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“Fratelli d’Italia” di Claudio Giovannesi: tre “diversi” a scuola

“Fratelli d’Italia” di Claudio Giovannesi: tre “diversi” a scuola

Si sente spesso ripetere che in Italia, per il documentario, non c’è mercato. Ed è in gran parte vero: la televisione ne trasmette pochi  (eccetto qualche canale digitale); e al cinema non escono quasi mai.

Da qualche tempo, però, gode di una certa fortuna un particolare tipo di documentario: il documentario pamphlet, l’equivalente per immagini di uno sferzante libretto satirico.

Ne è stato portabandiera l’americano Michael Moore; che ha avuto seguaci negli Stati Uniti, ma anche in Europa.

In Italia, Silvio Berlusconi si presta quasi naturalmente a essere il bersaglio di questo genere di film; tanto è vero che sono usciti nelle sale nell’ultima stagione cinematografica, ben due documentari, per ragioni diverse su di lui e contro di lui: “Videocracy” dello svedese Eric Gandini; e ora “Draquila” di Serena Guzzanti. (Due possono sembrare pochi; ma considerando appunto quanto pochi sono i documentari che escono in sala, costituiscono un piccolo fenomeno).

Dei documentari-pamphlet, fatti apposta per suscitare polemiche e discussioni, si potranno di volta in volta criticare i contenuti, deprecare la faziosità. Non dovrebbe però essere messa in discussione la loro legittimità a esistere, e essere proiettati tanto al cinema quanto in televisione (mentre il film di Gandini, sulle televisioni “generaliste”, ha incontrato difficoltà anche soltanto a essere pubblicizzato attraverso i trailers).

Ma il documentario-pamphlet non è l’unico genere di documentario possibile.

Possono darsi documentari che non vogliono demolire un avversario politico, non vogliono risolvere un caso giudiziario controverso, e nemmeno denunciare a gran voce un certo guasto della società. Intenti, benintesi, almeno in certi casi, nobili.

Voglio dire soltanto che possono esserci documentari non costruiti intorno a una tesi da propugnare; che vogliono indagare un certo aspetto della società, lasciando che sia poi eventualmente lo spettatore a trarre la proprie personali conclusioni.

Rispetto al documentario a tesi, di solito più polemico, il documentario puramente di indagine rischia di risultare sottotono, e di essere ingiustamente trascurato.

Ha trovato in questi giorni la via delle sale cinematografiche un interessante documentario di questa seconda specie. Lo ha realizzato un giovane regista italiano, Claudio Giovannesi, e si intitola “Fratelli d’Italia”.  Il film indaga su un rilevante fenomeno sociale, che il cinema di finzione italiano, a occhio e croce, ha finora trascurato o ignorato: e cioè la presenza di studenti immigrati nelle scuole italiane. (Fenomeno che era al centro di un film francese di un paio di anni fa, “La classe” di Laurent Cantet).

Il film di Giovannesi si compone di tre ritratti di tre studenti dell’Istituto tecnico Toscanelli di Ostia (dunque, vicino Roma): il rumeno Alin; Masha, della Bielorussia; e l’egiziano Nader. Ci vengono presentati momenti della loro vita: a scuola; nelle loro famiglie; o nelle discoteche e per la strade di Ostia. Mentre conversano i con i connazionali nella loro lingua di origine; o con amici e con ragazze italiane.

Questa selezione di momenti di vita quotidiana è così abile che un po’ alla volta la personalità dei tre studenti finisce per spiccare vivamente.

L’autore sembra essere partito per la propria indagine da questa domanda: i tre studenti sono pienamente integrati?

Il più in difficoltà dei tre, è il rumeno Alin. E’ chiuso nel sogno di una vita facile – con tanti soldi, tante macchine e tante ragazze – sogno che condivide con qualche connazionale, con il quale anzi diventa un elemento di complicità; e che lo rende disinteressato alla scuola; impermeabile nel profondo al dialogo con gli insegnanti; e un “diverso” rispetto agli studenti italiani, che non possono condividere un’idea così ingenua e mitica della vita in Italia. E respinto da loro, li respinge a sua volta.

Masha e Nader appaiono invece più integrati; ma è un’integrazione che, a un occhio attento, nasconde resistenze, perplessità e anche sensi di colpa.

Per esempio, l’egiziano Nader, per uscire con la ragazza italiana, deve litigare con il padre e soprattutto con la madre, che vorrebbero per lui una ragazza egiziana, con cui sposarsi presto.

Nader non gli dà retta. Immigrato di seconda generazione, dunque nato a Roma, ha adottato il modo di parlare e di vestirsi degli studenti italiani, scegliendosi anche i modelli peggiori: così si atteggia a naziskin. Ma è proprio questa esibizione ansiosa di italianità – o meglio di romanità – unita a una costante irrequietezza, che ci fa capire che non si sente a suo agio nella sua pelle, che dentro di lui agisce un conflitto, anche se denegato.

E non è probabilmente un caso che – come ci informa la didascalia conclusiva del film – finisce per lasciare la sua ragazza.

Insomma: mi sembra che di tutti e tre i personaggi presi in esame da “Fratelli d’Italia”, il regista Giovannesi riesca a cogliere qualcosa di profondo.

Non credo che il film sia uscito in tutta Italia. Ma se lo trovate in programmazione nella vostra città, affrettatevi a vederlo, anche a sostegno di un genere cinematografico che incontra tante difficoltà, come il documentario italiano.

Versione audio:

http://www.radioradicale.it/scheda/303611