RADICALI ROMA

E ora solo la ricerca ci dirà se servono ma certo non vedremo un minotauro

  Nella mitologia greca, la Chimera era un essere mostruoso, descritto dai poeti con testa di leone, corpo di capra e coda di drago, che dalla bocca vomitava fiamme. In biologia, si parla oggi di una chimera per indicare un individuo composto di genomi diversi, il cui Dna cioè comprende sequenze che provengono da più di una specie. Vi sono vari modi per ottenere questo, per cui “chimera” è un termine molto ampio, che copre categorie assai diverse tra loro. Un procedimento relativamente semplice, oggi parecchio utilizzato in campo farmaceutico, sta nell’inserire in un batterio uno o più geni, prelevati da un altro organismo, che permettono al primo di produrre determinate sostanze a noi utili.

Per esempio, l’insulina, necessaria nella cura del diabete, che fino a qualche decennio fa veniva ricavata dal pancreas di mucche, maiali o cavalli, viene oggi fatta produrre da batteri modificati in laboratorio, inserendovi il gene che codifica per l’insulina umana.
Con un procedimento più complesso, inserendo geni umani nel genoma di animali da laboratorio, come cavie e conigli, ma anche pecore, capre, maiali, è possibile produrre proteine umane (come l’ormone della crescita) a scopo terapeutico, raccogliendole dal latte o dal siero sanguigno, dall’urina o dallo sperma dell’animale donatore.

 

 

 

A un livello più semplice di questo, negli anni Sessanta si diffuse in Inghilterra un test di fecondità consistente nel fecondare cellule uovo di criceti con spermatozoi umani, per verificare la capacità di penetrazione degli spermatozoi: il test veniva arrestato una volta che lo zigote (la cellula risultante dalla fusione) iniziava a riprodursi.

Ad un estremo opposto di complessità, è possibile fondere non i gameti (le cellule riproduttive) ma gli zigoti di individui appartenenti a specie diverse: così, nel 1984, è stata prodotta una ‘caprecora’, che combinava gli embrioni di una capra e di una pecora. Con tecniche analoghe si spera di potere in un futuro salvare alcune specie dall’estinzione. Nel 2003, scienziati cinesi annunciavano di avere ottenuto, a Shanghai, ibridi di cellule umane e di coniglio, inserendo il nucleo di cellule somatiche umane all’interno di cellule uovo di coniglio private del proprio nucleo, e di avere lasciato che la cellula risultante si sviluppasse fino allo stadio di blastocisti (uno dei primi stadi dello sviluppo embrionale), cioè fino a formare una masserella di cellule, che furono poi utilizzate per la ricerca sulle cellule staminali.

La produzione di embrioni che rappresentino un vero e proprio ibrido fra uomo e animale è universalmente vietata dalle leggi – nei Paesi dove esistono leggi al riguardo – oltre ad essere condannata dal buonsenso. In Paesi avanzati dal punto di vista etico e legislativo, come la Nuova Zelanda, esistono anche precisi limiti alla sperimentazione su animali.
D’altro canto, la ricerca medica oggi ha bisogno di lavorare su cellule staminali, quali sono quelle degli embrioni nei loro primissimi stadi di sviluppo, perché si tratta di cellule dallo straordinario potenziale, in grado di generare tessuti ed organi. È una nuova frontiera di ricerca, da cui ci si ripromette non solo di acquistare una comprensione fondamentale del modo in cui da una cellula può nascere un intero organismo, ma anche vantaggi senza precedenti per la medicina: la possibilità, per esempio, di ricostruire in laboratorio tessuti danneggiati, o di fare crescere interi organi da trapianto nel corpo di un animale ospite; o di capire i meccanismi di malattie degenerative molto diffuse, che impediscono il corretto funzionamento delle cellule, e di studiare farmaci per contrastarle.
Per farlo però non è necessario creare embrioni umani transgenici, né tantomeno ibridi o embrioni/chimera, e le leggi in ogni caso vietano di stabilire, sia pure a soli fini di ricerca, linee cellulari che potrebbero, almeno in teoria, portare allo sviluppo di un embrione umano o ibrido animale/uomo, per cui si studiano strategie alternative.

L’Authority inglese preposta a valutare i procedimenti relativi all’embriologia e alla fecondazione umana (Hfea – Human Fertilization and Embriology Authority, http://www. hfea. gov. uk/), dopo alcuni anni di attente valutazioni e dopo avere condotto un’indagine, con interviste a campione, sugli atteggiamenti dei cittadini al riguardo, propone ora di autorizzare la produzione di linee cellulari che utilizzino il nucleo di una cellula somatica umana e una cellula uovo bovina privata del proprio nucleo.
La cellula risultante viene attivata con stimoli elettrici perché inizi il processo di riproduzione, e dalle linee cellulari che ne nascono si ricavano le varie cellule da utilizzare a fini di ricerca.
Con questo metodo sarebbe praticamente impossibile ottenere un embrione che dia origine a un individuo (una sorta di minotauro, in questo caso), perché le cellule così ottenute non hanno il potenziale per farlo. È una soluzione che potrebbe riaprire strade oggi precluse alla ricerca, soddisfacendo però i requisiti etici che vietano l’uso di embrioni umani.

Rimangono alcuni dubbi sull’effettivo valore di questa soluzione, che non potranno essere sciolti se non sperimentandola. Fra gli obiettivi che ci si ripromette vi è quello di trovare nuovi metodi per ricavare cellule staminali direttamente da cellule somatiche, senza bisogno di ricorrere a cellule uovo o ad embrioni, e quello di sviluppare modelli di malattie degenerative della cellula, quali disturbi motori di origine neuronale, diabete, morbo di Parkinson, Alzheimer, così da studiare terapie che permettano di trattarli.