Perché il presidente del consiglio regionale pugliese deve guadagnare quasi il triplo del suo collega umbro? E perché un consigliere marchigiano deve avere un pacchetto di diarie e rimborsi non tassato fino a tre volte più basso d’un pari grado piemontese?
Ecco cosa ti viene in mente, a leggere i bilanci comparati delle venti regioni italiane. Ed ecco, accecante, la prova che la trasparenza è il cuore di ogni possibile riforma. Il punto di partenza essenziale per capire come l’autonomia, il federalismo, il principio sano della sussidiarietà siano stati interpretati da molte assemblee regionali come un invito insano: fate quello che vi pare. Ognuno per sé. Al punto che, in rapporto agli abitanti, il «parlamentino» valdostano costa oltre 22 volte più di quello lombardo.
Tutti i dati, fino a ieri scomposti, scoordinati, difficili da mettere insieme se non a prezzo di tanta fatica e tanta pazienza, sono finalmente su Internet. A disposizione di tutti. Sul sito della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.Certo, a leggere i documenti non tutti sono stati puntuali nelle risposte alle sollecitazioni della presidenza. Mancano, per esempio, i dati delle sedute dell’assemblea, delle ore impiegate in aula o delle riunioni delle commissioni del Molise, della Calabria, della Campania. E molti altri ancora.
Lo sforzo fatto dai consigli e coordinato da Alessandro Tesini, presidente del parlamento friulano-giuliano, fossero a maggioranza di sinistra o a maggioranza di destra, va però riconosciuto. er la prima volta i cittadini possono fare dei confronti. Calcolare. Capire.
E arrabbiarsi, qua e là. Per quale dannatissima ragione, citiamo un caso, la pensione- base dei deputati regionali molisani, emiliani, liguri, veneti o marchigiani corrisponde al 65% dell’indennità parlamentare, quella dei pugliesi al 90% e quella dei siciliani o dei friulani al 100%? E proprio qui sta il rischio.
Portati allo scoperto ed esposti finalmente al giudizio della gente, che potrebbe ricordarsene al momento del voto, alcuni potrebbero essere tentati di fare marcia indietro. E serrare il catenaccio tornando a rinchiudersi nel fortilizio di prima, avvolto dalle nebbie.
Oddio, non che adesso sia tutto chiaro. L’obiettivo della massima trasparenza nei bilanci (quello siciliano ha sparpagliato in 7 posti diversi la stessa voce «acquisto di libri, riviste e giornali anche su supporto informatico» perché i 128 mila euro spesi non dessero nell’occhio) è ancora lontano. Basti dire che perfino due regioni vicine e politicamente gemelle come la Toscana e l’Emilia Romagna, pur rispondendo al proprio organismo di raccordo e non a cronisti impiccioni e sfaccendati, hanno presentato ciascuna i propri dati secondo i propri parametri, una comprendendo e l’altra no una voce fondamentale quale il costo del personale. Risultato: occorre tirare le somme per proprio conto per scoprire che, con mezzo milione di abitanti in meno, il «parlamento» fiorentino costa quasi 10 milioni di euro più di quello bolognese.
Per non dire di quello siciliano che, coi suoi quasi 157 milioni di euro (messi a bilancio ma non inseriti tra i dati a disposizione sul sito internet di cui scriviamo) costa quanto le assemblee di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Liguria e Puglia messe insieme. Eppure è battuto, in rapporto alla popolazione, non solo dal consiglio della Sardegna (57 euro per abitante o addirittura di più se al combattivo sito isolano
altravoce.net risulta nel 2007 una spesa complessiva non di 95 bensì di 102 milioni di euro) ma anche da quello trento-altoatesino. Dove, a sommare le assemblee provinciali e quella regionale (che di fatto coincidono) si sfiorano i 52 euro pro capite. Contro i 7,59 dell’assemblea lombarda, che come dicevamo è abissalmente meno costosa di quella valdostana la quale, pro capite, di euro ne pesa addirittura 169.
Tema: hanno senso questi squilibri? C’entrano qualcosa con il diritto all’autonomia? C’è una ragione alla base dell’enorme differenza tra la mole di lavoro dell’aula piemontese, dove nel 2006 si sono tenute 97 sedute per un totale di 255 ore di lavoro parlamentare e quella dell’aula lucana, dove le sedute sono state 23 e le ore di sosta dei consigliere al loro seggio soltanto 55, cioè un quinto? Boh… Misteri. Come misteriosi restano i motivi per i quali la Toscana ha 10 gruppi consiliari e la Puglia 21. C’è più democrazia sotto i trulli che sui colli del Chianti? O solo più casino? Ancora più sbalorditivi tuttavia, per tornare all’incipit, sono gli squilibri tra i diversi stipendi dei nostri rappresentanti. Stipendi che, avendo la Conferenza delle Regioni insistito perché ogni assemblea fornisse le cifre nette, vere, reali, in busta paga, rovesciano luoghi comuni e riservano un sacco di sorprese.
Stando ai dati ufficiali forniti dal sito infatti (arriveranno smentite?) i parlamentari regionali più pagati non sarebbero affatto i siciliani ma i piemontesi. Che tra indennità, diarie, rimborsi auto e benzina eccetera, possono arrivare a 16.630 euro. Seguono i pugliesi (13.830), gli abruzzesi (13.359), i lombardi (12.555) e giù giù tutti gli altri (i siciliani stanno a 10.946) fino ad arrivare ai valdostani (6.607), ai trentini (6.614) e, in coda, agli umbri: 6.597.
Non meno clamorose sono le differenze «dentro» lo stipendio. Dove puoi scoprire, sbarrando gli occhi per la sorpresa, che l’indennità dei deputati abruzzesi (7.274 euro: la più alta) è più che doppia rispetto a quella dei confinanti colleghi marchigiani, che non arrivano a 3.128 euro. E che il pacchetto di voci non tassabili (diarie, rimborsi…) è di soli 518 euro per i valdostani ma può schizzare da 2.482 fino a 10.176 per i vicini piemontesi.
Un rapporto sbalorditivo. Più o meno simile a quello che c’è tra i presidenti delle assemblee, che stando al sito guadagnano generalmente esattamente quanto il governatore. Il più pagato, come si diceva, è quello pugliese: 18.885 euro. Seguono i colleghi della Sardegna (14.644), della Sicilia (14.329), dell’Abruzzo (13,844), della Calabria (13.353) e via via, a scendere, fino a quelli della Toscana (7.498) e dell’Umbria, che chiude a 7.102. Pagato poco più di un terzo di chi guida l’assemblea barese. E torniamo al tema: cosa c’entrano con la legittima e sacrosanta autonomia degli enti locali questi assalti alla diligenza che negli anni, per colpa ora di maggioranze di destra e ora di sinistra, hanno portato il presidente del consiglio dell’Abruzzo (reddito pro capite 19.442 euro) a prendere quasi quattromila euro più di quello dell’Emilia (reddito pro capite 28.870) e quello della Calabria (reddito pro capite 14.336) più di quello della Lombardia (reddito pro capite 30.028)? Non sarà il caso che si cominci finalmente a distinguere tra il diritto all’autonomia e il vizietto di farsi gli affari propri?