Non tutti partecipano alle giornate mondiali della gioventù; non tutti vanno a messa la domenica; non tutti pregano assiduamente, ma a chiedergli a quale religione credono rispondono: cristiana cattolica. A parte coloro che si dicono agnostici, atei, credenti in un dio generico fatto a propria immagine e somiglianza, la maggior parte dei giovani italiani, precisamente sette su dieci, professa il cattolicesimo: declinandolo secondo diversi gradi di importanza e in varie forme. Da quella occasionale a quella fervente; da quella intimista a quella rituale.
Sono undici, infatti, i tipi di religiosità individuati dalla indagine su “La religiosità giovanile in Italia” realizzata dall’Istituto Iard e dal Centro di orientamento pastorale (Cop), tra la primavera e l’estate del 2004. E tremila i giovani, tra i 15 e i 34 anni, consultati sui rispettivi atteggiamenti e sulle pratiche religiose adottate.
I vissuti personali. Secondo la ricerca il 70 per cento della popolazione giovanile, oltre dieci milioni, si definisce cattolico: a riconoscersi in questa professione di fede sono il 75 per cento dei giovanissimi (15-17enni), il 72 per cento dei 30-34enni, e una parte meno cospicua dei 18-20enni (il 62 per cento). La percentuale più alta di cattolici è rilevata nelle regioni del Sud (80 per cento), mentre la più bassa si trova nel centro Italia (59 per cento).
Ma in questo quadro molte altre sono le sfumature: se facilmente infatti ci si dichiara “cattolici” in generale, poi sul piano del vissuto personale le differenze sono sostanziali. Per il 18 per cento dei giovani italiani, definiti “cattolici occasionali”, la partecipazione alla vita comunitaria è molto scarsa e si risolve in un saltuario colloquio personale con Dio. La dimensione religiosa resta sullo sfondo e non è considerata importante anche dai “cattolici ritualisti” (16,7 per cento); mentre i “cattolici moderati” (13,6 per cento) alternano periodi di grande tensione religiosa, con momenti di maggiore rilassatezza. E se l’11,4 per cento dei ragazzi si professa “non credente” e scettico nei confronti della Chiesa, ci sono poi i “cattolici intimisti” (9,9 per cento), che sentono una fede forte, ma isolata dalla comunità ecclesiale.
Cosa che non vale per quel 6,7 per cento di “cattolici ferventi”, la cui appartenenza religiosa incide profondamente sulle scelte e sui comportamenti quotidiani. Una visione quest’ultima ben distante da quella degli agnostici (6,3 per cento), come pure da quella di chi crede solo in un dio generico (6 per cento), o dei ragazzi che dicono di credere in Cristo, ma non nella Chiesa (4,8 per cento) o ancora dall’idea dei “cattolici lontani” che hanno abbandonato qualsiasi forma di pratica religiosa, sia istituzionalizzata che individuale (il 4,7 per cento).
“Nella maggioranza dei ragazzi il dirsi cattolico sembra assolvere a una esigenza psicologica d’identità – dichiara Riccardo Grassi, ricercatore dell’Istituto Iard e curatore dello studio – e la frammentarietà dei comportamenti mostra di fatto come il modo di porsi sia fortemente variegato”.
La pratica religiosa. Gli esempi precisi vengono dai dati relativi alla pratica religiosa: preghiere, celebrazioni ed eventi ecclesiali. Un giovane su cinque prega tutti i giorni; uno su tre prega a volte a settimana, senza continuità, mentre uno su quattro dichiara di “non pregare mai”. E la messa? Il 28 per cento dei ragazzi dai 15 ai 17 anni ci va tutte le settimane, ma basta andare avanti con l’età per registrare un calo nelle presenze (bisogna aspettare i trent’anni per riscontrare un ritorno alla vita cristiana). Inoltre, secondo l’analisi fatta dallo Iard, negli ultimi dodici anni la frequenza della messa tra i giovani italiani si è ridotta decisamente: se nel 1992 era il 25 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni a partecipare alla celebrazione ogni settimana, nel 2004 solo il 17 per cento si ricorda di “santificare le feste”.
La tendenza quindi è quella di vivere la religione gestendo a piacimento la professione di fede. “In questi giovani – commenta monsignor Domenico Sigalini, presidente del Centro di Orientamento pastorale e vescovo di Palestrina – c’è la volontà di una ricerca individuale e di una pratica soggettiva ma il dato costante, riscontrabile anche nelle indagini degli anni scorsi, è la domanda religiosa che quasi tutti i giovani si fanno”.
Ma una volta affermato che la religione sì, è molto importante nella vita, come sostiene il 30 per cento dei ragazzi intervistati, va bene viverla a modo proprio? Personalizzarla. O si tratta di relativismo? “Non del tutto perché questa personalizzazione ha due esiti – dichiara monsignor Sigalini – da un lato può portare a un relativismo assoluto, dall’altro può consentire la costruzione di una seria coscienza cristiana e di un cammino profondo. E in tal caso c’è da essere contenti”.