Mettiamola così. La candidatura al Quirinale del presidente diessino Massimo D’Alema, dopo che l’Unione è riuscita ad aggiudicarsi le presidenze delle due camere parlamentari, in Vaticano non è considerata la soluzione più giusta per un motivo in particolare: se la candidatura dalemiana risultasse vincente, la presenza ai massimi vertici dello Stato di tre esponenti del centrosinistra non rispecchierebbe il sostanziale equilibrio dei risultati elettorali. Se tuttavia la maggioranza e l’opposizione non addivenissero ad alcun accordo per una candidatura unitaria sul nuovo capo dello Stato e se inoltre Carlo Azeglio Ciampi rifiutasse un secondo mandato settennale, la candidatura di D’Alema per le gerarchie d’Oltretevere sarebbe la più accettabile fra quelle proposte finora dall’Unione. Discorso un po’ diverso per il cardinale Camillo Ruini e per la Conferenza episcopale italiana, per i quali il Quirinale era e resta ancora Giuliano Amato. Fatto salvo, però, che anche per i vertici episcopali italiani come per la Santa Sede la necessità di un equilibrio ai vertici dello Stato, appunto con una candidatura del centrodestra (preferibilmente, Gianni Letta), sarebbe la strada da perlustrare per prima.
I fischi all’ex ministro dell’Istruzione Letizia Moratti a Milano e all’ex ministro per le Politiche comunitarie Buttiglione a Torino durante le manifestazioni sia del 25 aprile che del primo maggio non sono affatto piaciuti alle gerarchie d’Oltretevere, ma le nette parole di condanna pronunciate dal segretario dei Ds Piero Fassino non sono passate inosservate e hanno trovato adeguato rilievo sulle pagine del quotidiano vaticano L’OsservatoreRomano. Dunque, la candidatura dell’ex comunista D’Alema non è improponibile per le gerarchie vaticane. Perchè? La casa editrice Bruno Mondadori sta mandando in edicola in questi giorni un album di foto su Giovanni Paolo II. La parte centrale della pubblicazione è dedicata all’Italia, con foto sugli incontri che papa Wojtyla ebbe in Vaticano con i presidenti del Consiglio. Uno solo fra essi è fotogra fato insieme con la famiglia. Indovinate chi? Massimo D’Alema. Quell’incontro piacque alpapa polacco per vari motivi: diversamente da chi gli preannunciò la visita di un politico freddo, Wojtyla trovò invece un D’Alema quasi paralizzato dall’emozione e intimidito; Giovanni Paolo II incontrò una famiglia unita e tradizionale come solo i cattolici papisti e i comunisti di vecchio stampo sembravano capaci, almeno in passato di costruire. Ma la coreografia dell’udienza pontificia, pur essendo significativa, non è tutto. Nei pragmatici ambienti della segreteria di Stato conta altro, ben altro. E D’Alema su quel fronte non ha quasi mai deluso. Da presidente del Consiglio fece una visita pri vata in Palestina, partecipando (con tutta la famiglia, ovvio) alla messa di Natale nella chiesa della Natività a Betlemme. Le suore e i fraticelli seppero coccolarlo con ogni sorta di leccornia dolciaria.
Così, qualche ora dopo, D’Alema esplicitò al premier israeliano Barak le preoccupazioni del governo italiano per la moschea che i musulmani avevano intenzione di costruire
a Nazareth contro i desiderata della Santa Sede. Ancora. Non c’e stato negli anni trascorsi messaggio papale in occasione della giornata mondiale per la pace che non abbia avuto il plauso convinto del deputato di Gallipoli. Sulla lotta alla povertà c’è stato qualche dalemiano, come Livia Turco, che ha più volte ripetuto che ormai “il papa combatte la povertà meglio della sinistra». Ai reiterati attacchi al regime concordatario,provenienti da alcuni settori della sinistra, il leader diessino ha sempre fatto presente che i temi riguardanti i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede, insieme a quelli della bioetica, non avrebbero dovuto essere oggetto di contesa elettorale. In Vaticano sanno che D’Alema assicura un profilo della politica rigoroso, magari anche spigoloso, condotto però sui binari delle istituzioni e alieno dai circuiti, per lo più laicisti e antipapisti, dei cosiddetti salotti buoni della borghesia girotondina.
Invece il cardinale Ruini preferirebbe, dopo ovviamente la candidatura del cattolico Gianni Letta, il nominativo di Amato alla successione di Ciampi. Ma anche il presidente dei vescovi italiani, obtorto collo, non può almeno dimenticare la solidarietà che D’Alema e Fassino gli fecero pervenire all’indomani dei fischi che il porporato ricevette a Siena da uno sparuto gruppo di facinorosi. L’operazione di collocare un suo candidato al Quirinale potrebbe essere una delle ultime del cardinale Ruini sul fronte politico parlamentare, dal momento che è presumibile che dopo il convegno ecclesiale di Verona del prossimo autunno il porporato di Sassuolo lascerà la guida della Conferenza episcopale. Per ora il quotidiano dei vescovi, Avvenire, sta mantenendo un profilo basso sull’elezione del successore di Ciampi e lo stesso sta facendo l’Osservatore Romano.