Padre Bartolomeo Sorge, che resta un formidabile politologo di sottilissima scuola gesuitica, li ha definiti un giorno, non molto tempo fa: “cattolicanti”. Si tratti di uomini politici che differiscono dai “cristianisti” perché in genere sono piuttosto accomodanti, soprattutto con se stessi. Con una certa frequenza ostentano la loro fede, i loro valori, ma sempre più spesso se ne servono a fini politici. Per esempio, a proposito dei Dico e quindi sulla famiglia.
Quasi sempre pare di cogliere dell’umano auto-lesionismo nei “cattolicanti”. E non solo perché molti di loro hanno impicci famigliari e plateali, prime e seconde mogli, figli di primo e secondo letto, immaturità sentimentali, inimicizie domestiche, debolezze, nevrosi. Come tutti. Ma il guaio vero è che l’ostentazione della fede e lo sventolamento dei valori personali scuote inesorabilmente la loro credibilità pubblica. Detta altrimenti: con che cuore i leader del centrodestra possono ergersi a testimoni di vita cristiana e proclamarsi, con la benedizione delle gerarchie, i difensori della sacra famiglia se neppure lal oro è un esempio?
In politica, in pubblico, sui giornali e in televisione, la famiglia funziona come un boomerang. O come un’arma a doppio taglio. Prima o poi sarà il caso di notificare ai leader, a tutti, che fra gli strumenti e le fonti cui attinge da anni il giornalismo italiano ci sono il gossip di Dagospia, i loro talk-show preferiti e le immagini dei rotocalchi rosa. Su quegli schermi e dentro quelle foto si dispiega ormai la vita nuda dei potenti, innalzati o ridotti al rango dei Vip. La vita nuda anche nel senso letterario del termine, come ebbe a scoprire il futuro presidente della Camera Casini, ritratto in costume adamitico su un motoscafone. Dunque corpi, amori, tradimenti, eredità. Loro e dei loro parenti. Tutto quello che la Prima Repubblica teneva separato o riteneva ininfluente. Bene, adesso per forza di cose, e anche di Dico, la politica dilaga in uno spazio che è insieme pubblico e privato. La politica attraverso Lady Fini, Veronica o la suocera del Cavaliere, il marito della Prestigiacomo, la prima moglie televisiva di Calderoli, le meraviglie del possibile innescate dalla ex modella, organizzatrice di eventi Emanuela Talenti, amica di Formigoni. E davvero su questo terreno non c’è cattolichesimo” che tenga: si predica bene, per lo più, e si razzola male. E non sarà simpatico esercitarsi sui razzolamenti, ma questa è l’impressione.
Oltretutto la questione è più complicata di come la mettono loro. Fin troppa famiglia, per dire, è venuta fuori dalla vicenda di Antonio Fazio. E troppa, forse, ne viene fuori anche nel caso di Clemente Mastella, che con la moglie-presidentessa rivendica di essere arrivato vergine al matrimonio, ma poi lo santifica con un bel partito famigliare. Oppure ce n’è troppo poca, di famiglia, o s’è immiserita, s’è spezzata, s’è sdoppiata. Casini, Berlusconi, Bossi, Fini, per rimanere al gruppo di testa dei “cattolicanti”: ce ne fosse uno a posto.Però sono tutti contro i Dico. Come lo è l’ultima convertita sulla via di Damasco, la Dany Santanché — e suoni qui a maestosa conferma di un certo andazzo il nomignolo che le ha appiccicato Dagospia: “San-ta-de-che”.
Dubitare in effetti sembra, più che legittimo, ragionevole. Si pensi alla Pivetti, che l’altro giorno è comparsa in versione sado-maso, con frusta (a terra, però). Ai tempi portava al collo la croce di Vandea, scacciava le Veneri discinte dal suo ufficio di Montecitorio, era terrorizzata che nelle occasioni ufficiali le si vedessero le gambe. Un giorno trascinò a messa i papaveri della Camera, sicuramente laici, forse massoni, una scena vagamente fantozziana, e lei a ginocchioni. Ottenne l’annullamento rotale. Adesso è felice con Brambilla, i bambini, e va benissimo. Ma insomma… Se la famiglia è un boomerang, la fedeltà coniugale rischia di diventare una nemesi. Perché passare da Aldo Moro a Lele Mora è un salto che lascia sgomenti. Però bisogna anche ammettere che sulla scena pubblica dell’Italia post-ideologica le condizioni coniugali, i comportamenti intimi, gli stili di vita e le umane debolezze dei politici dicono e rivelano molto più di quanto essi stessi siano disposti a riconoscere. In teoria i «cattolicanti» lo sanno. Le gioie e le disgrazie famigliari sono una cosa troppo grande e complessa da precipitare nel campo di battaglia dei Valori.
Ma a che vale impancarsi a profeti della dissoluzione della famiglia — o anche solo bocciare il matrimonio di serie B — con la coscienza non solo o non tanto macchiata, ma tristemente ammaccata?
Bastasse una messa, un ritiro, un presepio a Montecitorio senza gay o Moana; bastasse una benedizione di parlamento padano, una comparsata in difesa della famiglia a Domenica in com’è accaduto ieri a Casini, o un’intemerata sul relativismo etico del cesso di Luxuria. Bastasse insomma un crocifisso d’oro brandito come un bastone per fare autentica testimonianza cristiana. Hai voglia a fare pellegrinaggi con monsignor Fisichella a Santiago di Compostela o prodursi in sonanti geremiadi sull’abbondanza di gay nelle fiction Rai per recuperare coerenza, legittimità e autorevolezza agli occhi del pubblico — e a lungo andare, si spera, pure dell’elettorato.
Ammesso che ci sia, il centrodestra e i suoi leader non sembra possano chiamarsi fuori dalla “crisi morale” di cui parla senza troppi riguardi il professor Buttiglione. O meglio: non possono, non devono, non è giusto che scaglino la prima pietra senza prima guardare a casa loro. Tra le classiche quattro mura, nella loro denudata e fragile esistenza. Né è conveniente che lo facciano mossi solo dal calcolo o dalla convenienza: a prescindere dai reality che fioriscono sulle reti Mediaset, sorvolando sui modelli che trasmettono quei palinsesti ingolfati dai valori della pubblicità, mica della famiglia. Per non dire dei quadretti coniugali venuti tristemente e allegramente alla luce nel segmento An delle intercettazioni di Vallettopoli. Perché tutto, oggi, si fa al tempo stesso più grandioso e più misero, più camuffato, ma anche più evidente. E se il peccato — come la redenzione — è di tutti e per tutti, beh, non è detto che i “cattolicanti” identificati dal reverendo padre Sorge ne debbano avere il monopolio teologico; e quando gli fa comodo addirittura politico.