RADICALI ROMA

Democrazia in palestra /2: L’effettività del diritto di iniziativa

Di Leone Barilli.

Il corpo è una macchina meravigliosa che però ha bisogno di cura, intesa come una buona alimentazione, un regolare esercizio fisico, un’aria pulita, il giusto rapporto tra veglia e sonno. Lo stesso a maggior ragione vale per gli atleti o per chi fa del proprio corpo lo strumento del proprio mestiere. Se abusiamo del corpo, ovvero se contravveniamo alle prescrizioni di cui sopra, state certi che lo stesso vi darà forti segnali di squilibrio. Come qualsiasi cosa in natura poi il corpo compie la sua parabola di ascesa ed inevitabile caduta. Con il passare degli anni le cellule non si riproducono più con la stessa velocità dei primi anni di vita, i tessuti tendono a cedere, i muscoli perdono elasticità, insomma, tutto si degrada fino alla inevitabile fine. Usando la metafora del corpo potremmo dire lo stesso dello Stato democratico.
Per buona alimentazione potremmo intendere la produzione di leggi chiare efficaci e comprensibili a tutti. Per esercizio fisico potremmo intendere l’esercizio dei diritti democratici, dalla libertà di voto a quella dell’informazione per finire ai diritti di iniziativa e partecipazione. Per l’aria pulita potremmo intendere le libertà di voto e di scelta in genere e per quanto riguarda il rapporto tra veglia e sonno un sano rapporto di consultazione tra elettori ed eletti, ovvero il momento della partecipazione popolare al voto e il momento degli eletti di governare. E’ chiaro che se dormiamo troppo o siamo svegli per tempi troppo lunghi c’è qualcosa che non va e l’organismo Stato, inteso come tenuta delle Istituzioni, subirebbe dei contraccolpi.
E’ evidente che le democrazie occidentali stanno vivendo una fase di grave crisi. Tutti ne parlano e provano con difficoltà a comprenderne i motivi. A mio modesto avviso le cause sono da individuarsi nell’incapacità, o nascosta volontà, delle classi dirigenti di fare un’analisi della malattia e la corrispondente corretta diagnosi, preoccupandosi di salvaguardare non tanto la salute del corpo democratico quanto la salute del proprio interesse particolare accentrando il potere ed espropriando il corpo elettorale della facoltà di scegliersi i propri rappresentanti: così facendo, restringendo lo spazio democratico, letteralmente… asfissiandolo.
Scrive il filosofo francese Jean-Luc Nancy: “La condanna morale e politica – quella mossa in primo luogo da una coscienza sicura ed esigente dei ‘diritti dell’uomo’ – rischia di mascherare, dietro la sua indiscutibile legittimità, quest’altra legittimità, che è stata e resta quella di un’esigenza irriducibile: che noi possiamo dire ‘noi’, che noi possiamo dirci ‘noi’ (dirlo di noi stessi e dircelo gli uni degli altri) a partire dal momento in cui né un capo né un dio lo dice più per noi“.
Ecco, se vogliamo di nuovo poter declinare il nostro essere al mondo in quanto soggetti e in quanto corpo sociale che collettivamente si riconosce, dobbiamo aprire le finestre della democrazia e tornare a respirare. Come possiamo farlo?
In primo luogo a partire dalle regole che disciplinano la rappresentanza, e quindi far tornare i cittadini protagonisti del momento elettorale riconsegnando loro la facoltà di eleggere in piena autonomia i propri rappresentanti. Poi dando piena effettività agli strumenti di iniziativa popolare a partire dai municipi e dalle città, passando dalle parole ai fatti. Negli Statuti molto spesso si enunciano principi sacrosanti ma i regolamenti che dovrebbero disciplinare la loro applicazione, e quindi renderli effettivi, sono lacunosi e arbitrari.
A Roma per esempio, ci sono voluti cinque anni perché fosse approvata la delibera di iniziativa popolare sul testamento biologico e oltre due anni per quella sulle unioni civili, quando il termine massimo per la loro discussione a norma di Statuto sarebbe di 6 mesi, una volta raccolte le firme necessarie. E tutto grazie all’iniziativa del consigliere Radicale Riccardo Magi, oggi Segretario di Radicali Italiani, che fu costretto a scrivere al prefetto per intimare l’Assemblea Capitolina a discutere di tali provvedimenti. Curioso il fatto che per la raccolta delle sottoscrizioni i termini siano perentori, pena l’annullamento de facto dell’iniziativa, mentre trasgredire i termini di discussione del provvedimento, da parte di chi rappresenta la città, non comporta nessuna penalità.
Ecco, la crisi della democrazia la si contrasta aumentando gli spazi di partecipazione e dotando questi strumenti della loro effettività. D’altronde la democrazia è un esercizio, e per essere praticata ha bisogno di strumenti propri che rendano il diritto di iniziativa effettivo e non solo un pronunciamento ideale.