RADICALI ROMA

Dopo Capezzone arriva Rita, i Radicali non ammettono ozio

  Tra i radicali, l’ozio ha poco corso. L’insonne Pannella, per dire. Oppure il vorticoso Capezzone. E di uguale, febbrile iperattivismo farà mostra anche il nuovo leader che (probabilmente) verrà, dopo il prossimo congresso di Padova. Dicono le voci che Rita Bernardini, al momento tesoriera del partito, è destinata a prendere il posto di Daniele Capezzone, che tra tavoli dei volenterosi, rassegne stampe, presidenze di commissioni, segreterie politiche, un’impresa in sette giorni, molto fa e molto rende, ma il lavoro nella vigna pannelliana non finisce mai. E quindi, Rita. Perché se Capezzone mai riposa, anche Rita mai si quieta. “Faccio al massimo cinque o sei giorni di vacanza l’anno”, dice. Vacanze poi per modo di dire. Animata dalla passione che immediatamente segue quella politica, ma a moltissima distanza per il disegno e la pittura, la scorsa estate, in vacanza a casa di un’amica sarda, ci ha dato sotto. Ma in senso grandioso: mica un quadro, ha fatto. “Un intero murales”, racconta ridendo. Insomma, Rita. Detta pure “Rita bella voce” da quelli che, sintonizzati su Radio radicale, da una vita l’ascoltano. Rita fa dirette di ore e ore, giorno e notte, tavoli in ogni angolo della penisola, contatta la Basilicata come la provincia di Savona, tiene sotto controllo i compagni del Trentino, esorta quelli della Sila. “E’ la più brava a fare la mobilitazione, nei fili diretti, nell’organizzazione delle iniziative”, riconosce Massimo Bordin, il direttore di Radio radicale.

 

 

 

 Dove per qualche anno Rita ha fatto la redattrice e la vicedirettrice, prima che Pannella la rapisse e la portasse al partito. Dove da allora, dai primi anni Novanta, è stabilmente accasata. “Rita? La trovi a Torre Argentina”, dicono tutti nel partito. “Sono qui a Torre Argentina”, infatti risponde lei alla chiamata. Una militante d’oro, Rita. “Una militante di grande tempra, una macchina da guerra”, garantisce Bordin. “Scioperi della fame, sit in, walk-around, arresti e processi scandiscono gli anni della sua militanza”, racconta una sua biografia pescata su Internet. Dove, se cerci il suo nome su Google, escono fuori quasi undicimila pagine. Assieme a Emma Bonino, è la donna più rappresentativa del Partito radicale: la prima icona, Rita motore. Tesoriere, le capita di contattare gli ex iscritti refrattari al rinnovo personalmente (“ecco, ho qui davanti l’email di un nostro iscritto di Torino che rinnova”), e ogni riconquistato alla causa un momento di esaltazione, poi di nuovo alla carica. E’ stata anche condannata per disobbedienza civile, Rita Bernardini, per aver ceduto hascish e marijuana durante una manifestazione pubblica.

 

 

 

 Se la faccenda dei senatori contestati dovesse andare in porto, potrebbe anche arrivare a Palazzo Madama, casomai Intini rinunciasse in quanto viceministro. Ma ancora più probabilmente le toccherà prendere in mano il partito, dove il tesseramento langue (e quelli dello Sdi, condomini nella Rosa nel pugno, non mancano mai di raffrontare i loro iscritti con quelli scarsi dei soci politici). “C’è uno scollamento tra la stima che molti ci dimostrano e l’adesione al partito”, ammette. Rita, che non ha mai mollato un tavolo, se arriverà da leader a via di Torre Argentina sarà chiamata a un compito mica facile. La Rosa (con lo Sdi) non avanza, la Rosa (senza Sdi) non avanza. Da quando si è avvicinata ai radicali, al tempo del referendum sul divorzio, metà anni Settanta, Rita non si è più allontanata. O meglio: solo nel tempo che è servito per curare la mamma gravemente malata, poi completamente votata alla causa. Con Pannella come punto di riferimento politico? “Direi proprio di sì”. Complicato? Ride: “Non è facile. Ma non credo che avrei resistito così a lungo senza Marco”. L’esatto contrario di quello che quasi ogni ex radicale dice. Se l’iperattivismo capezzoniano troverà un po’ di tregua, è già pronto sul fronte quello bernardiniano. E se squilla il telefono, adesso sapete chi può essere.