RADICALI ROMA

Figli dell'Ulivo, ingenui ed europei; ecco la nuova leva dei Democratici

Le crisi storiche dei grandi partiti occidentali si sono quasi sempre concluse con l’avvento di una nuova generazione di trentenni e quarantenni. E’ successo al Labour inglese e ai socialisti spagnoli, come ai loro avversari, poi ai democratici americani, oggi accade ai socialdemocratici tedeschi e svedesi. Tutti partiti che si chiamano così da oltre un secolo. Il centrosinistra italiano, dopo ogni sconfitta, ha cambiato marchio e simboli, conservando linguaggio e nomenklatura. Veltroni e D’Alema litigano da vent’anni e da quattro partiti (Pci, Pds, Ds e Pd), ha scritto Ezio Mauro.

Questa finzione gattopardesca è ormai intollerabile all’elettorato che reclama il ricambio del gruppo dirigente nei sondaggi e nelle primarie. A volte senza neppure conoscere i nuovi, soltanto per esclusione. Siamo andati alla ricerca dei giovani democratici e abbiamo scoperto, per cominciare, che esistono. Non è vero che dietro l’oligarchia c’è il nulla. Al Nord, Centro e Sud s’incontrano donne e uomini di venti, trenta o quarant’anni, animati di passione politica, con le loro storie, professioni, idee. Da domani potrebbero prendere il posto dei vecchi senza farli rimpiangere troppo. E forse per nulla.

Migliori o peggiori dei Veltroni e D’Alema, Rutelli e Parisi, Bersani e Letta, Bindi e Marini? Giudicheranno i cittadini. Di certo, diversi. Più curiosi del futuro che del passato. Più simili ai cittadini che dovrebbero votarli. Non è soltanto questione di età, piuttosto di cultura e linguaggio. Mentre i vecchi leader litigavano sulle rispettive appartenenze, è cresciuta una generazione per la quale le categorie novecentesche hanno perso senso. A cominciare dalla questione dominante del secolo scorso, il comunismo. Che per l’Italia continua a essere un’ossessione. Ex e post comunisti, dialoganti con ex democristiani, in lotta con anticomunisti, a loro volte spesso ex comunisti, come se il muro non fosse mai caduto, in un delirio passatista di revisionismo rancoroso.
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Questi altri, i giovani, non sono ex di nulla. Hanno votato Ulivo già a diciott’anni, sono cresciuti in una casa riformista comune, dove non è difficile trovarsi d’accordo sui valori fondanti. Cattolici e non cattolici, difensori della laicità dello stato. Moderati e radicali, convinti che il conflitto d’interessi (di Berlusconi, di Pincopallo o del governatore di una regione “rossa”) sia un cancro della vita pubblica nazionale. Milanesi o siciliani, fieri europeisti, con esperienze di studio e lavoro all’estero, contatti quotidiani con coetanei che fanno politica a Berlino o Parigi, Londra o Madrid. In una specie di permanente Erasmus via Internet, dove ci si scambiano idee e informazioni sui temi del qui e dell’oggi, l’ambiente, l’energia, la crisi, i nuovi lavori, l’immigrazione. Assai più di quanto facciano con i colleghi europei i nostri parlamentari in villeggiatura politica a Strasburgo e Bruxelles, indipendentemente dal gruppo europeo al quale sono iscritti.

Hanno tutti vite che si possono raccontare oltre la sezione di un partito, non sono figli di dirigenti e funzionari, considerano la politica un impegno a termine, almeno per ora. E dalle esperienze di vita quotidiana hanno maturato quello che forse è mancato in tutti questi anni alle leadership di centrosinistra. Una visione della società italiana nei fatti alternativa a quella della destra di Berlusconi. Un’Italia più aperta e tollerante, ben disposta al merito e alla creatività, assai più integrata nel resto d’Europa, meno anomala e autarchica, familista e obbediente ai vescovi. Ma anche una sinistra meno autarchica e difensiva. E’ una visione dove il coraggio si mescola con l’ingenuità. Ma forse è di coraggio e ingenuità che la sinistra ha bisogno.

Nel suo primo anno di vita il Pd non si è concentrato sulla più grave crisi economica dagli anni Trenta ma sull’annosa questione del dialogo con Berlusconi. Dialogo sì, dialogo no, a prescindere, come stile politico. Senza neppure capire che, visto il risultato elettorale, Berlusconi non ha più bisogno di dialogo. Il temuto o sperato (da Veltroni) pareggio elettorale non c’è stato. Al massimo il premier ha oggi bisogno di un’opposizione che lo aiuti a far ingoiare all’opinione pubblica irriducibilmente democratica un certo numero di leggi razziali impensabili nel resto del continente, il regolamento di conti finale con la magistratura e qualche raffica di nomine di basso livello alla Rai o negli enti pubblici. Tutte operazioni alle quali procederà in ogni caso, anche senza la benedizione degli avversari. A questo brutale stravolgimento delle garanzie costituzionali, il centrosinistra ha offerto in questi anni soltanto una resistenza trattabile e poco convinta. Fino alla resa ideologica di contrapporre la ronda di sinistra a quella di destra, la caccia al lavavetri democratica contro quella leghista, il buon portatore di conflitto d’interessi (Soru) contro il cattivo. In cambio della concessione da parte del sovrano di qualche riserva indiana, di un piccolo statuto albertino in materia di sindacato o televisioni, e ancor di più in cambio della sopravvivenza del centrosinistra come ceto politico. Il tempo di questi giochi da seconda repubblica è ora scaduto. I cittadini chiedono che la politica non si occupi della propria sopravvivenza ma della loro, minacciata dalla crisi.