RADICALI ROMA

Dico, nulla di fatto tra Bertone e Prodi

Per i vertici della Chiesa e dello Stato quello di ieri all’Ambasciata d’Italia presso la santa Sede, era l’appuntamento più difficile, da ventitré anni ad oggi; da quando cioè nel 1984 il governo Craxi portò a compimento la revisione del Concordato. I «Dico» hanno creato un problema di inedita grandezza fra le due sponde del Tevere, e tutta la giornata di ieri ne è rimasta condizionata. E’ stato un incontro in cui i sorrisi e le cordialità di facciata («un ottimo colloquio», ha detto Rutelli) non sono riusciti a nascondere i momenti di difficoltà.

Ha avuto tre momenti distinti, il pomeriggio di ieri. Un «testa a testa» fra Prodi e Bertone; un dialogo a più voci fra le due delegazioni e infine un momento celebrativo, alla presenza delle massime cariche dello Stato. Per la prima volta nella storia di questi ricevimenti gli invitati hanno potuto accedere a palazzo Borromeo solo quando è cominciato il momento più celebrativo e meno politico, con l’arrivo di Napolitano, Bertinotti e Marini. Una ragione c’era: da Palazzo Chigi è venuto, all’improvviso, nel primo pomeriggio il suggerimento di un incontro a due, fuori programma, prima del colloquio fra le delegazioni, protagonisti il presidente del Consiglio Prodi e il segretario di Stato Bertone. Altrettanto inedito, e significativo, un comunicato emesso da Palazzo Chigi in serata, dopo che il cardinale Bertone aveva pronunciato poche parole sul «testa a testa» con Prodi, davanti alle telecamere: «Si è parlato dell’applicazione del Concordato, delle famiglie che sono una priorità per l’Italia, delle provvidenze per le famiglie, come dice l’articolo 31 della Costituzione».

E a una domanda precisa: «Dei Dico – ha scherzato – preferirei dire non dico, ma naturalmente si è parlato anche di quello chiarendo le rispettive posizioni». Prima, appena uscito, si era espresso così: «Abbiamo parlato con molta serenità e serietà. Abbiamo parlato non solo di problemi italiani, perché bisogna guardare anche fuori dell’Italia, dei problemi internazionali nei quali la Santa Sede è fortemente impegnata e l’Italia dà una mano». Di famiglia si è parlato? «Abbiamo parlato anche della famiglia, senza dubbio, nei termini che la Chiesa pone sempre con la sua chiarezza, con il rispetto di tutte le istanze… Dialogo molto sereno». Serenità, serietà, chiarezza, rispetto: in linguaggio diplomatico sono termini che indicano un orizzonte con nuvole. Che il comunicato di Palazzo Chigi – assolutamente irrituale, nella storia dei ricevimenti all’ambasciata d’Italia per celebrare il Concordato – non dissipa totalmente. Si parla di «sintonia» sui «temi relativi alla politica internazionale». Il ministro degli esteri, D’Alema, ha annunciato che «il governo italiano aiuterà i rapporti tra Vaticano e Cina, per arrivare a un rapporto pieno e normale che tenga conto delle legittime preoccupazioni del Vaticano». «L’incontro – afferma la nota di Palazzo Chigi – è stato preceduto da un cordiale e sereno colloquio tra il segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone e il presidente del Consiglio Romano Prodi nel corso del quale sono stati toccati diversi argomenti. Tra questi anche quello della famiglia, sul quale si sono precisate e chiarite in modo costruttivo le rispettive posizioni. Da questi colloqui – conclude la nota di Palazzo Chigi – i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede sono usciti ulteriormente rafforzati».

Mentre fuori dell’ambasciata un gruppetto di manifestanti chiede vociando l’abolizione del Concordato, il Presidente del Senato, Franco Marini dà il suo giudizio: «La possibilità di un rapporto costruttivo c’è, parlare di superamento del Concordato e del documento del 1984 mi sembra una cosa fuori dalla realtà». Precisa: «È fuori discussione che la Chiesa su problemi che riguardano la materia concordataria o interessi della società e delle persone ha pieno diritto di dire la sua». Ma aggiunge: «Il politico credente è naturalmente molto attento alle parole dei vescovi e della Chiesa, ma può assumere le proprie responsabilità in piena coscienza, perché l’attività legislativa parte dalla sua consapevolezza dell’interesse nazionale».