RADICALI ROMA

Elio Vittorini Il fecondo dialogo con gli infedeli

Un giorno si scoprirà che Elio Vittorini ha contato per la cultura italiana assai più di Pier Paolo Pasolini. Noi ne siamo certi da sempre. Non è per suscitare sterili dualismi, ma per tentare di mettere le cose in ordine. L’Italia dell’altro secolo non ha avuto nessun intellettuale all’altezza di Vittorini. E nessuno scrittore è stato all’avanguardia come lui, e così precoce: basta leggere le sue recensioni di ventenne pubblicate postume nei libri einaudiani. Un genio, nel vero senso della parola. E se si pensa che Vittorini è stato un autodidatta, non si può che moltiplicare la nostra meraviglia e la nostra ammirazione.

 

 

 

 Ricordiamo perfettamente l’emozione del mondo culturale, lettera rio e politico alla notizia della morte dello scrittore, avvenuta quarant’anni fa, il 12 febbraio 1966, a 57 anni, dopo una lunga e dolorosa malattia. Ci recammo in muto pellegrinaggio davanti alla sua casa di viale Gorizia, a Milano. Quella sera stessa in televisione apparve Calvino, che non appariva mai, e con voce emozionatissima e quasi balbettante fece un ritratto sintetico dell’amico e sodale Vittorini. L’Italia culturale sembrò irrimediabilmente più povera.

 

 

 

 Vittorini cavalcava la tigre (Avagliano ed.) è il titolo del libro che Raffaele Crovi, suo segretario per tanti anni, ha dedicato al maestro. Per cinquant’anni Vittorini è stato l’uomo dì punta della cultura italiana. A lui si deve la fondazione della bellissima rivista «Il Politecnico», una delle più importanti della seconda metà del secolo, e forse la più importante di tutto il secolo. Rivista che fu schiantata di netto da Palmiro Togliatti, che voleva metterci la testa e le mani per farne un organo del suo partito, dato che la finanziava il Pci. Vittorini si oppose e soppresse la rivista. Non avrebbe mai venduto la sua libertà di pensiero per far piacere a chicchessia, figurarsi a un politico che tendeva a confondere la cultura con la propaganda.

 

 

 

 Tra le altre imprese dello scrittore siciliano ricordiamo la collana «I gettoni» che fece conoscere molti narratori italiani, e La rivista «Il Menabò» che lanciò la letteratura industriale. E ovviamente non si puo dimenticare il suo capolavoro narrativo: Conversazione in Sicilia. Chi scrive questa nota ha sempre amato Vittorini, come scrittore, come saggista, come operatore di cultura, come uomo. l.a sua proverbiale gentilezza nascondeva in realtà un carattere intellettuale fortissimo. Della letteratura aveva un’idea alta, tale che oggi non è neppure pensabile. Per Vittorini la letteratura (e l’arte in generale) era impe gnata nel sociale solo con il suo essere letteratura vera e arte vera. In altri termini, non c’era bisogno che la letteratura (poesia, romanzi, scritti d’invenzione e di pensiero) portasse avanti idee progressiste e libertarie. La letteratura era già progresso, già libertà, già conoscenza dell’uomo. Nei suoi libri, nei suoi saggi davvero luminosi, le parole che più ricorrono sono libertà e conoscenza.

 

 

 

 Questo per dire che per Vittorini i romanzi, i racconti, le poesie donavano all’uomo ena conoscenza della realtà che nessun’altra disciplina poteva dare, neanche la scienza che si preoccupa del corpo ma non dello spirito. La libertà veniva prima di tutto. Libertà dai fideismi e libertà dalle ideologie, che per Vittorini erano le bestie nere dell’infelicità umana, in quanto pretendevano di ingessare la storia, o meglio di indirizzare la storia secondo uno schema precostutuito.

 

 

 

 Rileggendo Vittorini si l’espira un’aria assolutamente essenziale anche per gli uomini di oggi, un’aria cbe vivifica il lavoro dello scrittore e dell’intellettuale. Vittorini è stato il tipico «intellettuale disorganico» (per questo 1o amavo), che non si lasciava imbrigliare da nessun diktat politico. Per lui la verità non era data una volta per tutte ma nasceva dalla ricerca della verità, dal dialogo con i «fedeli» e gli «infedeli».

 

 

 

 Ma a voler dar conto della ricchezza morale e intellettuale dello scrittore libro non si finirebbe più.