Un’indagine conoscitiva cercherà di fare luce sulla proliferazione ormai incontrollabile dei costi della politica. Lo ha deciso il presidente della Camera Fausto Bertinotti, che ha affidato alla commissione Affari costituzionali, presieduta da Luciano Violante, il compito di gestire l’inchiesta. Sarà la prima del genere, ma il problema è talmente avvertito che la terza carica dello Stato intende lanciare un segnale concreto, ora che anche il governo lavora alla stesura di un libro bianco sugli sprechi.
Il lavoro, spiegano dalla Presidenza della Camera, servirà da base per eventuali iniziative parlamentari. «Si sa che la democrazia ha un costo — spiega Bertinotti — ma non c’è ragione che questo costo sia abnorme. Ci sono elementi distorti che vanno corretti». E il presidente della Camera fa riferimento alla proliferazione di cariche elettive retribuite, fino ai più piccoli comitati pubblici compresi. Il suo parere è che«c’è una parte della rappresentanza politica che deve essere gratuita». Favorevoli con l’iniziativa tutti i capigruppo, opposizione compresa. Pur con qualche distinguo. «L’indagine va fatta — secondo il capogruppo di An Ignazio La Russa— Ma proporrò con un emendamento che sia anche comparativa, che le indennità parlamentari siano cioè confrontate con quelle di chi ricopre analoghi ruoli di responsabilità, dai manager pubblici a certe star del giornalismo tv». Il vicecapogruppo forzista Antonio Leone plaude anche lui ma invita a partire dalle «poltrone e strapuntini con cui questo governo ha battuto ogni record». Un primo segnale sarà dato oggi dalla stessa commissione Affari costituzionali della Camera, che inserirà in calendario per essere discusso entro fine mese l’unico disegno di legge sulla «riduzione dei costi della politica», quello presentato dai dipietristi Donadi, Mura e Borghesi. E basta scorrere i 18 articoli che lo compongono per comprendere quanto sarà arduo il cammino del testo. Che parte con l’abolizione di tutte le indennità accessorie dei parlamentari da sostituire con rimborsi spese per proseguire con il riconoscimento della pensione ai soli ex deputati che hanno maturato due legislature. E poi, un tetto di 12 ministri per il governo, il dimezzamento degli assessori provinciali, l’abolizione delle comunità montane e delle circoscrizioni nelle città sotto i 250 mila abitanti. «Se passasse tutto questo — spiegano i tre proponenti — si avrebbe un risparmio stimato in tre miliardi di euro l’anno».
Tra i costi sostenuti dal Parlamento ci sono anche quelli ad appannaggio dei deputati per pagare i collaboratori. Il giro di vite per vincolare il rilascio dei badge ai soli portaborse con contratto ha fatto flop. Ieri l’Ufficio di presidenza della Camera ha prorogato di un mese la scadenza del 13 maggio. Si è scoperto che su 688 collaboratori esistenti, i contratti sono stati regolarizzati per 176. Ma per 108 il pagamento era a carico della Camera per i deputati che ricoprono ruoli di vertice (presidenti di commissione e altro). Dunque, solo 68 sarebbero i neo contrattualizzati effettivi.
Ieri sera invece il gruppo di Italia dei valori si è trasformato in una sorta di minitribunale per giudicare, alla presenza di Di Pietro, il deputato Salvatore Raiti, accusato di aver partecipato alla ripartizione dei 17 milioni di euro della cosiddetta «legge mancia». La sua «colpa», aver dirottato sul suo comune di Linguaglossa 100 mila euro. «Non li ho regalati a un’associazione amica, ma al Comune per mettere a norma antisismica la scuola Luigi Pirandello. Sono orgoglioso di quel che ho fatto e se possibile lo rifaccio pure», è stata la sua arringa davanti ai colleghi. Che non hanno apprezzato: «Non ne sapevamo nulla, hai agito da solo in commissione Bilancio e valuteremo se trasferirti in altra commissione» ha attaccato il capogruppo Donadi. E il ministro Di Pietro: «Sono deluso, le tue ragioni non sono in linea coni principi etici del partito».