RADICALI ROMA

E il Porto di Ripetta da «salvare»?

 

UN PROCESSO CONTINUO

Ieri all’Ara Pacis si è svolta una manifestazione per chiedere al sindaco Veltroni che le nuove opere previste nel secondo appalto dei lavori vengano sostituite – come vorrebbe Italia Nostra – dal recupero del Porto di Ripetta. Le illustri rovine delle architetture di Specchi, dunque, contro l’innovazione folgorante. Che pure porta la firma, celebratissima, di Meier. Perché gran parte dei romani mostra una pervicace ostilità all’introduzione dell’architettura contemporanea nel tessuto storico quando è evidente che la grande architettura del passato si è nutrita di interventi contemporanei (rinascimentali, barocchi, settecenteschi)? Interventi spesso violenti, come dimostra la costruzione stessa del Porto di Ripetta. Perché l’inserimento disegnato da Meier dovrebbe essere, dunque, meno legittimo di quello di Specchi?

Si potrebbe rispondere che la cultura dell’antico e dei monumenti, almeno da Pio VII in poi, ha costituito uno dei caratteri specifici che ha reso Roma unica tra le metropoli europee. Ma è una spiegazione parziale e vagamente polverosa.

Una risposta più fertile, ritengo, è scaturita dall’affollato convegno tenuto mercoledì all’Accademia di San Luca. A conclusione di un’accalorata discussione sull’architettura romana degli anni ’60, quando gli interventi si avvolgevano, senza risolverlo, attorno al nodo gordiano del rapporto con la storia, si è levata la voce di Gianfranco Spagnesi: è andato perduto negli ultimi cinquant’anni, ha detto l’anziano professore, il senso dell’architettura intesa come processo, come trasformazione di un patrimonio ereditato.

Poche parole che hanno colto il centro del problema: ogni intervento del passato, anche moderno, era partecipe di uno svolgimento continuo, ogni linguaggio la declinazione imprevedibile di una lingua condivisa. Si vedano i tanti esperimenti dimenticati che indagavano sull’aggiornamento di processi in atto: quelli degli anni ’30 (Libera in via San Basilio, Valle a lungotevere Marzio) ma anche degli anni ’50 ( De Renzi a largo Toniolo).

Una «processualità» dell’architettura ormai perduta. Il consenso dell’establishment al progetto di Meier, alla sua astratta assenza di radici, è figlio di questa perdita.

Nel 1917, sotto la pressione della pubblica opinione, Piacentini fu costretto a cambiare, a proprie spese, la rivoluzionaria facciata che aveva costruito per il cinema Corso in piazza in Lucina. Un episodio che andrebbe ascritto tra gli esempi più alti dell’appassionata difesa dei romani in favore della continuità e che pure è stato censurato dalla storiografia ufficiale del dopoguerra in nome dell’espressione individuale. Il cui culto asettico è oggi consolidato dagli eroici furori dei sacerdoti della contemporaneità (ultimo Nouvel, su queste pagine) che si propongono come rinnovatori della Roma storica.

Per questo sarebbe uno straordinario segnale di novità se la dolorosa protesta per la vicenda dell’Ara Pacis, come quella per il cinema Corso, fosse conclusa da qualche ripensamento.

 

di Giuseppe Strappa
dal Corriere della sera del 19.06.04

 

 

LA PROTESTA – Ara Pacis, il Porto di Ripetta da «salvare». Un inedito accordo tra esponenti di Italia nostra, Alleanza nazionale e la neonata associazione «Ecoradicali» chiede di bloccare il cantiere di Meier.

Stop al progetto Meier e ripristino dell’antico Porto di Ripetta, sacrificato alla fine dell’Ottocento per costruire ponte Cavour e i muraglioni del lungotevere. Insomma, «Bara Pacis» non s’ha da fare: con questo e altri slogan ha manifestato ieri a mezzogiorno un gruppo di persone nell’area adiacente al cantiere di piazza Augusto Imperatore: gruppo tanto esiguo per numero quanto battagliero per convinzioni, di cui faceva parte un inedito trio composto dalla sezione romana di Italia Nostra, da rappresentanti di An e da esponenti della neonata associazione «Ecoradicali». Uniti nell’obiettivo – e nella convinzione – di riportare alla luce quel che (forse) resta del vecchio porto settecentesco, prima del secon.do appalto di lavori che dovrebbe concludere il progetto commissionato dalla giunta Rutelli all’architetto americano Richard Meier. «Chiediamo al ministro Urbani, al presidente della Regione Storace e al sindaco Veltroni di sospendere le procedure per l’appalto in itinere del secondo lotto riguardante la sistemazione definitiva del complesso Ara Pacis», spiega la presidente di Italia Nostra, sezione romana, Vanna Mannucci. Sospensione che permetterebbe scavi accurati «in una zona in cui non sono mai stati fatti, e che è quella dove si trovava il porto dell’architetto Specchi». Che quel capolavoro dell’ultimo barocco romano sia ancora là sotto, almeno nella sua struttura portante, non sarebbe una spericolata ipotesi, ma «una convinzione – dice la Mannucci – suffragata anche dalla Soprintendenza ai beni architettonici di Roma, che ha vincolato l’area».

Il soprintendente Roberto Di Paola (recentemente destinato dal ministero Urbani alla Soprintendenza regionale d’Abruzzo ma formalmente ancora in carica nella capitale) conferma la necessità di scavi ulteriori, prima che la seconda tranche di lavori li renda impossibili per sempre: «La mia non è una convinzione personale, ma professionale, ricavata da documentazione storico-artistica e da una pluralità di pareri». Tra questi pareri, Italia Nostra cita anche quello dell’urbanista Leonardo Benevolo, che ha dichiarato «inammissibile» un’eventuale compromissione dell’antico monumento.
«Riportarlo alla luce» e «ripristinarlo», per i manifestanti, non sarebbe un’utopia: «Basterebbe costruire un sottopasso come già ne esistono anche su questo tratto di lungotevere». E a tal proposito snocciolano relazioni di accademici e urbanisti di grido. «Sì al recupero integrale» è anche la posizione di Giovanni De Pascalis, segretario di «Ecoradicali», mentre Marco Marsilio e Fabio Rampelli (An) chiedono di indire un concorso internazionale di idee sul futuro dell’area sospendendo subito i lavori di un cantiere giudicato «illegittimo» (un pronunciamento della Corte dei Conti, atteso per novembre, dovrà giudicare di irregolarità amministrative per ora solo eventuali). «Il progetto Meier, sul quale solo An aveva votato contro nell’aula Giulio Cesare – sintetizzano i due – è un obbrobrio».

 

di Edoardo Sassi
dal Corriere della sera del 19.06.04