RADICALI ROMA

«Dalle Province in giù, carrozzoni per pagare tanti politici trombati»

  Come aprire le para­tie di una diga. La parola “sprecopoli”, condita da “enti inuti­li”, suscita una reazione del genere in Renato Brunetta, economista di Forza Italia che non pranza mai, ma si nutre di indignazione come primo piat­to e di vis polemica come se­condo.

 

 

 

Da dove cominciamo?

 

«Qualsiasi punto va bene. Il problema è dove finiamo, per­ché la montagna Enti Inutili è altissima, si sa».

 

 

 

Ecco, appunto: si sa, ma non si fa niente.

 

«Se si ipotizzano tagli, ma non si dice a favore di chi, ci si fa dei nemici e basta. Dove collo­care i vantaggi delle minori spese? A questa domanda va data risposta. Gli americani parlano di ear marking, marca­re l’orecchio».

 

 

 

Vogliamo provare? Regioni a statuto speciale.

 

«Per quale motivo la loro auto­nomia dev’essere pagata con sussidi più che proporzionali rispetto ai compiti? Sussidi non a pie’ di lista, ma tout court. E sovrabbondanti».

 

 

 

Un esempio?

 

«In Trentino Alto Adige la finanza derivata, cioè la diffe­renza fra quanto lo Stato dà e quanto preleva, è la stessa cifra del Veneto. Solo che i Veneti sono quattro volte più numero­si dei trentini, quindi a ogni trentino tocca il quadruplo di un veneto. E più del quadruplo al valdostano, due volte e mez­za al friulano, due al siciliano e quasi due al sardo».

 

 

 

Traducendo in euro?

 

«Decine di miliardi. Fatte salve le autonomie, l’insularità, la montuosità, ma eliminando certi vantaggi, si potrebbero

 

redistribuire. Basta col grasso che cola da fuori, con gli uscie­ri della Regione Sicilia pagati cinquemila euro al mese, coi sussidi agli albergatori trentini e non – che so? – a quelli romagnoli».

 

 

 

 

 

Ecco perché alcuni Comuni Veneti vogliono traslocare in Trentino. Non teme una lot­ta fra enti locali?

 

«Province, intende? Sono più di cento, con la tendenza a diventare 150. E non servono ad altro che a procurare seggiole e poltrone. Ci sono anche trecento comunità montane, che non fanno pressoché nien­te, se non stipendiare politici trombati. Tagliare, eliminare: altri dieci miliardi di euro ri­sparmiati».

 

 

 

Da impiegare in che modo?

 

«Se li si spalmasse sulla finan­za locale, si abbatterebbe di qualche punto la pressione fi­scale dei governi locali. Meno lei, meno Irpef e così via. Qual­cuno sa spiegare perché un albergatore “a statuto specia­le” può ristrutturare l’hotel con interventi a fondo perduto mentre il suo collega sfortuna­to che sta a pochi chilometri di distanza non può?».

 

 

 

Il nuovo titolo quinto della Costituzione…

 

«Sì, consente un federalismo a geometria variabile, e a costo zero. Insomma, non c’è più la cortina di ferro: è ancora neces­sario un Friuli a statuto specia­le? Capisco i problemi della montagna, ma quante regioni montane non sono a statuto speciale? E non c’è più il sepa­ratismo siciliano, eppure… E che dire del Trentino, dove la maggior industria è il settore pubblico? Altroché etnia, lin­gua, eccetera: liberare risorse, diminuire le tasse, alleggeri­re».

 

 

 

E le pensioni di invalidità?

 

«Bel tema. Se si eliminassero quelle false, si potrebbero alza­re le pensioni minime, oggi ferme a 560 euro. Le pensioni totali sono venti milioni, ma i pensionati sono in tutto quat­tordici milioni. Alcuni hanno più pensioni, ma quanti? Io penso che un paio di milioni di pension i di in validità siano fal­se. Le minime potrebbero sali­re a mille euro al mese, forse».

 

 

 

Bisognerebbe segnalarlo ai patronati sindacali.

 

«Un altro pozzo di San Patri­zio. Prendono 260 milioni dall’Inps, 80 dall’Inpdap e 15 dall’Inail. Ai Centri di assistenza

 

fiscale, i Caf, vanno dodici euro per ogni dichiarazione dei redditi: totale 84 milioni. Più altri 60 erogati dall’Inps perle dichiarazioni dei pensio­nati. Altri 370 e rotti milioni l’Inps li passa ai sindacati co­me trattenute sulle pensioni, e almeno seicento milioni van­no sempre ai sindacati dalle trattenute ai lavoratori attivi».

 

 

 

Polemico con il sindacato, onorevole?

 

«Con questo sindacato. It­to il mondo i sindacati vivono delle quote degli iscritti, per­ché da noi no? Con tutti quei soldi si potrebbero finanziare ammortizza tori sociali veri: cassa integrazione, disoccupa­zione».

 

 

 

Che dire del pubblico impie­go?

 

«Tutto il male possibile. Tre milioni e mezzo di dipendenti, più mezzo milione di atipici, sono troppi. Pagati troppo ri­spetto alla produttività, anche se non in senso assoluto. Con un milione di dipendenti in meno si recupererebbero pro­duttività e valore degli stipen­di».

 

 

 

Anche le case pubbliche so­no una “non resa”.

 

«Se gli ex Istituti case popolari vendessero gli alloggi agli in­quilini, incasserebbero venti miliardi. Significherebbero appartamenti per le giovani cop­pie e maggior gettito lei. Se il Comune di Roma vendesse tutto il suo patrimonio immobiliare, dimezzerebbe il debito con la Cassa depositi e prestiti, Venezia lo azzererebbe. Inve­ce questi patrimoni restano bloccati».

 

 

 

Finito, onorevole?

 

«Finito? Questa è l’introduzio­ne. Parliamo del Cnel che co­sta trenta milioni l’anno, l’80 per cento in stipendi, e non serve quasi a niente? E del Formez?». Un’altra volta.