi” sono i cancellieri. Ma solo a Roma ne mancano almeno 164. Mancano anche contabili, commessi, mancano autisti. Se però sparisce un fascicolo ne risponde sempre il cancelliere, è lui “il responsabile del trattamento dei dati cartacei”. Un paio di mesi fa il sindacato dei cancellieri ha scritto alla presidenza della Tribunale e al Garante per la protezione dei dati personali. Denunciava la vergogna: i fascicoli alla mercé di tutti. I cancellieri chiedevano una videosorveglianza, l’identificazione e la registrazione degli accessi agli archivi, regole. I capi del Tribunale (che non ha presidente da quasi un anno e non ha nemmeno il dirigente della cancelleria) non hanno mai risposto. A novembre, il Garante “ha preso in esame la problematica relativa all’applicazione delle misure di sicurezza nel trattamento dei dati presso gli uffici giudiziari… richiedendo, a tale scopo, la collaborazione delle istituzioni e degli uffici interessati”.
Ma se al Tribunale civile di Roma qualcuno applicasse davvero quelle misure di sicurezza e quelle regole che tutti reclamano, ogni cancelleria e ogni sezione si fermerebbe in meno di un’ora. Se giudici, cancellieri e avvocati si dovessero rigidamente attenere a procedure e mansionari, già da domani mattina il Tribunale di viale Giulio Cesare 54b potrebbe chiudere. Per paralisi totale. Lo sanno i cancellieri: “È vero, in mezza giornata qui dentro non funzionerebbe più niente”. Lo sanno gli avvocati: “Noi non potremmo più lavorare”. Lo sanno i giudici, che fanno finta di non vedere ciò che accade ogni giorno nelle loro aule. Per far rispettare la legge al Tribunale civile di Roma si fa tutto fuorilegge.

È così che i fascicoli della signora B. o quello del signor M. finiscono a mezzogiorno di giovedì 18 gennaio sempre nelle mie mani. Sto ancora frugando fra le cancellerie quando vengo a sapere che qualcuno ha appena presentato un’istanza di divorzio per X. Y., un attore comico di una certa notorietà. Non ci sono segreti per i frequentatori del Tribunale civile di Roma. Tutti sanno tutto di tutti.

Salgo, scendo, arrivo alla VIII sezione. Ci sono 5 armadi, due chiusi e 3 aperti. Allungo la mano, anche qui “cause interrotte”. Successioni, divisioni ereditarie. Mi spingo lungo i camminamenti che congiungono palazzi vecchi e palazzi nuovi e sono alla IV, esecuzioni immobiliari. È una mattinata come tante. Le aule sono stipate di avvocati, i magistrati sono coperti dalla folla. Udienze di massa. No stop dalle 9, una cagnara fino all’ora di pranzo. Il giudice Cottone ne ha 35 di cause, il giudice Vigorito 48. Gli avvocati rumoreggiano dentro e fuori, parlano, gridano. E tutti fanno “il mucchio”. Accatastano i loro fascicoli uno sopra l’altro, dal primo che è arrivato all’ultimo. Si formano pile alte anche mezzo metro. Poi si infilano nelle aule tutti insieme e, lentamente, “il mucchio” cala. Scendo un’altra volta, c’è un altro cortile. E un altro divieto.

<!– do nothing –>Da questa porta potrebbero passare solo i dipendenti del Tribunale, ma lì davanti sono forse in quattro o cinquecento. È l’Ufficio Unico Notifiche delle Corti di Appello. Mi dicono che le file cominciano a formarsi fra le 5 e le 7 del mattino. Sono le segretarie degli avvocati le sfortunate, si alzano all’alba per far notificare gli atti. C’è però un’altra via per non fare quelle file. Qualcuno mi sussurra all’orecchio che devo rivolgermi “a Riccardo”. Cerco Riccardo. Chiedo in giro e mi rispondono che è morto durante le feste di Natale. Un infarto. E mi consigliano: “Cerca la cugina, è lei che ha preso il suo posto”. Cerco “la cugina” ma non la trovo. Pare che sia indaffaratissima a recuperare tutte le carte che aveva Riccardo, deve restituirle agli avvocati. È tardi, quasi mezzogiorno. E non trovo neanche Jimmy l’egiziano, lo sbrigafaccende che è il nuovo “re” dell’Ufficio Unico Notifiche del Tribunale di Roma. Ha cominciato vendendo marche da bollo, ora qua dentro si muove come il padrone. Proverò a cercarlo ancora domani, Jimmy l’egiziano.