La Cei va all’attacco, evocando nemici epocali da cui proteggere la società. Invitato a Gubbio per la festa di sant’Ubaldo, il segretario della Cei mons. Giuseppe Betori ha riattualizzato l’assedio del Barbarossa contro la città, agitando lo spettro di moderni aggressori. «Oggi – ha dichiarato il presule, solitamente assai pacato – nuovi nemici tentano di espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento, di creare turbamento alla loro vita». I nuovi nemici si chiamano nichilismo e relativismo e più o meno esplicitamente vorrebbero – secondo Betori – egemonizzare la cultura italiana. Il segretario della Cei ha elencato le malefatte di queste tendenze: «Fanno dell’embrione un materiale disponibile per le sperimentazioni mediche, danno copertura legale al crimine dell’aborto, e si apprestano a farlo perle pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dell’inizio e della fine della vita umana». E’ evidente che dopo l’opposizione accanita ad ogni regolamentazione delle unioni civili, ora entra nel mirino delle gerarchie il testamento biologico. Ma colpisce il fatto che si sta diffondendo rapidamente nel linguaggio delle autorità ecclesiastiche quello stile fosco e apocalittico, di cui ha dato mostra papa Ratzinger nei suoi discorsi chiave in Brasile. In un attacco senza quartiere, che mescola questioni diversissime come rapporti matrimoniali, guerre, diseguaglianze sociali e terrorismo, il segretario della Cei ha messo sotto accusa coloro che diffondono il «concetto apparentemente innocuo di qualità della vita». Proprio da questo concetto si innescherebbero l’emarginazione dei più deboli, i sentimenti di violenza che «fomentano le guerre e il terrorismo», la negazione del riconoscimento dell’altro, il rifiuto del «diverso per etnia, cultura e religione» e persino il mantenimento delle strutture di ingiustizia sociale.
Sempre colpa dell’utilizzo perverso del concetto di qualità della vita sarebbe, infine, la cancellazione della «dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé». Conseguenza finale: lo scardinamento della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Il discorso di Betori, che non è mai un battitore libero, è sintomo di una strategia precisa: seppellire i Dico, togliere l’autodeterminazione al paziente nel caso di testamento biologico, combattere il pluralismo delle scelte legislative in nome della battaglia al cosiddetto nichilismo e relativismo. In effetti il segretario della Cei (che lunedì si riunisce in assemblea generale con una relazione di mons. Bagnasco) usa un inedito linguaggio militaresco. Parla di «battaglia decisiva» per la dignità della persona umana e di salvezza che la società può trovare soltanto nella «legge di Dio».
Immediate le reazioni nel mondo politico. L’ulivista Grillino parla di deriva neo-temporalista e di clericalismo arcaico, attaccando la pretesa della gerarchia ecclesiastica di imporre la propria visione come legge dello Stato. Silvestri (Verdi) paragona il segretario della Cei al mullah Ornar. Il socialista Villetti ribadisce che la gerarchia ecclesiastica può dare qualsiasi indicazione, ma senza la pretesa di farla diventare legge civile; Betori «non ripercorra la storia del potere temporale dei papi». Schierati automaticamente con il segretario della Cei sono gli esponenti del Polo. Isabella Bertolini (Forza Italia) riassume l’omelia di Betori in quattro parole d’ordine: «Sì alla famiglia, no ai Dico, no all’eutanasia, no alla droga facile».