RADICALI ROMA

Eutanasia: “E’ un grande gesto di pietà aiutare a morire dignitosamente”

  E’ un tema scottante poco dibattuto in Italia, non ammesso dalla chiesa, già legge in alcuni paesi europei: il diritto del malato oncologico terminale di chiedere al medico la morte, come liberazione delle indicibili sofferenze provocate dal cancro.
 
Umberto Veronesi, l’illustre oncologo di fama mondiale, con coraggio ne ha fatto oggetto di due libri: “Il diritto di morire” e “Il testamento biologico”. Veronesi è stato a Palermo dove ha presenziato alla consegna dei diplomi ai partecipanti a due master universitari sulla terapia del dolore.
 
Professor Veronesi, perché ha avvertito il bisogno di scrivere questi due libri?
“E’ un bisogno che covavo già da molti anni, vivendo spesso a contatto con la malattia tumorale nelle ultime fasi, momenti carichi di dolore, di sofferenza, in cui il malato viene espropriato della propria identità di persona. Ho pensato che fosse corretto domandarsi se il paziente non abbia il diritto di chiedere la fine anticipata delle terribili sofferenze. Il malato vive una vita in cui non si riconosce più, una perdita totale di se stesso. E’ comprensibile che in queste condizioni possa chiedere al medico di accelerare la fine del terribile stato in cui si trova. E’ come il volersi addormentare serenamente, spossato dai crudeli eventi che la vita gli ha riservato. Questa è la mia esperienza di vita. Con i miei scritti ho voluto sottolineare che il problema esiste ed è giusto affrontarlo”.
 
Parliamo di persone che hanno pochi giorni di vita…
“Che hanno davanti a loro pochi giorni o settimane di vita e la percezione di dover presto morire. Chiedono al medico di anticipare l’ineluttabile momento. Alcuni paesi hanno già affrontato seriamente la delicata questione ed hanno emanato delle regole, come l’Olanda e il Belgio. In Gran Bretagna è quasi in porto una normativa in proposito. In Norvegia e Svizzera, dove non esiste ancora un’apposita legge, c’è tolleranza nei confronti dell’eutanasia, com’era in Olanda prima della legge; un medico poteva esaudire il desiderio del malato terminale di porre fine al suo calvario, senza essere condannato. Ora, in quel paese ci sono delle regole precise: il paziente deve dichiarare per iscritto o davanti a testimoni la volontà di interrompere i momenti di sofferenza. Un medico, uno psicologo e un esperto di etica si riuniscono e valutano il caso”.
 
In Italia?
“Nel nostro paese la questione è molto difficile da affrontare. Mi sono limitato a porre il problema, a dire che esiste, e che è giusto parlarne, discuterne. Si tratta di un atto di pietà e forse il primo passo sarebbe quello di depenalizzarlo, come in Olanda fino a cinque anni fa prima della legge. Gli olandesi dicono di avere il diritto di decidere della propria vita e della propria morte, un diritto ora tutelato dalla legge”.
 
In Italia non si potrebbe cominciare a diffondere tra i medici la cultura del non accanimento terapeutico?
“Ci sono due passi da fare. Una è la cultura del non eccedere in terapie che tengano artificialmente in vita le persone che stanno morendo e che hanno tutto il diritto di andarsene serenamente. Il secondo passo potrebbe essere la possibilità di chi è in condizione psicologiche normali, di decidere in anticipo, di dare direttive, su che cosa fare in caso che venisse a trovarsi nell’incapacità di esprimere la sua volontà, come in caso di coma irreversibile, di trauma cerebrale grave. A volte, alcuni soggetti, restano in stato vegetativo permanente anche per dieci anni, una cosa assurda”.
 
Come nel caso dell’ex ministro della Difesa Beniamino Andreatta, in coma dal 1999?
“E’ un esempio da tenere presente. Andreatta da anni è in coma irreversibile, tenuto in vita solo da macchine. Qual è il senso di ciò? Certo non ho soluzioni pronte da offrire,ma almeno parliamone, dibattito il problema, non facciamo finta che non esista”.
 
Professore, qual è la situazione dei tumori oggi in Italia?
“In tumore è una malattia che aumenta sempre più la sua incidenza, mentre per fortuna diminuisce la mortalità grazie alle diagnosi precoci, a nuove molecole chemioterapiche, all’affinamento delle tecniche chirurgiche. In altre parole, ci si ammala di più, ma si muore di meno”.
 
A cosa si può attribuire l’aumento della malattia tumorale?
“Oggi la vita media è aumentata, si vive più a lungo, ma si è anche esposti a rischi cancerogeni. In Italia, ogni anno circa 300.000 persone vengono colpite dalla malattia, e di queste, ne perdiamo all’incirca 150.000. Il 30 per cento delle morti per tutte le cause è dovuta a tumore”.
 
Per quale tumore si muore di più?
“Per quello polmonare. E’ da dire che per questo tipo di cancro la mortalità diminuisce sempre più negli uomini e aumenta nelle donne. Sono circa 7.000 le donne che ogni anno muoiono per cancro al polmone, mentre dai 35.000 decessi all’anno nella popolazione maschile, ora si è scesi a 25.000. Se continua così, prevediamo che tra dieci anni si arriverà alla parità. La ragione del fenomeno è semplice: gli uomini, in buona percentuale, hanno smesso l’abitudine al fumo, le donne invece fumano sempre di più”.