RADICALI ROMA

Due corpi in politica

  A distanza di pochi minuti l’una dall’altra scorrono nei tg le immagini del malore fortunatamente rientrato di Berlusconi e quelle di Piergiorgio Welby che chiede ai medici di staccare la spina del ventilatore polmonare che lo tiene in vita. Due situazioni diverse in cui il corpo bussa alle porte della politica, due diverse risposte della politica. La richiesta di Welby è destinata a restare inascoltata. Per i pochi disposti a far procedere in parlamento l’introduzione del testamento biologico (ammesso e non concesso che un testamento biologico sia risolutivo del caso in questione), i più continuano a sbarrare ogni porta opponendo all’umana richiesta del malato la rigidità della legge: a staccare quella spina ostano la lettera della Costituzione, il codice penale, il codice deontologico dei medici, nonché la definizione letterale di «accanimento terapeutico» nella quale il caso Welby non rientra. E più di tutto, osta ovviamente la rigidità dell’etica cattolica. Quante possibilità di spezzare queste rigidità hanno lo sciopero della fame iniziato qualche giorno fa dai radicali e le altre forme di azione non violenta annunciate? Poche, temo, e non solo a causa della cinica sordità della politica. Malgrado la causa radicale sia sacrosanta, le pratiche con cui la si porta avanti sono discutibili. E andrebbero discusse, uscendo dal patto ipocrita e anch’esso cinico, per cui ai radicali si riconosce il coraggio dell’azione di spinta ma senza sindacarne le modalità, riservandosi in cambio la cautela dell’azione lenta e della mediazione ragionevole. Sarebbe ora di rimescolare le carte: premendo più coraggiosamente l’acceleratore sul piano istituzionale, e risparmiando a Piergiorgio Welby e ad altri prima e dopo di lui il ruolo di testimonial di questa e altre cause bioetiche. La sordità della politica in cui la sua richiesta si imbatte non è altra cosa dalla crudeltà mediatica cui essa si espone: l’una sorregge l’altra, e anche di questo circuito infernale qualcuno dovrebbe staccare la spina.

 

 

 

Nel caso del malore di Berlusconi invece il circolo politico-mediatico si è improvvisamente, imprevedibilmente spezzato; e proprio durante un’azione che poteva essere o apparire, come sempre quando si tratta di Berlusconi, perfettamente e artatamente costruita sul piano mediatico (e politico). L’interruzione del discorso, la stessa «spiegazione» lì per lì tentata («e ora scusatemi, la commozione ha avuto il sopravvento»), verificandosi nell’attimo stesso in cui Berlusconi stava parlando della sua eredità politica (e dunque, virtualmente, della sua fine), potevano far pensare a una coincidenza troppo precisa per essere vera: alla messa in scena di un mancamento piuttosto che a un mancamento reale, quale invece le immagini (e anche il sonoro, per chi come me stava seguendo la manifestazione di Montecatini per radio) hanno documentato essere (con buona pace dei soliti dietrologi da blog). Come sempre, la potenza della diretta, sprecata sul canovaccio prevedibile e sempre uguale dei talk-show, si vede nelle circostanze imprevedibili e eccezionali. E quando l’imprevisto irrompe, il circolo politico-mediatico si spezza: la coincidenza troppo precisa era quella del lapsus, non della perizia attoriale, e la diretta ha registrato il lapsus.

 

 

 

Berlsuconi, va da sé, ne è uscito umanizzato. Giustamente e sapientemente molti giornali ieri hanno ricostruito la centralità del corpo nella sua vicenda politica: corpo esibito, corpo sano che vince sul corpo malato, corpo liftato, corpo ringiovanito che non vuol saperne di invecchiare, corpo vacanziero che non si lascia abbrutire dalla routine istituzionale: una metafora vivente delle pretese di controllo sul corpo che attraversa la civiltà mediatica. Ma come il cuore, il corpo ha le sue ragioni che il controllo della ragione non conosce. Possono irrompere all’improvviso, come i lapsus, ed è allora che la razionalità politica, o mediatico-politica, si spezza, o per un momento almeno, prima che arrivino i soccorsi e i portavoce e gli elicotteri, si sospende.